COWT14

Mar. 29th, 2025 09:40 pm
 

Settimana: 4

Missione: M1

Prompt: copione, sceneggiatura teatrale o simili

Titolo: Sogno

Fandom: Originale

Rating: nsfw

Warning: Major Characters Death(s), scene violente, emotional manipulation

Note: copione di una mini- serie tv originale, genere urban fantasy


TITOLO: Sogno

EPISODIO 1: La città senza luce

SCENA 1 - ESTERNO - STRADE DELLA CITTÀ IN SUPERFICIE - NOTTE

(La strada è deserta. Le luci dei lampioni sono accese e illuminano il protagonista, MATTIA, 14 anni, che cammina a passo affrettato verso un tombino su un lato della strada. In lontananza si sentono i rumori del traffico. Mattia arriva al tombino, si guarda intorno e poi picchietta tre volte sul metallo. Aspetta un momento e poi picchietta altre cinque volte in rapida successione. Il tombino scivola di lato e scompare. L’interno del tombino è buio. Mattia si guarda di nuovo intorno, poi si toglie il cappotto, il cappello e le scarpe e li lancia su un lato del marciapiede. prende il suo zaino e lo lascia cadere nel tombino. Infine, si cala anche lui, sparendo alla vista.)

(Fine scena)

SCENA 2 - ESTERNO - STAZIONE DI PIANPIANE - NOTTE

(La stazione è in fermento, c’è un via vai agitato del personale. Al binario uno arriva un treno. Sulla banchina il CAPOSTAZIONE e NON-TI-SCORDAR-DI-ME attendono scambiandosi occhiate preoccupate. Il Capostazione indossa la sua uniforme allacciata male, con il cappello storto sulla testa, e si asciuga il sudore dalla fronte con un fazzolettino. Non-ti-scordar-di-me si stringe le dita tra loro.)

CAPOSTAZIONE

“Perché è qui? Non sarebbe dovuto tornare prima di un altro mese.”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

"Gli affari del signore non vi riguardano."

CAPOSTAZIONE

“Non ditemi che vuole concorrere per la carica di-”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Non vi riguardano, ho detto. Vi consiglio di tenere a freno la curiosità e la lingua.”

(Il treno si ferma e le porte si aprono. Scende un solo passeggero: OMBRA, un uomo vestito di nero.)

OMBRA

“Non-ti-scordar-di-me, buongiorno.”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

(piegando la testa) “Bentornato, signore.”

OMBRA

“Abbiamo del lavoro da fare. Andiamo in città.”

CAPOSTAZIONE

“Da questa parte, signore. Il treno per Sogno è pronto a partire e vi aspetta al binario due.”

(I tre uomini si avviano verso il binario due, con Ombra in testa alla fila. Al suo passaggio, le persone si fanno da parte a testa bassa.)

(Fine scena)

SCENA 3 - INTERNO - CABINA DEL TRENO

(Ombra e Non-ti-scordar-di-me sono seduti uno di fronte all’altro. Il tavolo tra di loro occupa un piccolo rinfresco, con tè e dolcetti. Fuori dal finestrino scorre veloce una campagna illuminata solo dalle stelle.)

OMBRA

“Quando è successo di preciso?”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Sedici ore fa, signore. Di primo mattino, nel sonno. L’hanno trovata morta le sue cameriere personali.”

OMBRA

“Il funerale?” 

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Due ore fa. Corona Dorata ha insistito perché si facesse a Valle del Crepuscolo. Hanno partecipato tutti gli Alfieri, eccetto voi, e almeno altre trecento anime.”

OMBRA

“Come sta Fey?”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Non ha ancora lasciato Valle del Crepuscolo.”

OMBRA

(sospira) “È un problema di cui dovrò occuparmi più tardi. Adesso ci sono altre faccende che hanno la priorità.”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Intendete porgere i vostri omaggi alla Regina di Spade?”

