Mar. 22nd, 2023

COWT13

Mar. 22nd, 2023 07:06 pm
Settimana: 5
Missione:
 M3
Prompt:
 01. La V: una persona ha una relazione con altre due, che però non hanno una relazione tra loro
Fandom: Originale
Rating: T
Warning: prostituzione
Note: /

Le chiavi del Giglio Rosso

C’erano tre cose che, a parere di Morgan Delkirk, non dovevano mancare in una città portuale: un porto abbastanza grande da entrarci comodamente, buone locande dove sostituire la puzza di pesce con quella di birra scura e cacciagione arrosto, e gambe compiacenti in mezzo alle quali affondare con piacere. Rea Marina, discreto incrocio commerciale sul confine, era discretamente fornita delle prime due e insuperabile sulla terza. 

Magari i pellegrini di passaggio o i contadinotti di periferia non lo sapevano, ma l’attrazione principale della città, il Giglio Rosso, era la miglior casa di piacere di tutta la costa, se non del Mar Mesto tutto. Era il motivo per cui i nobili decidevano di piazzare le loro case di villeggiatura lì, piuttosto che altrove. Il motivo per cui nessun capitano di mare, pirata o corsaro o cacciatore di tesori che fosse, avrebbe mai dato noie alla città. Morgan si sarebbe erto a suo protettore, piuttosto, per preservarne le virtù.

Come tutte le volte che si apprestava a prendere il largo per mesi, prima aveva deciso di fare tappa a Rea Marina, così da portare dolci ricordi con sé lungo il suo viaggio. Il Giglio Rosso non l’aveva mai deluso.

Nonostante ormai si definisse un cliente abituale, all’ingresso le guardie lo squadravano ancora con piglio critico e mani alla cintura armata. La clientela si faceva più selezionata ogni anno che passava. I suoi uomini non avevano più speranze di entrare, ma Morgan Delkirk poteva vantare dita piene di gioielli e saccocce ancora più piene. 

“Ordunque, buonasera signori. Questa sera non si bada a spese.” Recuperò un paio di monete d’oro dalle tasche e le lanciò ai due omaccioni. “Ho un paio di fiorellini che mi aspettano dentro e tanta fame del loro nettare.”

Li lasciò a mordere il loro oro, superando le colonne screziate senza alcun ammonimento. 

All’interno, quello che ormai era un vero e proprio palazzo si apriva con un ingresso ovale, spoglio di suppellettili ma ricco di affreschi sulle pareti. Affreschi dei ragazzi e delle ragazze che lavoravano per il Giglio. Bellissimi, sinuosi e irraggiungibili. Niente di troppo dichiarato o lussurioso, ma abbastanza per catturare l’occhio e accendere la curiosità negli animi. Quel salottino era un assaggio delle pietanze della città, pietanze inebrianti, e il menù per ordinare era a pochi passi di distanza.

Morgan lasciò perdere gli affreschi, che tanto conosceva a menadito, e si avvicinò al tavolo centrale. Di marmo e rotondo come la stanza, era ulteriormente appesantito da una trentina di chiavi, diverse le une dalle altre per forma, materiale e decorazioni. Un paio di altri clienti imbellettati si aggirava lì intorno, valutando quegli oggettini come fossero complicati contratti mercantili. Due servi attendevano compiti in un angolo.

Il Giglio Rosso aveva un singolare quanto a suo parere divertente metodo per scegliere l’intrattenitore della serata. Quelle chiavi parlavano dei loro proprietari più di qualsiasi affresco. 

Trovò subito quelle a lui più familiari. Una era argentata con intarsi blu e rossi, affilata come un tagliacarte e circondata da un motivo a doppia elica, sempre in metallo, semplice ma elegante. Pesava al tatto come piombo e prometteva sicurezza, versatilità e nudo piacere.

L’altra, non distante, era infiocchettata di nastri verdi su una struttura principale a cerchio, spessa, brunata come la pelle del proprietario dopo una giornata di sole. Una pietra al centro, circondata da altre più piccole, catturava la luce delle candele e quella morente del tramonto. 

Morgan la prese e se la portò al viso. Il profumo di mandorle e melograno, morbido e intenso, bastò a cancellare l’acqua salmastra che per mesi gli aveva occupato le narici.

Sospirò. Qui veniva la parte difficile. Sia Ilya che Maej erano chiaramente disponibili quella sera. 

Un servo fattosi avanti al suo slancio di trasporto, tornò nel suo angolo appena lo vide prendere in mano anche l’altra chiave. Provocò in Morgan una punta di fastidio. Non era mica una decisione facile. Sarebbe stato molto più semplice averli entrambi contemporaneamente, ma i ragazzi accettavano che li frequentasse entrambi solo finché non erano nella stessa stanza. E sì che, se invece chiamava chiunque altro, anche metà bordello, erano felici di annegare con lui  in un’orgia di tutto rispetto. 

Magari quella notte poteva averli comunque entrambi, prima uno e poi l’altro. I soldi non gli mancavano e presto sarebbe partito per mare, diamine, meritava di goderseli tutti e due. E se nel mentre qualche altro cliente avesse reclamato uno di loro, avrebbe aspettato. Non aveva fretta. In effetti, poteva tranquillamente passare tutto il giorno successivo lì dentro.

Le due chiavi occupavano così bene i suoi palmi e nessuna delle due lo ispirava più dell’altra.

Fu invero uno degli altri clienti a forzargli la mano. Un tizio vestito di buon tessuto ma con pessimo gusto, con pochi peli in testa e troppi nelle orecchie. Puntò lo sguardo sulla chiave di rubini e zaffiri, come se fosse ancora sul tavolo, come se Morgan non la stesse accarezzando con dita possessive. 

Il capitano rimise la chiave infiocchettata sul tavolo. Afferrato un carboncino dal contenitore in porcellana al centro del tavolo, scrisse unicamente “Capitano” sul piccolo carnet legato all’altra chiave e la consegnò al servo che si fece avanti, con tutta l’ostentazione che quel patetico piccolo aristocratico si meritava. Il servitore sgattaiolò via attraverso una delle porte laterali.

Maej, dunque, sarebbe stato il primo. Morgan cullò la propria mente con il pensiero del ragazzo che tra qualche minuto sarebbe comparso tra le tende dello stesso ingresso. Vestito di seta fresca come piaceva a lui, appoggiato all’uscio di schiena, le braccia incrociate e le bellissime labbra serrate di disappunto. Come se l'avesse fatto aspettare troppo.

Sì, Morgan voleva proprio quello. Non vedeva l’ora. Avrebbe passato la notte nel letto di Maej, e sorpreso Ilya il giorno dopo con una colazione che desse un senso alla giornata.


