Settimana: 2
Missione: M1
Prompt: Un personaggio si prende cura di un altro personaggio infortunato, malato, e/o bisognoso di conforto Fandom: OriginaleRating: TWarning: /Note: /Il cavaliere e la chimera
Vaniard di Castelbrullo, capitano dei cavalieri dell’Ordine dei Giusti, non aveva mai preparato un bagno in vita sua. Lo ammetteva con vergogna. Nato e cresciuto come nobile, c’era sempre stato qualcun altro ad occuparsi di quell’incombenza, lasciando a lui solo il compito di immergersi nell’acqua calda e profumata. La cosa non sembrava in procinto di cambiare in futuro, quindi non si era mai preso il disturbo di imparare.
Nondimeno, chiedere alla serva - Agnes, principalmente al servizio di sua madre, discreta e affidabile - dove avrebbe dovuto scaldare l’acqua e quali prodotti si usavano per cosa fu umiliante.
Si ripromise di non giudicare più i contadini incontrati nei campi ai lati delle strade maestre, che impugnavano bastoni e li agitavano in aria in modo ridicolo, sognando una vita onorevole.
Immerse la mano nella vasca circolare per sentire la temperatura. Piacevolmente tiepida, adatta a una giornata di fine primavera. L’acqua riluceva del colore liquido della seta argentata, appena schiumosa, e tratteneva il profumo dei fiori di ciliegio che decoravano i giardini della tenuta. Agnes aveva sconsigliato odori troppo forti, sebbene la chimera fosse un maschio, e Vaniard aveva scelto quello perché gli ricordava le passeggiate a cavallo al tramonto, seguendo il ruscello verso valle. Sperava gli piacesse.
La chimera senza nome lo aspettava in camera, dove l’aveva lasciata. Si era ripromesso di scegliere come chiamarlo al più presto e forse aveva trovato una soluzione. Tra le mille proposte, infatti, una in particolare sembrava aver colpito la piccola creatura.
Jun. Sogno. Jun’ta mori, gli aveva sussurrato una sera, usando la lingua di sua madre. “Bei sogni”. Lo aveva poi beccato, nei giorni seguenti, a tentare il suono di quelle parole tra i denti, storpiandole un po '. Jun. Jun. Jun. Si zittiva, quando si accorgeva di essere osservato. Ma la notte, prima di coricarsi, Vaniard sentiva la sua attenzione addosso, una certa aspettativa per quelle parole.
“Il bagno è pronto” disse, facendogli cenno di raggiungerlo. “Vedrai che ti sentirai molto meglio.”
Spogliato delle molte coperte, la chimera era praticamente nuda. Non avevano ancora capito come vestirlo. Le ali per lo più spiumate ma imponenti, ciò che rimaneva delle corna e la coda erano impedimenti più problematici di quanto si direbbe a una prima occhiata. Non c’era modo di infilargli dei pantaloni o una casacca.
“Devi essere originario di un clima caldo.” Rifletté a voce alta, senza aspettarsi risposta. Aveva preso quell’abitudine ormai. La chimera sembrava più tranquilla quando sapeva cosa gli passava per la testa, sebbene solitamente non partecipasse alle conversazioni.
Lo aiutò a entrare nella vasca. Fu un’operazione complessa già in partenza: dovette quasi immergercisi lui per primo, per dimostrargli che andava tutto bene, l’acqua era gradevole, non c’erano sotterfugi o trappole o strane torture in agguato.
“Vedi? Va tutto bene, è solo un bagno. Per scaldarti e pulirti. Mi hanno assicurato che questo sapone non pizzica sulle ferite, anzi aiuta a lenire il rossore.” E di graffi da aggirare ce n’erano molti.
Una gamba dopo l’altra, infine la chimera si immerse fino alle clavicole, rimanendo fermamente aggrappata al bordo con le mani. Vaniard aspettò che si abituasse un poco. Appena sentì il più piccolo dei sospiri lasciare le sue labbra, prese un panno pulito nelle vicinanze e vi sfregò contro un tocco di sapone. Lo porse alla chimera.
“Devi strofinarlo dappertutto. Vuoi fare da solo o preferisci che io…?” Gesticolò verso le sue spalle e le ali dietro “Posso darti una mano dove non arrivi.”
La chimera non fece cenno di staccare neanche un dito dal suo appiglio. Si limitò a guardare la stoffa.
Vaniard allora gli prese una mano come aveva fatto nella cella, la notte prima. Strinse come avrebbe stretto quella di un neonato e riprese a parlare.
“Va tutto bene. Non ti succederà niente di male, te lo prometto. Sei al sicuro. Farai un bagno e poi una bella dormita, oppure potrai mangiare qualcosa se avrai ancora fame. Tutto quello che vuoi. Non devi avere paura. Va tutto bene.”
Accostò alle sue dita il panno umido, per fargliene sentire la consistenza. Il piano era sperare che lo afferrasse, ma Vaniard prese a passarglielo sul dorso e sul polso, grattando via lo strato di sporcizia. Cercò poi di pulirgli le unghie, di eliminare le vesciche raggrumate sul palmo e di ammorbidire per quanto possibile i calli. Con il pollice disegnava cerchi sulla sua pelle e gli stendeva le dita, ignorando i bozzi delle falangi rotte e rinsaldate malamente. Continuava a sussurrare morbide sciocchezze.
“Andrà tutto bene d’ora in poi. Vedi? La tua mano sta già molto meglio. Ci vorrà un po’ perché la pelle torni morbida, ma non abbiamo fretta. Puoi prenderti tutto il tempo che vuoi. E potrai fare il bagno tutti i giorni, se lo desideri. Non avere paura di chiedere. Non ti accadrà niente di male, mai più.”