OMBRA

“Anche sputare sulla sua tomba, purtroppo, è un impegno che dovrà attendere. Quella donna aveva un solo pregio, ed era quello di saperci tenere tutti in riga. Ora che il suo castello di carte è crollato…”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Ci sarà la guerra.”

OMBRA

“No, se giochiamo bene la nostra mano. Dobbiamo solo assicurarci che sia più bella di quelle dei nostri avversari. E a proposito di avversari, dimmi degli Alfieri. Hanno già cominciato a scannarsi tra loro?”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Nessuna voce di rappresaglia è arrivata alle mie orecchie, ma la situazione al funerale era tesa. Pelle-e-Ossa e Velluto hanno cercato di avvicinare Corona Dorata senza farne un mistero e senza riguardo per il suo lutto. Il Guercio e la Signora delle Falene sono stati più discreti, ma hanno confabulato tra di loro tutto il resto del tempo. Mezzanotte ha lasciato la cerimonia subito dopo aver parlato con Pelle-e-Ossa.”

OMBRA

“E il Profeta?”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Non si è presentato.”

OMBRA

“Se è saggio come dicono, continuerà a rimanerne fuori.”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Non sembrate crederlo davvero, signore.”

OMBRA

“Non riesco ad immaginare di avere un tale potere e accontentarmi di un guinzaglio più lungo degli altri.”

(Ombra si osserva la mano, mentre evoca il suo potere e fa apparire dei rivoli di oscurità sul palmo e tra le dita.)

OMBRA

“Non riesco proprio.”

(Fine scena)

SCENA 4 - INTERNO - CAMERA MORTUARIA 

(La stanza è enorme e spoglia, illuminata da una luce fredda. La bara è al centro. Non c’è nessuno, ad eccezione di CORONA DORATA, un ragazzo dai riccioli biondi e l’aria devastata. Se ne sta appoggiato alla bara, asciugandosi le lacrime. Alle sue spalle, entra il PROFETA e si avvicina.)

PROFETA 

“Le mie condoglianze, giovane principe.”

(Corona Dorata non risponde e il Profeta non se ne va. Restano in silenzio per qualche momento.)

CORONA DORATA

“Che cosa vuoi, Profeta?”

PROFETA 

“Ho bisogno che siate lucido. Vorrei parlarvi di questioni che lo richiedono.”

CORONA DORATA

“Mia madre giace in questa bara da neanche un giorno. Non sono lucido e non lo sarò per un bel po’. Parla, se proprio non puoi aspettare, o ancora meglio vattene.”

PROFETA 

“Ho visto la guerra. Per il trono di vostra madre, gli Alfieri metteranno in ginocchio questa città e faranno a pezzi voi.”

CORONA DORATA

“Hai davvero poca stima nei miei confronti. Pensi davvero che non sappia degli Alfieri? Pensi davvero che sia così facile battermi?”

PROFETA 

“Penso che l’arma che credete di brandire sia in realtà un coltello puntato alle vostre spalle.”

CORONA DORATA

“Non sai niente.”

PROFETA 

“Non è così. Ho visto la guerra, ho visto una corona spezzata, ho visto le strade di Sogno lordarsi di ombre. Non dovreste fidarvi degli Alfieri, di nessun Alfiere, specialmente in questo momento.”

CORONA DORATA

“Dovrei fidarmi solo del Profeta?”

PROFETA 

“Non ho detto questo.”

CORONA DORATA

“Stai tranquillo, c’era solo una persona di cui mi fidavo ciecamente e ora non c’è più. Ora sono solo.”

PROFETA 

“Mi dispiace. Se vi consola, comprendo la solitudine meglio di chiunque altro a Sogno.”

CORONA DORATA

“Non mi consola affatto."

PROFETA 

“Nondimeno, mi dispiace.”

(Il Profeta se ne va come è arrivato, lasciando Corona Dorata al suo lutto.)