COWT13

Mar. 22nd, 2023 07:09 pm
Settimana: 5
Missione:
 M3
Prompt:
 01. La V: una persona ha una relazione con altre due, che però non hanno una relazione tra loro
Fandom: Originale
Rating: T
Warning: prostituzione
Note: /


Straordinari

Che un cliente chiamasse Ilya subito prima dell’alba era insolito. Quella era l’ora degli ubriachi che barcollavano verso casa, dei pescatori che spingevano con fatica in propri pescherecci verso l’acqua, degli adulteri che tornavano a casa dai propri consorti e si illudevano di essere i più furbi del mondo. Tutta gente che veniva zelantemente tenuta lontana dal Giglio Rosso - o che ne usciva, non certo entrava, a quell’ora.

Dopo quattro anni di esperienza come ragazzo di piacere - puttana ringhiava la voce di suo padre, e lui gli sventolava davanti alla faccia smunta i guadagni della settimana - gli venivano in mente solo due motivi per quella chiamata. Il primo era un cliente insoddisfatto da un altro ragazzo o ragazza, che non voleva dare la notte per vinta alla delusione. Difficile, dato il livello del servizio al Giglio Rosso, ma poteva capitare. Meglio per lui che era stato scelto. 

Il secondo motivo era un cliente soddisfatto che ne voleva ancora, così tanto da non poter aspettare un altro giorno, ma il suo favorito evidentemente non ce la faceva più. Ancora più raro. Pericoloso, perché la paga era troppo buona per permettere alla sola stanchezza di ostacolarti.

La consapevolezza di poter rifiutare qualsiasi cliente troppo violento o sadico era l’unica condizione che spingeva Ilya lungo il corridoio del palazzo, verso la proprio camera, dove quel mistero lo attendeva. Aveva dovuto lavarsi, dopo aver finito con i propri impegni della serata, e se l’era presa anche comoda. Il servitore con la sua chiave in mano, assonnato quanto lui, lo aveva sorpreso a crogiolarsi nella vasca comune. 

Ilya si era beccato le occhiate sorprese di tutti, e i le pacche di compassione: dopo il bagno la maggior parte dei ragazzi sarebbe andata a dormire. Solo a lui toccava del lavoro extra quella notte.

Dei, sperava davvero di non dover avere a che fare con un maniaco. Era troppo stanco, voleva solo fare il minimo indispensabile per poi lasciarsi andare al sonno. Il lato positivo era che era già rilassato e preparato dalle ore precedenti, poteva dare al cliente quello che voleva, in modo immediato e travolgente, e chiudere la notte con un altro successo e, magari, un nuovo abituale.

Si fermò davanti alla porta della sua camera, lasciata socchiusa. Con le dita ravvivò i capelli e cercò di darsi colore alle guance con leggeri schiaffetti. Il trucco della serata era finito nello scarico insieme all’acqua sporca e non poteva rifarlo perché le ciprie e le matite erano nella stanza. Di indossare i vestiti pregni dell’odore di sesso e di un altro uomo non se ne parlava proprio, così aveva dovuto accontentarsi di un asciugamano di lino. 

Guardò giù. Bianco sporco, informe, nemmeno troppo morbido. Cancellava la curva invitante della schiena e le fossette dei fianchi, nascondeva il petto perlato di gocce d’acqua. Lo fece scivolare a terra senza un ulteriore ripensamento. 

Entrò nella camera, nudo e sicuro. Prima ancora di vederlo, sapeva che il cliente sarebbe stato sul letto. Lo aspettavano tutti lì, tronfi sul materasso di piume rialzato, con ogni mobile e decoro che puntava in quella direzione, esattamente al centro della stanza. Oh, come si sentivano potenti nel fulcro di quel piccolo mondo di lussuria. Camminò senza guardare fino alla scrivania che usava anche per la toeletta e accese un incenso. Di spalle, con le gocce che dai capelli gli scivolavano giù per la schiena e il fumo che lo accarezzava, sapeva benissimo che impressione dava: toglieva…

“Togli il fiato come al solito, splendore.”

La voce, proveniente dalla sua sinistra, lo fece saltare mezzo metro più in là, contro lo spigolo del mobile. Gli salirono le lacrime agli occhi, mentre correva a premere con una mano il punto contuso. 

La voce ridacchiò.

Stupidamente, la prima cosa che Ilya guardò, appena fu in grado di riaprire gli occhi, fu il letto. Vuoto, ovviamente. Il capitano Morgan Delkirk lo conosceva meglio di così.

Si era accomodato sulla panca sotto lo specchio, al lato della porta, scansando gli acquisti settimanali fatti in città e che puntualmente Ilya si dimenticava di mettere in ordine. Era altrettanto nudo e non c’era traccia dei suoi vestiti. 

L’uomo più grande si fece ammirare prima di avvicinarsi, con la soddisfatta indolenza che, più tardi a mente fredda, avrebbe riconosciuto familiare. Non avrebbe mai potuto lavorare al Giglio Rosso, ma aveva la bellezza del mare agitato che si abbatte sugli scogli. Ruvido, flagellato dal sole, pieno di cicatrici e di storia e di avventure. Forte per necessità, non per fascino. Un eroe di imprese. 

“Ti sei fatto male?” Non si lasciò sfuggire l’occasione di accarezzargli a propria volta il fianco. “Mi dispiace.”

La mente di Ilya corse a mille per collegare gli ultimi pezzi, si inceppò e riscrisse completamente quella che sarebbe stata il resto della sua nottata. 

“E io che ho rinunciato alla tunica di seta ricamata, perché avevo paura che ci avresti trovato l’odore di un altro uomo” lo salutò così.

Sapeva invece quale odore avrebbe trovato addosso a lui. Non poteva essere sbarcato a quell’ora. Maej, era stato prima da Maej. 

Cercò dentro di sé quella punta di gelosia, ma non la trovò. Da quando aveva smesso di provare fastidio? Forse nemmeno lui era così tanto ipocrita. O forse capiva cosa trovasse il suo capitano di tanto affascinante in Maej.

Si lasciò accarezzare, dunque, e baciare gli occhi con delicatezza.

“Sei più bello così” Morgan spostò la mano lungo tutto il suo petto nudo, fino ad afferrargli la nuca. Pretese un bacio appassionato e Ilya fu più che felice di concederglielo. 

Gli strinse le braccia intorno al collo e per i successivi due minuti lenì il dolore così. Quando si staccò, non c’era neanche più la stanchezza dovuta all’alba che lo coglieva insonne. Solo tanta voglia di ricominciare.


COWT13

Mar. 22nd, 2023 07:11 pm
Settimana: 5
Missione:
 M3
Prompt:
 02. La triade: tre persone hanno una relazione, ciascuno con gli altri due
Fandom: Originale
Rating: G
Warning: /
Note: angst

Lasciatemi affondare

Pov Noah

Quante volte si è ripromesso di spostare le chiavi di casa di Jake sul suo portachiavi? Mai che se ne ricordi, accidenti a lui. Che senso ha averle ricevute, se poi se le dimentica sempre e deve comunque suonare al citofono.

“Chi è?”

È la voce di Steph, distorta dal radiofono ma ancora riconoscibilissima nei suoi toni bassi. Deve essere arrivato prima di lui. Ottimo, almeno non ha scomodato Jake dal letto dove sicuramente è ancora rintanato.