Fece un tentativo e spostò il panno su per il braccio. La chimera si spostò leggermente nell’acqua per facilitargli i movimenti. Vaniard lo prese come il benestare definitivo. Un respiro d’orgoglio e strano compiacimento gli gonfiò il petto.
Per tutta l’ora successiva, fece ciò che i servi avevano sempre fatto a lui, e che mai avrebbe pensato di fare ad altri. Lavò la chimera lungo le braccia e le gambe, sulla schiena e sul petto fragile. Lasciò al ragazzo - Jun? Poteva cominciare a chiamarlo Jun? - l'intimità di occuparsi da solo del proprio addome, mentre lui si spostava alle sue spalle per pulirgli le ali.
Dopo un paio di tentativi, capì come pettinare le piume senza che gli rimanessero in mano, per fortuna. La coda fu forse la parte più impegnativa, con tutti quei grumi di fango attaccati tenacemente ai peli. “Perdonami” non fece che ripetere, a ogni ciuffo strappato, con la chimera che sobbalzava. Furono molti sobbalzi.
Infine, mise via il panno e prese un’ampolla di terracotta, stappandola. L’aroma di timo riempì le narici di entrambi.
“È troppo dolce per me, ma mi hanno assicurato che è l’ideale per la pelle della testa. Pensa che il cerusico della tenuta lo prescrive più spesso del miele per la tosse” gli spiegò. La chimera aveva inclinato la testa a quel nuovo odore. I punti dove gli avevano strappato i capelli si vedevano ancora meglio.
Vaniard se ne verso l’intera boccetta in mano, passandogli alle spalle. Diede per scontato che gli avrebbe lasciato occuparsi anche dei suoi capelli.
“Piega un po’ la testa, così non ti scivolerà sugli occhi” con una mano premette all’indietro sulla fronte, cercando di fargli immergere per un momento i ciuffi e bagnarli.
Fu un errore. Peggio, fu un tradimento.
“No!” Gridò la chimera, e si dimenò con una frenesia inaudita. Ondate d’acqua si riversarono fuori dalla vasca e addosso a Vaniard, seguite da gomitate volanti, colpi d’ala e proteste lamentose.
Sputacchiando sapone e piume, Vaniard indietreggiò di qualche passo, cercando di riprendere in mano la situazione.
La chimera stava cercando di uscire dalla vasca, incurante di scivolare ad ogni passo. Gettandosi sul bordo con la disperazione di un naufrago, riuscì a rovinare per terra. Cadde male, sulla spalla. Vaniard riconobbe subito l’arrivo di una nuova contusione.
Corse da lui. “Aspetta, aspetta! Ti prego, fermo, non volevo-” Si costrinse a rallentare la voce, moderare il tono. “Ho sbagliato e ti chiedo perdono per questo. Non volevo farti del male, te lo giuro. Va tutto bene. Non voglio farti del male. Va tutto bene.”
La chimera si guardava intorno al modo delle volpi in trappola. Respirava faticosamente. Mormorava “No, no, no” e “lasciami stare, lasciami stare”
“Va tutto bene. Non laveremo i capelli oggi.” Vaniard si pulì i resti della lozione sul primo telo che gli capitò sottomano. Mise via tutti i prodotti da bagno che erano rimasti in bella vista e, in un tentativo che in quel momento non gli sembrò troppo insensato, aprì la feritoia per far defluire l’acqua dalla vasca.
“Abbiamo finito, possiamo tornare di là. C’è il camino già acceso, ti asciugherai subito. Puoi coprirti e fare ciò che vuoi.” Prese il lenzuolo pulito che avrebbe dovuto usare come vestito. “Possiamo avvicinarmi?”
Non ottenne risposta. La cosa non lo aveva mai fermato.
Cautamente, si mosse fino a inginocchiarsi sul pavimento zuppo.
“Tieni.” Tentò di mettergli il lenzuolo addosso senza incombere su di lui.
Poi, per l’ennesima volta, cercò la sua mano e la strinse. “Fidati di me. Non voglio farti del male e non permetterò a nessun altro di fartene. Va tutto bene. Ti aiuto ad alzarti, ti appoggi a me?”
Così fu. Tremando e versando lacrime, ma permettendogli di toccarlo. Un passo malfermo dopo l’altro, fino al fuoco.
Vaniard gli fornì tutti i cuscini e le coperte che aveva a disposizione, compreso sé stesso. Dalle punte bagnate dei suoi capelli, la chimera gocciolava polvere e sangue.
“Posso passarti un’altra pezza umida sulla testa?” Provò su sé stesso, si assicurò che vedesse.
Mentre lo puliva delicatamente, gli raccontò di quando da bambino era caduto nel torrente. Aveva perso il suo cappello e ne aveva guadagnato uno di fango. Le serve lo avevano strigliato per ore, dandosi il cambio, sotto lo sguardo di disapprovazione di sua madre. Quando avevano finito, aveva la pelle così rossa che i suoi capelli sembravano di due tonalità più scure e sua sorella, ignara, aveva chiesto lo stesso trattamento.
“Se io ho mantenuto i capelli in quella situazione, sicuramente anche i tuoi torneranno come prima.” Poteva già immaginare quella capigliatura folta e corvina, e le corna che la sovrastava. “E le corna ricresceranno, il cerusico me lo ha assicurato. Starai bene, vedrai. Tutto questo… presto sarà il passato. Il futuro sarà migliore. Te lo prometto, Jun.”
Se questa volta non ottenne risposta, fu perché parlò a una chimera addormentata.