(Fine scena)

SCENA 5 - INTERNO - FUORI DALLA CAMERA MORTUARIA 

(PELLE-E-OSSA, la SIGNORA DELLE FALENE e MEZZANOTTE guardano la scena che si sta svolgendo dentro la stanza attraverso lo spiraglio della porta. Mezzanotte è in ombra, di lui si vede solo una sagoma poco illuminata. Pelle-e-Ossa è invece attaccato alla porta e studia bene la scena. Ha le ossa di uno scheletro completo dipinte sulla pelle e sui vestiti. La Signora delle Falene se ne sta seduta su una sedia con le sue ingombranti pellicce, sventolandosi il viso con un ventaglio fatto di ali di falena, l’orecchio teso.)

MEZZANOTTE

“Pensare che persino il Profeta si è scomodato per parlare con il principe.”

PELLE-E-OSSA

“Non ha spina dorsale. Piange come un moccioso ancora attaccato alle sottane della madre. E quello lì dovrebbe governarci?”

SIGNORA DELLE FALENE

“Corona Dorata non è la Regina di Spade, lo sapevamo da molto prima di questo giorno infausto. Meglio così, dico io, sarà sicuramente più facile da influenzare di sua madre.”

PELLE-E-OSSA

“No, non è meglio così, accidenti a te! Non hai pensato che, come noi, anche qualcun altro proverà ad attaccare dei fili a quella marionetta? E un burattino con troppi fili che lo tirano in direzioni diverse non si muove, è inutile!”

MEZZANOTTE

“Possiamo direttamente tagliare i fili allora. Non ci serve davvero il principe per mantenere il controllo su Sogno.”

SIGNORA DELLE FALENE

“Cosa proponi, Mezzanotte?”

MEZZANOTTE

“Se il principe sale al trono, per come è ora, fra un mese avremo una guerra civile fra Alfieri. Se si tira indietro, più o meno volontariamente, a sostituirlo dovrà essere qualcuno in grado di mantenere il controllo.”

PELLE-E-OSSA

“E pensi di essere tu?”

MEZZANOTTE

“No. Conosco i miei limiti. Non potrei tenere testa al Profeta, o a Ombra. Ma né Ombra, né il Profeta, né tanto meno il principe possono governare un’intera città che non gli dà ascolto. Noi siamo gli Alfieri, siamo noi a gestire davvero Sogno. E se facciamo fronte comune, se riusciamo a… sorvegliarci l’un l’altro, non avremo più bisogno di un re.”

(Fine scena)

(FINE EPISODIO 1)


TITOLO: Sogno

EPISODIO 2: Sussurri

SCENA 1 - ESTERNO - STAZIONE DI SUSSURRI - NOTTE

(Alla stazione di Sussurri c’è la stessa agitazione di Pianpiane. La gente si affretta verso l’uscita. Il treno si ferma e Ombra e Non-ti-scordar-di-me scendono a terra, per poi dirigersi anch’essi verso l’uscita. Di nuovo, le persone si fanno da parte per farli passare.)

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Non andiamo a casa, signore?”

OMBRA

“Dopo. Prima ci sono dei favori che dobbiamo riscattare. Hai con te il registro degli Accordi?”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Certo, signore.”

OMBRA

“Bene, allora cominciamo da questo quartiere e andiamo via via verso le periferie. Salta i patrocinati minori, voglio parlare con chi è davvero importante.”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Sì, signore.”

(Non-ti-scordar-di-me tira fuori da una tasca della giacca azzurra un libricino, che comincia a sfogliare. Nel frattempo i due escono per le strade del quartiere Sussurri, un labirinto di vicoli e terrazze comunicanti tra gli edifici, su più piani.)

OMBRA

“Chi è il primo della lista?”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Dovrebbe essere Voltagabbana.”