“Sono io, Noah”

La porta si apre con uno scatto metallico. 

Reggendo in equilibrio meglio che può il vassoio di pasticcini, la borsa dei libri e il casco della moto, sgattaiola dentro e lascia che il rimbombo del portone che si chiude lo accompagni per la tromba delle scale. Arrivato al secondo piano, trova Steph ad aspettarlo sulla porta.

Nonostante non sia lui, in teoria, quello bisognoso di supporto, sembra una pezza strizzata e sbattuta troppe volte. Ha un’ombra di occhiaie sopra il velo di barba non rasata, la felpa slabbrata del “tanto oggi non esco” e i pantaloni della tuta ricuciti, quelli messi alla festa di halloween a tema Apocalypse Now. 

“Ciao, dolcezza” si sporge come può per dargli un bacio. Le labbra secche lo graffiano piacevolmente. “Come va?”

“Peggio di venti minuti fa.”

“Uh?”

Steph scuote la testa e lo libera della shopping bag più pesante. “Non sono riuscito a farlo alzare per la colazione. Né per farsi un bagno, o stare insieme sul divano.” Con un sospiro sconsolato, torna nell’appartamento.

Noah lo segue. “Sta tranquillo, ora risolviamo tutto. Le paste di Frankie’s fanno miracoli” le agitò sotto il suo naso, sperando che il buon odore migliorasse anche il suo, di umore. “Alla peggio, prima o poi dovrà andare in bagno, no?”

***

Pov Stephan

Noah posa il vassoio sul tavolo della piccola cucina e si libera della giacca di pelle in un’unica giravolta. 

Gli invidia quella carica, spera solo che non venga risucchiata dal vortice nero in quella casa come è successo alla sua negli ultimi venti minuti.

Lo lascia andare a sondare il terreno in camera. Ha ancora sotto il naso l’odore fragrante dello zucchero lavorato e della crema pasticcera, odore che lo porta a scartare il pacco pasticcero, con solo una piccola punta di senso di colpa. Si merita un diplomatico. Ne ha bisogno, se deve tornare di là e fingere che va tutto bene, che c’è un rimedio per tutto, che per risolvere qualsiasi cosa basta volerlo.

Da un morso al dolce, ma l’impasto sembra molto più amaro del solito. Che pessimo fidanzato che è. Tutte le volte che si è sentito grato per Jake e Noah, e ora che può ricambiare, che tocca a lui essere il porto sicuro della situazione… è un fallimento. Un pessimo fidanzato. Incapace di fare altro se non provare a far uscire Jake dal suo bozzolo con dolci paroline e promesse insignificanti. Gli parla a bassa voce, gli dice che lo ama, che farà tutto ciò che vuole, tutto ciò che lo farà stare meglio; e si sente così inutile quando questo non porta a nessuna reazione. Così odia un po’ Jake per ignorarlo. Poi si sente un mostro per averlo pensato, perché vista la situazione il suo fidanzato la sta prendendo anche troppo bene. 

Si sente in colpa perfino per il sapore dolce che rimane sulla lingua, una volta mandato giù l’ultimo boccone. Sospira. Toglie l’incarto e sistema il resto della colazione per tre, una vana speranza.

Prova a raggiungere gli altri due, fermandosi a spiare sull’uscio della porta. 

Le tapparelle sono abbastanza alte da illuminare la stanza a giorno, ma non fa differenza considerando che il proprietario se ne sta con le coperte tirate fin sopra la testa. Il resto della camera è un macello a cui non è abitato, una noncuranza verso i propri averi che parla - grida - abbandono e dolore. 

Noah sta blaterando qualche frase di conforto, come se leggesse dal suo stesso copione.

“Ha le cuffiette” lo interrompe. Quando ha la sua attenzione, accenna con una mano alle proprie orecchie “quelle bluetooth, le ha messe quasi subito quando ho iniziato a parlargli”. 

Noah aggrotta la fronte. Disappunto. Poi senso di colpa e rassegnazione. Stesso copione. 

Lascia perdere la pantomima e si azzarda a scuotere il monticello di coperte con una mano.

***

Pov Jacob

È arrivato anche Noah. Non che avesse dubbi. Può sentirlo muoversi per la stanza con passi titubanti, un fruscio di stoffa qua e là, qualche oggetto spostato. Non cerca di riordinare, però. Neanche Steph lo ha fatto.

Attacca a parlare e lo costringe a spingersi gli auricolari più a fondo nelle orecchie, finché i bassi e le percussioni non sovrastano il suo fastidioso ciarlare. 

No, non è fastidioso. È dolce e preoccupato e pieno d’amore e voglia di strappargli quel peso di dosso e sbriciolarlo fino a renderlo polvere. Vorrebbe solo avere la forza, ora, per permettergli di farlo.

Ma non ce l’ha, e quindi rock anni ottanta a tutto volume, coperte, buio e solitudine a tenerlo insieme. E che smettessero di scuoterlo, per carità, che aveva già abbastanza nausea così.


COWT13

Mar. 22nd, 2023 07:13 pm
Settimana: 5
Missione:
 M3
Prompt:
 02. La triade: tre persone hanno una relazione, ciascuno con gli altri due
Fandom: Originale
Rating: G
Warning: /
Note: /


Gelatina 

Quando il suo coinquilino, nonché figlio del padrone di casa, nonché uno dei suoi due fidanzati, aveva pronunciato le parole “piscina piena di gelatina” Cody si era aspettato un gonfiabile da bambini grande non più di una vasca da bagno, con una dozzina di gelatine confezionate svuotate dentro. O tre, quattro sacchi di orsetti gommosi, anche quelli erano fatti di gelatina, giusto? Bene, se doveva mettere a mollo i piedi sopra delle caramelle per soddisfare il desiderio pazzo del suo amico, l’avrebbe fatto. In fondo, lui aveva chiesto di peggio alla sua laurea. 

Peccato non ci fosse nessuna piscinetta gonfiabile in giardino, ma la solita, grande vasca con capienza massima di quattro persone, splendente sotto il sole nel suo scheletro d’acciaio e rivestimento in pvc. Il primo dubbio sorse in quel momento. 

Il secondo appena Seth guardò dentro e gli sfuggì un verso da cornacchia. 

“Ma come diavolo hai fatto?” Aveva gridato, occhi fuori dalle orbite e faccia contesa tra l’ammirazione e il ribrezzo. 

Leo gli aveva sorriso, smagliante. Praticamente fece la ruota ad ogni nuova persona che, attirata da quel richiamo, si avvicinò alla piscina per guardarci dentro. Quando quel sorriso fu puntato verso Cody, lui ci lesse la sfida indolente che tanto spesso gli decorava le labbra.

Si avvicinò a sua volta, uno spiacevole presentimento che si faceva più pressante a ogni passo.

Non può averlo fatto davvero.

“Piscina piena di gelatina” rientrava nella categoria “eufemismi”. Era una di quelle cose che si diceva con la consapevolezza che fossero esagerate, così, tanto per far scena. Cody diceva “rifiuti bio-radioattivi” quando si riferiva ai regalini del cane del padrone di casa. Leo stesso chiamava “fare il bagno nel latte” le due dita di bagnoschiuma al latte di cocco che gettava solitamente nella vasca quando voleva fare il pretenzioso.

Quindi non poteva averlo fatto davvero.

Dovette fastidiosamente alzarsi sulle punte per guardare oltre il bordo della piscina. Bastò una frazione di occhiata per venire accecati dal rosso magenta, tanto rosso magenta, slavato e lucido. Gli diede leggermente alla testa.

Non può. Averlo. Fatto davvero.

Gelatina ovunque spostasse lo sguardo, granulosa e abbastanza densa - o spessa - da nascondere il fondo. A occhio e croce doveva arrivare sopra il ginocchio. Cubi e cubi di gelatina.

“Allora” Leo gli si affiancò, afferrandogli una mano con la spalla “Che te ne pare?”

Sorrideva ancora come una dannata medaglia d’oro.

E Cody, a costo di sembrare un pappagallo, si lasciò sfuggire un altro “Ma come diavolo hai fatto?”

Leo fece la ruota. “Acqua filtrata dal tubo. Additivi al sapore di ciliegia. E tanto, tanto addensante in polvere.”

“Tu sei pazzo.”

“Come disse il grande Jack Sparrow…”

“Per piacere, risparmiatela.” Seth si unì a loro, portando due bicchieri di plastica colorati. Passò quello verde a Cody, tenne l’altro per sè. Allo sguardo insistente di Leo rispose con un “Ti stanno preparando il biberone di là, festeggiato.”

Cody non riusciva a spostare l’attenzione altrove, non con quella… impressionante cavolata che aveva davanti. E non capiva come gli altri non fossero minimamente preoccupati. 

“Tu non ti aspetterai davvero che ci entriamo.”

“Certo che sì.” L’espressione del ragazzo si fece sognante. “Praticamente l’ho fatta solo per voi due. Non vedo l’ora di vedervi lottare nudi e ricoperti di gelatina.” E improvvisamente il braccio che lo avvolgeva lo faceva sentire in trappola.

Scambiò una serie di sguardi con Seth, e una conversazione silenziosa che procedette più o meno così: 

“Questo qui è completamente impazzito”

“Lascialo illudersi quanto vuole”

Sguardo alla piscina. “Ti amo, ma col cavolo che mi butto nella gelatina con te”

Sguardo al tavolo degli alcolici. “A breve sarà talmente ubriaco che si dimenticherà perfino di avercela, una piscina”

Sguardo alla mano-trappola. “Liberami, ti prego”

“L’hai almeno assaggiata? Sai che non è come le gelatine che compri al supermercato.” Seth mollò il proprio bicchiere vuoto in mano a Leo. “Prendine un po’, così la provo. Dopo di te, ovviamente.”

“Ovviamente.” Leo lo scimmiottò e gli fece una smorfia, ma andò comunque ad arrampicarsi sulla scaletta per immergere il bicchiere nella piscina. 

Libero da qualsiasi restrizione, Cody si rivolse all’altro ragazzo con una certa urgenza. “Io torno in casa. Qui fuori non ci metto più piede. Vieni con me?”

Seth ridacchiò. “Credi davvero che ci prenderà di peso e ci butterà lì dentro?”

“Tu no?”

Aprì la bocca per replicare, ma lui fu più veloce. “Quand’è l’ultima volta che Leo non ha ottenuto ciò che voleva?”

Ad ogni secondo speso a pensare ad una risposta, la fronte di Seth si aggrottava sempre di più.

“Vieni con me” insistette, prendendogli una mano. “Andiamo a spulciare i nuovi dischi in camera mia e, quando arriva, ci nascondiamo nell’armadio.”

Seth rise più apertamente. 

Più in là, Leo atterrò sul prato e alzò in segno di vittoria il bicchiere ora pieno. 

Cody prese a tirarlo per un braccio.

“E va bene, giochiamo a nascondino,” finalmente i piedi di Seth si sbloccarono “vediamo quanto ci mette il lupo a scovarci e mangiarci.”


COWT13

Mar. 22nd, 2023 07:14 pm
Settimana: 5
Missione:
 M3
Prompt:
 03. La freccia: una persona ha una relazione con altre tre, che però non hanno una relazione tra loro
Fandom: Originale
Rating: T
Warning: prostituzione
Note: /


Tre Farfalle per un Giglio

I ritmi di Rea Marina erano scanditi per lo più dal mare, così come avrebbe dovuto essere per ogni città portuale. Il Giglio Rosso non faceva eccezione. Se il mare era agitato, il vento troppo forte e il cielo minacciava tempesta, poche navi avrebbero rischiato un attracco. I ragazzi e le ragazze del palazzo, dunque, potevano aspettarsi poco via vai quella sera, e occuparsi di altre faccende. Con le acque calme e il vento a favore, invece, c’era poco da fare se non tirarsi a lucido e bere un po’ di tisana rinvigorente, in attesa del calar del sole. 

Durante le settimane di inizio estate, poi, il tratto di mare che bagnava Rea Marina si riempiva di salmoni giganti, in piena migrazione verso correnti più fredde. Era pesca grossa. Insieme a loro migravano anche un bel po’ di pescherecci e mercantili, che li seguivano per tutta la costa fino all’estremo nord.

Il Giglio Rosso era pieno come in poche altre occasioni in quei giorni. Nessuno si prendeva una serata libera, o si dava malato. Con un pizzico di fortuna, tre settimane di lavoro avrebbero fruttato quanto tre mesi invernali. 

Ci fu solo un anno in cui questa tradizione venne interrotta. Un anno in cui i più ricchi e rinomati capitani della marina, mercanti e cuochi di pesce si presentarono al Giglio Rosso per scoprire che un’intera ala era chiusa al pubblico, solo metà dei ragazzi era disponibile ogni sera e che le tre punte di diamante del palazzo sarebbero state fuori dai giochi fino a data indefinita. 

“Perché mai?” Chiedevano, oltraggiati. Quella non era l’accoglienza che si aspettavano, la notorietà per cui avevano deciso di dilapidare patrimoni. Ma ogni ogni cliente dovette scendere a patti con il fatto che nessuno di loro avrebbe surclassato il padrone del palazzo.

Il Giglio Rosso, quello vero, il tenutario in carne e ossa stava tornando a casa, dopo un anno passato alla corte del re. 

Il palazzo era in fermento. I servitori correvano qua e là a sistemare il sistemabile. I contabili, con le mani tra i capelli, le tentavano tutte per far quadrare i conti, con il tempo ormai agli sgoccioli. E ragazzi e le ragazze del piacere spettegolavano eccitati, si assicuravano di essere in regola con i pagamenti e scommettevano su chi dei tre favoriti sarebbe ripartito per la corte il mese successivo.

Il padrone non aveva mai toccato nessun altro che non fosse Alain, Kaya o Jinora. 