(Fine scena)

SCENA 2 - ESTERNO - VICOLI - NOTTE

(All’incrocio tra due vicoli, sotto uno stretto arco, c’è una bancarella illuminata dalla luce di un lampione. La bancarella, poco più di un tavolo ricolmo di merce, vende soprabiti di varie fogge e misure. Il suo proprietario, VOLTAGABBANA, se ne sta seduto su uno sgabello a lisciare con le mani una stoffa. Ombra e Non-ti-scordar-di-me appaiono da un vicolo e raggiungono la bancarella.)

VOLTAGABBANA

(Senza sollevare lo sguardo dalla stoffa) “Soprabiti, signori! Ancora caldi e profumati! Cinque pezzi d’argento ciascuno."

OMBRA

“Solo cinque? Di questo passo non estinguerai il tuo debito prima di altri trent’anni.”

VOLTAGABBANA

(Spaventato) “Ombra! Io… tu… non pensavo saresti tornato così presto. Vuoi comprare un soprabito?”

OMBRA

“Tieniti le tue stoffe. Parliamo del debito, piuttosto.”

VOLTAGABBANA

“Sono regolare con i pagamenti.” (Rivolto a Non-ti-scordar-di-me) “Diglielo che ho sempre pagato puntuale.” 

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“È così.”

OMBRA

“Ti credo, amico mio. Magari tutti i miei clienti fossero come te. E proprio per questa tua professionalità, voglio proporti uno sconto: il tuo debito estinto in un’unica volta, questa stessa notte.”

VOLTAGABBANA

“Ombra, non ho così tanto argento al momento.”

OMBRA

“Non ti chiedo l’argento. Ti chiedo il tuo voto all’Assemblea dell’Alba.”

VOLTAGABBANA

“Allora è vero quello che si dice: sei tornato per impadronirti di questa città.”

OMBRA

“Questa città è già mia. Sto solo cercando di renderlo ufficiale.”

VOLTAGABBANA

“Molti Alfieri non sarebbero d'accordo."

OMBRA

“Non lo sto chiedendo agli Alfieri. Lo chiedo a te.”

VOLTAGABBANA

“Tutto il debito, estinto?”

OMBRA

“Fino all’ultimo pezzo.”

VOLTAGABBANA

“Allora non mi dispiacerà troppo chiamarti re.”

(Fine scena)

SCENA 3 - ESTERNO - GIARDINO DI DIONEA - NOTTE

(Ombra e Non-ti-scordar-di-me sono sopra un tetto, in un rigoglioso giardino con rampicanti che scendono lungo i cinque piani del palazzo e arrivano fin quasi a terra.)

OMBRA

(tendendo una mano verso Non-ti-scordar-di-me) “La perla.”

(Non-ti-scordar-di-me rovista nelle proprie tasche fino a tirar fuori una perla grande quanto una ciliegia. La porge a Ombra. Ombra la schiaccia tra le dita e fa gocciolare latte che ne esce su di un fiore purpureo nelle vicinanze. Il fiore appassisce velocemente. Dopo qualche momento, DIONEA compare nel giardino. È una donna con lunghe spine che gli ornano il vestito e l’espressione infastidita.”

DIONEA

“Se non la smetti di uccidere le mie piante ogni volta che mi chiami, comincerò a fare lo stesso con i tuoi famigli.” (Indicando Non-ti-scordar-di-me) “Lui per primo.”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Non sono un famiglio, sono un assistente.”

DIONEA

“E pensi che questo ti risparmierà la vita?”

OMBRA

“Lascia stare Non-ti-scordar-di-me. Se vuoi che smetta di uccidere le tue piante, dammi un modo meno drastico per chiamarti.”

DIONEA

“Non ne hai bisogno. Sai dove abito. Vieni a trovarmi in Serra.”

OMBRA

“Per diventare una zanzara a disposizione delle tue predilette?”

DIONEA

“Saresti una zanzara deliziosa.”