Alain girava per i corridoi sventolando le sue lettere vergate di inchiostro rosso, tanto intime e care, come fossero la prova di una vittoria a tavolino. E quando non le sventolava, le teneva serrate nel pugno come un’ancora; le stropicciava e tentava di lisciarle, e le serrava di nuovo tra le dita. Quando i nuovi arrivati gli chiedevano di parlargli di quel padrone misterioso e di cui avevano solo sentito parlare, si gonfiava tutto e sviscerava ogni pregio che gli venisse in mente, ma mai come fossero finiti a letto insieme. O come lo avesse conquistato. 

Il Giglio Rosso lo aveva trovato battere sulla strada, gli aveva offerto una torta e si era beccato un pugno in un occhio quando aveva suggerito di chiamare uno dei più piccoli perché si unisse a loro. Invece di maledirlo, era scoppiato a ridere. E Alain si era ritrovato con un tetto sopra la testa, uno sgabuzzino da chiamare suo e un datore di lavoro decente, per una volta. Non se n’era più andato.

Jinora aveva svaligiato tutte le mercerie e profumerie della città, e cambiava mise come fossero fazzoletti per il naso. Sembrava la più in apprensione, sebbene negasse con forza appena glielo si facesse notare. Non aveva niente di cui preoccuparsi, diceva, perché il padrone l’aveva vista nel suo momento più buio e aveva comunque riconosciuto la sua immensa bellezza, e l’aveva voluta.

Il Giglio Rosso l’aveva strappata ad un amante tossico e abusivo, rimessa in piedi e mostrato una via quando la vita sembrava così vuota, incolore e senza senso. Ora era la donna più bella e adorata di Rea Marina. Non c’era proprio paragone.

Kaya si era rinchiusa nella sua stanza, in cerca della pace interiore o di chissà cos'altro. Si faceva portare i pasti, andava in bagno alle due di notte e a mezzogiorno, quando erano praticamente deserti. Le teorie fioccavano. Alain diceva che aveva avuto un esaurimento nervoso. Jinora, che un cliente l’avesse messa incinta nel momento peggiore.

Fu solo la fatidica sera che uscì finalmente dalla camera e si presentò con tutti gli altri all’ingresso. Non era incinta. Non sembrava neanche appena ripresa da un crollo di nervi. Era posata e splendida come sempre, i riccioli scuri acconciati in una cascata punteggiata di perle e truccata e vestita con i colori della luna, una dea incarnata.

Le ruote scricchiolarono sulle pietre, accompagnate dallo scalpiccio di zoccoli. La carrozza era arrivata. Il silenzio calò a fatica nel salottino, troppe persone, troppa eccitazione trattenuta a fatica.

Le tre punte di diamante si impettirono come corde di violino. Il Giglio Rosso era arrivato.


CPWT13

Mar. 22nd, 2023 07:16 pm
Settimana: 5
Missione:
 M3
Prompt:
 03. La freccia: una persona ha una relazione con altre tre, che però non hanno una relazione tra loro
Fandom: Originale
Rating: T
Warning: prostituzione
Note: /


Il Lord, Il Messere e il Ragioniere

Lord Bering lo lasciò sui gradini del Giglio Rosso, con un bacio dolce come il miele e la promessa di rivedersi quella sera.

Enma si sciolse più che mai tra le sue braccia. Felice per la colazione nella migliore pasticceria della città, e ancora di più per tutti gli altri regali che gli appesantivano la borsa. Da quando il suo lord aveva ricevuto la nomina di tenutario della riserva di caccia del re, non faceva che riempirlo di regali e attenzioni. Non gli lasciava quasi più tempo per gli altri suoi clienti; cosa non necessariamente un male considerando che lo pagava più di quanto avrebbe guadagnato in una normale sera a palazzo. 

Sorridendo e sbatacchiando la borsa per il solo gusto di sentirla risuonare metallo contro metallo, entrò. Puntò dritto al secondo piano, verso gli uffici.

Era raro trovare qualcuno gironzolare in quei corridoi. I contabili non vivevano nel Giglio Rosso, arrivavano la mattina e se ne andavano la sera. Per il resto del tempo rimanevano per lo più seduti alle loro scrivanie, scartabellando numeri su numeri. Non avevano affari da sbrigare ai piani bassi. 

Enma era uno dei pochi ad avere un motivo per avventurarsi lassù, oltre quello mensile di versare la propria quota di vitto e alloggio. 

Come d’abitudine, superò una porta dopo l’altra fino alla penultima sul lato ovest. Entrò senza bussare. Schivò l’attaccapanni e il cesto per la carta straccia che sapeva trovarsi sulla strada per la scrivania e con un saltello si mise a sedere sul ripiano della scrivania.

“Ho la quota del mese, in anticipo” disse al contabile stupito che aveva davanti. E, incapace di contenere l’entusiasmo, si chinò a baciare anche lui.

Soffocò lo squittio di Rey sulle sue labbra e fu irremovibile finché non lo sentì partecipe.

“Pensavo che fossi già apposto questo mese?” Disse Rey, non appena tornò ad avere la bocca libera di parlare. 

Gli occhiali tondi gli erano scivolati sul naso e li spinse su con un dito, per poi cercare di sfilare alcuni fascicoli da sotto il suo sedere.

“Uhm?” 

Enma si portò a cavalcioni su di lui e, senza badare troppo alle sue parole, tirò fuori dalla borsa l’ultimo regalo di Lord Bering, per mostrarglielo. 

La sola confezione in madreperla valeva duecento archi, l’anello al suo interno almeno il triplo. “C’è da portarla al cambia-valori e togliere una parte per il servizio, ma dovrebbero comunque rimanermi più di settecentocinquanta archi.” La porse a Rey. “Te ne occupi tu? Per me?”

Rey puntò lo sguardo sull’oggetto e annuì distrattamente, ormai del tutto assorbito nella sua valutazione. Poteva immaginare gli ingranaggi in quel suo splendido cervello da matematico processare a più non posso, soppesando la qualità dei materiali, le oscillazioni del mercato, domanda e offerta. Non resistette nel rubargli un altro bacio, e uno ancora, e ancora.

“É stato il lord di Chiaravalle a regalartelo?”

Enma assentì. 

“È molto generoso”

Assentì di nuovo.

“È un bene, suppongo”

Enma sorrise affondato nel suo collo. Era così raro sorprendere Rey geloso, comprensivo di natura com’era. 

“Passerò dal cambia-valori domani. Comunque ero sincero prima, credo che il tuo conto sia apposto.”

Tirò indietro la testa per guardarlo storto, le sopracciglia aggrottate. “Non può essere. Tre giorni fa mi mancavano ancora mezzo migliaio di archi.”

Rey lo fece scendere dal suo grembo e si alzò dalla postazione alla scrivania. Dall’armadio a muro aprì un cassetto e scorse i fascicoli fino a trovarne uno in particolare. La aprì, assorto. Tornato a sedere, riprese Enma su di sé e gli indicò una riga del registro in particolare. 

“13 Vesprino, un versamento di seicento archi. Conto del mese saldato e sei in credito per il prossimo di sedici archi e tre falci.”

“Deve esserci un errore, ieri non sono neanche passato da te.”

“No, infatti il versamento è a nome di Ottavio Floras” Rey fece spallucce “Mi ha fatto portare l’acconto da un servo.”

Lo disse come se non ci fosse niente di strano.

Enma lo guardò come se fosse fosse diventato scemo tutto d’un botto.

“Ottaviano ti ha dato seicento archi per saldare il mio debito?”

“Sì? Era il pagamento per la notte scorsa, no? So che è venuto a trovarti. E lui sa che noi due…” Rey indicò entrambi, sempre più a disagio “che mi occupo io dei tuoi conti.”

Solo che messer Ottavio lo aveva già pagato, subito prima di augurargli la buonanotte e imboccare l’uscita del Giglio Rosso.

“Va tutto bene?”

“...Sì. Sì, meglio così” Enma scosse quei pensieri fuori dalla testa. Di un cliente generoso non si sarebbe mai lamentato. E in quel periodo sembrava che la fortuna lo avesse preso proprio in simpatia. 

Aveva il suo Lord Bering, e il suo messer Ottavio. E aveva anche Rey. Non poteva chiedere di più.

Tornò a stringersi al suo collo. “Fai una pausa” pretese. 

“Ho i bilanci dell’ultimo trimestre da…”

Lo zittì con un bacio, poi scosse la testa, sorridendo. “Riprova”

Un sospiro “Enma…”

Un altro bacio. “Fai una pausa.”

E Rey lasciò perdere i registri.


COWT13

Mar. 22nd, 2023 07:17 pm
Settimana: 5
Missione:
 M3
Prompt:
 04. La U: due persone hanno una relazione, ciascuno dei due ha una relazione anche con un'altra persona
Fandom: Originale
Rating: T
Warning: prostituzione
Note: /


Oro e pomice

Daron si ripresentò davanti alla porta della camera di Ciel dieci minuti dopo averla chiusa alle proprie spalle, imbarazzato. L’altro ragazzo Ne fu comprensibilmente sorpreso.

“Ho dimenticato la mia chiave qui.” Disse e indicò la scrivania dove era quasi certo di averla lasciata.

Se ne era reso conto quando aveva incrociato Enma lungo il corridoio, che scendeva con la propria in mano per andare a lasciarla all’ingresso.

E infatti eccola lì, tra un tagliacarte e una pila di manoscritti, luccicante alla luce del sole morente. La prese in mano. I dentelli arrotondati si erano fatti familiari nella sua presa, così come la consistenza levigata della pomice. Si rispecchiava molto in quella pietra piena di venatura e sfumature grigio cenere. Meno affilata dell’argento, più soffice del ferro, ma con lo stesso nucleo resiliente. 

Aggiustò gli occhielli del fiocchetto e si assicurò che tutti i lacci con le perline tenessero bene i loro nodi. Magari prima di scendere sarebbe passato in camera propria per aggiungere una spruzzata di profumo, non ne era rimasta che una debole traccia, per lo più di agrumi freschi. Meditava da qualche giorno di aggiungere anche un pizzico di olio d’argan, come quello che usava per i capelli. Ciel lo adorava e credeva che anche ai clienti sarebbe piaciuto.

Le braccia di lui lo avvolsero da dietro e il viso andò ad immergersi tra i ricci sulla sua nuca, lì dove il calore rendeva il profumo più forte. Un’ombra di un bacio vorace, lo sfiorare di denti che prometteva di divorarlo. 

“Pensavo fossi tornato per il bis.”

Le mani avevano preso a muoversi indolenti sul suo corpo, carezze leggere che però sapevano dove toccarlo, dove gli piaceva di più. La sorpresa era sparita velocemente, sostituita da una fame palpabile.

“Mi piacerebbe” Daron si appoggiò al petto che lo sorreggeva, debole alle sue lusinghe, “ma sono quasi certo che questa sera Nikolai verrà a trovarmi. Che cosa dovrei dirgli, se non riuscirò neanche a camminare dritto?”

La chiave gli venne sottratta dalle mani. Con un abile gioco di mano, Ciel la sostituì con la sua. 

Era l’unica d’oro tra tutte. Nessun altro usava quel materiale, e non solo per il suo costo. L’oro fissava uno standard di per sé, sbatteva in faccia ai modesti la sua irraggiungibilità e ricordava ai più ricchi che maneggiavano un tesoro elitario, non alla portata di tutti. Ci voleva una certa sicurezza, tutt’altro che frivola, per ammantarsi del metallo dei re. 

E Ciel quella sicurezza ce l’aveva. Lo dichiarava apertamente ogni volta che posava la chiave giù all’ingresso, spessa e pesante tra tanti monili fini ed eleganti. La sua era semplice, senza fronzoli non necessari. Senza nastri. Senza pietre preziose. Intarsiata con un motivo di uccelli ad ali spiegate e tanto bastava ad attirare lo sguardo.

Daron adorava sentire quei motivi sotto i polpastrelli, accarezzarli finché non spiccavano il volo.

“Come se dovessi camminare molto.” Disse Ciel, e non aveva tutti i torti. “E poi potresti dirgli semplicemente la verità, quella che io direi a Alicent: che sei stato con me.”

Non era così semplice, e lo sapeva. “Nikolai e Alicent sono molto comprensivi, ma sono comunque clienti. Un conto è sapere che ci frequentiamo e lasciarci le stesse serate libere, un conto e sbatterglielo in faccia ad ogni occasione. Non possiamo rischiare di indispettirli.”

Trovò la forza di staccarsi dal suo abbraccio. La chiave d’oro rimase nella sua mano, l’altra la porto alla sua guancia per lasciarvi un buffetto di scuse.

Ciel sospirò come se stesse scendendo a patti con la più amara delle concessioni. Non era serio - non riusciva a nascondere davvero il sorriso - ma gli fece comunque provare voglia di tornare nel suo abbraccio.

“D’accordo. Ma, per la cronaca, avrei tanto voluto quel bis.” Disse.

Non gli restituì la chiave e Daron non la chiese indietro. Lo seguì fuori dalla porta e insieme si diressero al piano inferiore, unendosi alla fiumana di ragazzi e ragazze che si rendevano disponibili per la serata. una volta arrivati nell’ingresso affrescato, lasciarono ognuno la chiave dell’altro sul tavolo al centro e rimasero a ciondolare per qualche momento, ognuno immerso nei propri pensieri.

Fu istintivo per Daron cercare il compagno sulla parete. Lo avevano dipinto sulla parete al lato sud, supino come se si fosse appena svegliato. Ariel, una delle ragazze, aveva una mano distrattamente appoggiata sulla sua spalla e il suo vestito di intangibile chiffon si allungava fino a coprire anche la nudità di Ciel. I suoi occhi trapassavano la parete e la seconda dimensione. Ricordava quanto l’artista avesse faticato a trovare i pigmenti giusti per replicare quel miscuglio di colori nocciola, verde e ambra.