OMBRA

“Non ne dubito, ma ho altri progetti per il mio futuro.”

DIONEA

“Oh, e quali progetti può mai architettare l’Ombra del Mondo? Magari hanno a che fare con un certo trono vacante?”

OMBRA

“Mia cara, non ti si può nascondere niente.”

DIONEA

“Nascondere? Ah! Non potresti essere più palese di così. Le voci corrono veloci tra questi vicoli. Ho sentito che hai cominciato a fare pressione sui punti giusti.”

OMBRA

“Solo una spintarella nella giusta direzione.”

DIONEA

“Non sei il solo che cerca di spingermi da qualche parte.”

OMBRA

“Ma sarò il più convincente.”

DIONEA

“Ero leale alla Regina di Spade. Solo per questo, dovrei schierarmi con suo figlio e calpestare te.”

OMBRA

“E invece eccoci qui a parlare amabilmente.”

DIONEA

“Ti devo il beneficio del dubbio, questo sì.”

OMBRA

“Mi devi molto più del dubbio, Dionea. So che non c’è bisogno che te lo ricordi. La tua Serra, i tuoi Giardini, le fumerie di tua proprietà, tutto è stato possibile grazie a me. Ti ho aiutato nel momento del bisogno, ora tu aiuta me.”

DIONEA

(Sospira e guarda L’Occhio, il palazzo centrale della città.) “Posso anche farlo, ma non diventerai mai re di questa città, Ombra. Ti temono troppo, tutti quanti. Serve qualcuno che ti tenga a bada, così che loro possano dormire sonni tranquilli.”

OMBRA

“Preferisco tenere io a bada tutti.”

DIONEA

“Su questo non posso davvero biasimarti.” 

(Dionea indietreggia e scompare nella vegetazione, non prima però di aver fatto un inchino a Ombra.)

(Fine scena)

SCENA 4 - ESTERNO - VICOLI - NOTTE

(In un vicolo sotto un locale Jazz, la musica arriva fin laggiù. C’è un piccola bisca clandestina all’aperto, con giocatori più o meno ubriachi che giocano sopra barili di legno con carte non uniformi tra loro. Non-ti-scordar-di-me si avvicina a un giocatore, PICCHE, un uomo sporco e accigliato, che sta palesemente perdendo.)

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Buonasera, Picche. Il signore vorrebbe parlare con te”

(Picche lo ignora.)

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Picche, Ombra vuole parlare con te.”

PICCHE

“Vattene fiorellino! Non vedi che sono impegnato?”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Per favore, cerchiamo di risolverla civilmente.”

PICCHE

(Spintonando indietro Non-ti-scordar-di-me) “Non mi hai sentito? Vattene!”

(Ombra compare alle spalle di Non-ti-scordar-di-me. Il chiacchiericcio da bisca si attenua.)

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Se vuoi farti bastonare davanti a tutti per me va bene, ma non ti lamentare che non ti avevo avvertito.”

PICCHE

(Notando Ombra) “Va bene, va bene, arrivo.”

(Picche lascia cadere la propria mano e si alza dal tavolo. Un mucchio di carte gli cade dalle maniche e dalla giacca, tutt’intorno a lui. Si allontana tra gli insulti dei giocatori del tavolo, seguito da Non-ti-scordar-di-me, verso l’angolo della strada dove Ombra li aspetta.)

PICCHE

“Cosa vuoi, Ombra?”

OMBRA

“Abbassa i toni e non ti rivolgere più al mio assistente in quel modo.”

PICCHE

“Non devo nè a te nè al tuo lecchino nessun rispetto! Se non ti piace il mio tono, vatti a fare un giro!”

OMBRA

“Mi devi molto più del rispetto. La Rivolta delle Pezze. Coppa-Vuota.”

PICCHE

“Non nominare quel sacco di merda! Ci abbiamo tutti guadagnato dalla sua caduta in disgrazia.”

OMBRA

“Tu più di tutti.”

PICCHE

“Mi sono guadagnato la mia fetta di gloria!”

OMBRA

“Mi devi la vita.”

PICCHE

“Io non ti devo niente!”

OMBRA

“Non ho tempo da perdere con i tuoi vaneggiamenti da ubriaco. È una notte molto importante e tu non sei che una delle molte tappe che devo fare, e neanche lontanamente la più importante. Voglio gli Scommettitori dalla mia parte, all’Assemblea dell’Alba.”

PICCHE

“E io voglio scoparmi la regina!”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“La regina è morta.”

OMBRA

“Attento, Picche. Se non sei mio alleato, allora sei un ostacolo sul mio cammino.”

PICCHE

“Mi stai minacciando? Non hai nessun diritto di attaccarmi, la regina lo proibisce! Non ho nessun debito nei tuoi confronti! Sei solo uno schifoso lerciume colato giù dalle fogne della città in superficie!”

(Ombra attacca Picche con l’oscurità che lo circonda, materializzandola in picche accuminate, che trapassano l’uomo da parte a parte, inchiodandolo al muro. Il rumore della bisca improvvisamente tace, tutto tace. Picche rantola.)

PICCHE

“Sei solo… sei solo…”

OMBRA

“Mi prendo le tue proprietà e il tuo ruolo, così da saldare il tuo debito.”

(Picche emette un verso di protesta, poi muore lì dov’è. Le ombre si dissolvono e il cadavere scivola a terra.)

OMBRA

(Rivolto a Non-ti-scordar-di-me) “Torna di là e comunica che la Bisca Ovest ora appartiene a me, che spargano la voce. Anche la Casa degli Strozzini e tutta Via Spezzata ora sono mie.”

(Non-ti-scordar-di-me china il capo e obbedisce, ma quando si volta la strada è deserta.)

(Fine scena)

(FINE EPISODIO 2)


TITOLO: Sogno

EPISODIO 3: Un gioco sleale

SCENA 1 - INTERNO - MERCATO NERO

(L’asta del mercato nero si svolge in un grande magazzino, con un palco montato male su un lato. Il BANDITORE, un tipo frenetico e nervoso, invita tutti a prendere posto perché l’asta comincerà a momenti. Le porte del magazzino si aprono per far entrare uno degli ultimi ritardatari, Corona Dorata. Parte subito un chiacchiericcio sorpreso, nessuno si aspettava di vederlo partecipare.)

BANDITORE

“Vostra Altezza! Prego, prego, avvicinatevi! È rimasto un posto in prima fila giusto per voi. L’asta sta per cominciare!”

(Corona Dorata si accomoda e il primo articolo viene portato al centro del palco. Si susseguono un paio di articoli di poco conto, i sussurri continuano intorno a Corona Dorata. Il terzo articolo è un quadro che raffigura un paesaggio chiaramente di superficie, con il sole che sorge su una collina di vigneti.)

BANDITORE

“Un pezzo più unico che raro signori! Ne esistono solo tre copie in superficie e una in tutta Sogno, quella che avete davanti ai vostri occhi! Guardate che pennellate, si può sentire il sole sulla pelle. Per un tale tesoro, si parte da una base di cinquemila pezzi d’argento!”

(Corona Dorata alza la mano)

BANDITORE

“Senza esitazione, il nostro principe fa la sua offerta! Qualcuno ha il coraggio di sfidarlo?”

(Si alzano cinque o sei mani una di seguito all’altra.)

BANDITORE

“Settemila, ottomila, qualcuno fa novamila? Diecimila! Dodicimila per la signora infondo! Quindicimila per Corona Dorata, Diciottomila per Velluto! Qualcuno per i ventimila? Signora, la vedo tentata… Corona Dorata offre ventimila!”

(Dietro Corona Dorata, VELLUTO alza la mano. È un giovane di età simile a Corona Dorata, avvolto da più strati di vestiti come se avesse freddo e in modo da nasconderne la corporatura.)