Alicent aveva detto “Dì al pittore di lasciar perdere, solo Madre Natura è capace di realizzare tali bellezze.” 

Daron tendeva a concordare con lei, quando si parlava di Ciel.

“Lei verrà questa notte?” Chiese, strappandolo dalla contemplazione del nuovo vestito di Kaya.

“Probabile, se non la tratterrano in tribunale.”

“Falle i miei saluti.”

Ciel annuì e gli fece segno di incamminarsi. Mancava poco al primo rintocco della sera. Era ora di prepararsi a dovere. Di farsi belli quanto le loro chiavi.


COWT13

Mar. 22nd, 2023 07:19 pm
Settimana: 5
Missione:
 M3
Prompt:
 05. La quadriglia: quattro persone hanno una relazione, ciascuno con gli altri tre
Fandom: Originale
Rating: G
Warning: /
Note: /


La misura della felicità

Benjamin ha insistito perché andassero a prendere il cucciolo tutti insieme. Non tanto per sceglierlo; sono tutti adorabili in foto e non c’è possibilità che non si innamorino all’istante. Piuttosto, gli è sembrato un passo troppo importante per non farlo tutti insieme, il primo per il nuovo membro della famiglia. 

Quindi sì, Benjamin ha insistito. Ha insistito perché Alex si prendesse la mattinata libera dal lavoro. Ha insistito perché David facesse fare la chiusura del bar la sera prima da un collega, così magari la mattina si sarebbe svegliato a un’ora utile. Ha insistito perché Charlie saltasse gli stupidi allenamenti del sabato, che non sono stupidi perché il basket è un gioco stupido - sebbene avrebbe molto da dire su questo - ma perché sono di sabato mattina, quando devono andare a prendere il cucciolo.

Ed è stato accontentato.

Di più, con la scusa della sveglia presto, del passo importante e tutta quella roba lì, li ha anche convinti a dormire insieme. 

“Alex, occupi tutto lo spazio.”

“Spero tu non stia insinuando che sono grasso.”

“No amore, solo ingombrante”

“Ehi! Quello è il mio fianco, Dave!”

“E allora fatti più in là anche tu!”

Con tutte le problematiche del caso.

“Stavo dormendo così bene” sospira, senza aprire gli occhi. Tanto sa che gli altri lo hanno sentito.

“A proposito, dolcezza,” il tiepido braccio sotto la sua testa si tende “mi formicola tutto.”

Strofina il viso in quel cuscino per qualche secondo ancora, prima di alzare la testa e permettere a Charlie di riprendersi l’arto. Si volta e apre finalmente gli occhi.

“Arrapato come sempre” Sta dicendo David in quel momento, il malumore mattutino rivolto ora su Charlie “non manchi mai una mattina, davvero impressionante.” 

Lo spicchio di luce che sfugge alle tende gli illumina metà petto, i segni del cuscino stropicciato sulla guancia, un occhio socchiuso e avido del suo azzurro intenso. Il tutto ha uno strano ma piacevole effetto, tipo composizione fotografica. È indubbiamente il più bello di tutti loro, e se solo fosse indolente e amabile, piuttosto che scazzato e musone, sarebbe il miglior motivo per svegliarsi la mattina.

“Non intendevo formicolio in quel senso!”

Alex scavalca Charlie e li lascia al loro battibecco; si avvicina a Benjamin con un sorriso cospiratore e gli parla con voce appena udibile.

“Buongiorno” gli lascia un bacio sul naso e prende ad accarezzargli i capelli e le tempie, in un modo che Benjamin sa essere ad alto rischio di farlo riaddormentare

“Mh, ‘giorno” si appropria del suo braccio questa volta e ci posa sopra la testa. Alex lo lascia fare, continuando le sue carezze.

“Che ne dici della colazione a letto? Dato che oggi è un giorno speciale, tanto vale esagerare.”

“Certo.” Poi, siccome conosce bene i modi di fare di Alex, “Mi stai chiedendo di andarti a preparare i pancake, o vuoi solo rimanere ancora un po’ a letto?”

“I tuoi pancake sono i migliori. I più buoni.” Un altro bacio sul naso, di scuse. “E non abbiamo un vero e proprio orario per andare al ranch, no?”

Un tonfo alle sue spalle li fa molleggiare entrambi sul materasso. A quanto pare Charlie ha deciso di zittire i rimbrotti di David nel modo più efficace, e magari provare anche a fargli passare il malumore.

“Per fortuna che non eri arrapato” è la constatazione di Dave quando può di nuovo parlare, ma continua a stringergli le braccia al collo e tenerlo sopra di sé.

Benjamin li guarda e sente la solita spinta verso di loro, quella voglia che gli fa prudere il collo e i polsi e arricciare le dita, che vorrebbe farlo muovere per raggiungerli e intrufolarsi in quella bolla di intimità, magari portandosi dietro anche Alex.

“Pancake, sì. Oggi è un giorno da pancake.” Annuncia.

Viene premiato da un sorriso abbacinante di Alex, il mugolio di apprezzamento di Charlie e l’occhiata di Dave giusto un po’ meno ostile di prima, che sa scomparirà del tutto appena mandato giù il primo boccone.

È il primo ad alzarsi veramente, a raccattare qualcosa da mettersi addosso e a dirigersi in cucina. Mentre armeggia con uova, farina e latte, sente anche gli altri lasciare piano piano il nido ed aggirarsi per casa.

Charlie è il primo che lo raggiunge, recuperando la piastra da uno scaffale alto e attaccandola alla corrente. Gli stringe i fianchi e assaggia le pelle del suo collo, invece della ditata d’impasto che gli offre.

“David ha ragione, stamattina sei più su di giri del solito.” Dice Ben, cercando di riappropriarsi del suo spazio vitale. “Non abbiamo tempo ora…”

“Non puoi biasimarmi.” 

No, non può. Da quando sono andati a vivere insieme, Benjamin al risveglio si sente o incredibilmente fortunato, o incredibilmente eccitato. O entrambi.

“E se il cucciolo prendesse l’abitudine di dormire con noi?” Chiede, più a sé stesso che all'altro in realtà. Sempre più spesso i suoi pensieri ruotano intorno a quell’indefinito nuovo coinquilino per cui ha tanto insistito. Non vede l’ora. Ma addio alle loro mattine movimentate.

“Impossibile. Alex non lo permetterà mai.”

Benjamin non ci crede più di tanto. Alex è stato il più reticente nell’avere “una palla spargi-pelo e uggiolante” per casa solo finché non sono arrivate le prime foto. Poi le lamentele si sono ridotte drasticamente, con la stessa velocità con cui sono comparsi rotoli di nastro acchiappa-pelo, spazzole per cani, accessori per la toeletta e copertine di pile. Ce n’è già una sulla cassapanca ai piedi del letto, coordinata alla trapunta.

David accorre in suo soccorso e si porta via Charlie, dirottando entrambi verso il bagno, in nome della buona riuscita dei pancake. E Benjamin torna al suo compito principale, assaporando le promesse della giornata sulla punta della lingua. Se il cuore avesse una misura massima per la felicità, il suo rischierebbe di scoppiare.


COWT13

Mar. 22nd, 2023 11:34 pm
Settimana: 5
Missione:
 M3
Prompt:
 02. La triade: tre persone hanno una relazione, ciascuno con gli altri due
Fandom: Originale
Rating: G
Warning: /
Note: /


L’incoerenza dei ricordi

  1. Al volante

L’auto di Jasper era tale solo alla motorizzazione. In realtà, di sua madre, ma tant’è. All’atto pratico, Wendy era l’unica che si ricordava di metterci sempre il gasolio e la usava per andare a prendere a scuola i bambini a cui faceva da babysitter. Robin non poteva fare a meno di prenderla in prestito almeno una volta al mese per i suoi weekend fotografici. Jasper la usava più che altro per trasportare le sei taniche d’acqua che riempiva al distributore del quartiere.

Senza un vero proprietario, dunque, avevano dovuto escogitare un metodo veloce ed efficace per decidere l’assegnazione dei posti a sedere quando erano insieme. Come quella sera, per andare al cinema.

“Hai i tacchi.” Jasper puntò i piedi di Wendy con un dito. Alti e sottili, gli sembravano scomodissimi per guidare, se non proprio pericolosi.

“Guido benissimo con i tacchi.”

“Sicura?”

“Meglio di te.”

“Ok, ragazzi” Robin alzò le mani, una chiusa a pugno sull’altra aperta. “Al tre.” E cominciò a contare.

Se Wendy sui tacchi era un fenomeno al volante come diceva, non lo scoprirono quella sera. 

Al secondo giro, Robin si guadagnò le chiavi dell’auto.

“Per chi sta davanti?” Chiese Jasper a Wendy. All’assenso della ragazza, contò fino a tre e calò sul palmo aperto forbici.

Wendy esultò, sventolandogli davanti alla faccia il pugno vittorioso.

 

  1. Ci sono sauri e sauri

Solitamente, Robin era felice che il suo fratellino avesse ereditato la sua stessa passione per l’arte e disegnava in sua compagnia con piacere. Anzi, si poteva dire che il loro fosse proprio un rituale. Sgombravano il tavolo in cucina e sistemavano a dovere i materiali; uno tele già schizzate e acrilici, l’altro fogli A4 e colori a cera. Al momento, Nicolas stava passando un periodo artistico facilmente riassumibile in “dinosauri” e anche Robin aveva deciso di dargli una possibilità. A suo modo.

“Questo” diede l’ultima pennellata alla sagoma squadrata che aveva davanti “è un eterosauro.”

Nicolas approvò con un mugugno, mettendosi la punta del colore rosso contro la bocca. 

“Assomiglia a uno peterodattilo.

“Vero.” Prese un po’ di nero e andò a delineare meglio le ombre di un’altra figura. “Questo un demisauro.” Ne puntò un altro. “Questo è un arosauro che è finito per sbaglio tra i lesbiosauri.”

Nicolas assentì di nuovo, con gli occhietti assottigliati.

“Questi tre sono poligamosauri.”

“Come te!”

“Già, proprio come me, Wendy e Jasper. Poi ci sono i monogamosauri, che però pascolano altri campi.”

Nicolas cambiò colore e indicò con l’arancione lo sgorbietto che occupava la maggior parte del suo disegno. “Poi arriva il tirannosauro che se li mangia!”

Fu il turno di Robin di annuire. “Sì, il tirannosauro, della famiglia degli omofosauri, ordine degli imbecillosauri. Ti è venuto proprio bene.”

Nicolas sorrise a venti denti. 

 

  1. Ramanzina doppia

Wendy faceva fatica a far capire ai suoi fidanzati che c’era differenza tra il dimenticarsi di mangiare perché sovrappensiero e la tendenza all’anoressia. Tanta differenza. E tanta fatica.

Per loro non ci si poteva dimenticare di mangiare. Avevano sempre fame, loro. E mangiavano come se temessero che qualcuno potesse rubargli il piatto da sotto il naso, loro.

Per lei era un po’ diverso. C’erano talmente tante cose che incidevano sul suo appetito: lo stress, i turni frenetici a lavoro, i prevedibili imprevisti, il ciclo, le chiamate delle sue amiche lunghe un’ora, i Brangelina che si rimettevano insieme in diretta… Poteva capitare che saltasse un pasto. Era salutare? Non proprio. Ne era consapevole? Sì, diamine.

“Che cosa hai mangiato oggi?” 

“...Del caffè.” 

Ed ecco che Jasper la guardava come se gli avesse detto di aver calciato un gatto giù dalle scale. La ramanzina stava per arrivare, e non si sarebbe fermata per un bel po’.

L’entrata in salotto di Robin le diede un’inattesa speranza. “Robin, puoi…?” Gli fece cenno verso la macchinetta inceppata, ma anche questa aveva notato la new entry.

“Chiedile che cosa ha mangiato oggi.”

Un’intesa che disapprovava rimbalzò da sguardo a sguardo, e anche l'espressione di Robin si offuscò.

“Che cosa hai mangiato oggi?” 

Wendy sospirò. Stava per passare dalla padella alla brace.

“... Del caffè.” 

 

  1. Il filo del destino

Il “lavoro a maglia” era quella cosa che riusciva benissimo a Wendy, incuriosiva terribilmente Robin e lasciava Jasper con seri dubbi sulle leggi fisiche che governavano quello strano fenomeno. Che poi la madre di quest’ultimo avesse improvvisato un corso accelerato quel pomeriggio a casa sua, era ancora da definire una cosa buona o meno. 

Tra tutti e sei i genitori, era quella che meno si faceva problemi per la loro relazione. Tanto bastava ad eleggerla “Best Mom dell’anno”. Però a quel corso lui non ricordava affatto di aver acconsentito.

Eppure eccolo lì, a sfilacciare un lavoro mal riuscito, così che Robin potesse riavvolgere il filo in una matassa ordinata e a Wendy arrivasse la giusta lunghezza per portare avanti la magia. Stava venendo fuori una bella sciarpa, sebbene il suo contributo fosse il più discutibile. E il tintinnio costante dei ferri era quasi rilassante.

Sua madre tornò dalla cucina, dove era andata ad assicurarsi che i biscotti in forno cuocessero bene. Annunciata dallo squillare del cellulare, entrò con l’apparecchio telefonico incastrato tra l’orecchio e la spalla, quattro spuntoni in una mano e un vassoio con quattro bicchieri nell’altra. Si fermò a guardarli.

“Scusami Marilù, ora non posso parlare. Sono al cospetto delle Tre Parche.”

Wendy sorrise, senza fermare il proprio lavoro. “Adoro tua madre.”


Profile

nemi23

April 2025

S M T W T F S
  1234 5
6 78910 11 12
1314151617 18 19
20212223242526
27282930   

Most Popular Tags

Style Credit

Expand Cut Tags

No cut tags
Page generated Jul. 2nd, 2025 04:01 pm
Powered by Dreamwidth Studios