VELLUTO

“Venticinquemila.”

CORONA DORATA

(Si volta a guardare Velluto, poi torna a rivolgersi al Banditore.) “Trentamila”.

VELLUTO

“Trentacinquemila.”

CORONA DORATA

“Quarantamila.”

BANDITORE

“Sembra non ci sia spazio per altri contendenti, signori, siamo arrivati a un vero duello. Per un pregiatissimo quadro di superficie, conduce Corona Dorata con quarantamila!”

VELLUTO

“Quarantacinquemila.”

CORONA DORATA

“Settantacinquemila.”

BANDITORE

“Settantacinquemila! Questa sì che è una stoccata con i fiocchi! Velluto offre di più? Settantacinquemila e uno. Settantacinq-”

VELLUTO

“Ottantamila.”

CORONA DORATA

“Centomila.”

(La folla esclama eccitata.)

BANDITORE

“Centomila! Corona Dorata è implacabile! Centomila e uno. Centomila e due. Ultima chiamata, signori, per un meraviglioso affresco di superficie, unico nel suo genere, centomila e… tre! Venduto a Corona Dorata per centomila pezzi d’argento!”

(La folla applaude e Corona Dorata si gira per prendersi i meriti. Nota che Velluto sorride e applaude a sua volta, non sembra affatto dispiaciuto.)

(Fine scena)

SCENA 2 - ESTERNO - VICOLI

(Ombra e Non-ti-scordar-di-me camminano con passo affrettato in strada, senza parlare. Il vicolo dove sono ora è ben illuminato e pieno di bar e locali notturni, il cui rumore arriva fino in strada. Ombra scorre le vetrine con sguardo distratto e improvvisamente si ferma. Non-ti-scordar-di-me se ne accorge in ritardo e lo supera, per poi voltarsi a guardarlo, in attesa.)

OMBRA

“Vai avanti, prendi il treno per Miraggio. Parla con le Sibille, cerca di portarle dalla nostra parte.”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Da solo? Signore, non credo di riuscire a convincere le Sibille senza il suo appoggio.”

OMBRA

“Sì, da solo. Io devo fermarmi qui. Gioca tutte le carte che hai a disposizione, usa il mio nome in ogni frase se necessario e non ti far problemi a minacciare, mi conosci e sai fin dove posso spingermi.”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

(Guardando il Breccia Rossa, il bar di fronte a cui si è fermato Ombra.) “Non sarebbe meglio se l’accompagnassi dentro? E poi andassimo insieme a Miraggio.”

OMBRA

“No, non c’è tempo. Mi fido di te. Vai e comportati come se fossi me. Ti divertirai.”

(Ombra da una pacca sulla spalla a Non-ti-scordar-di-me, con cui lo incita a continuare per la strada, poi si volta ed entra nel locale.”

(Fine scena)

SCENA 3 - INTERNO - MERCATO NERO

(Ad asta terminata, Corona Dorata e Velluto si ritrovano a pagare i loro acquisti al Banditore nello stesso momento.)

BANDITORE

(Porgendo loro dei fogli) “Ed ecco qua, signori. Da questo momento siete i legittimi proprietari del lotto 4, 9, 11, 13, 17, 21 e 22. I vostri acquisti vi aspettano sul retro, potete passare a ritirarli quando volete, ma sappiate che il magazzino non viene sorvegliato, per cui vi consiglio di farlo al più presto.”

VELLUTO

“Ho già mandato qualcuno.”

CORONA DORATA

“Vale anche per me.”

BANDITORE

“Eccellente! Buon proseguimento di nottata, allora!” (Esce.)

CORONA DORATA

(Sventolando l’attestato del dipinto di superficie) “Spero che questo pezzo non avesse una vera importanza per te.”

VELLUTO

(Ridacchiando.) “Nessun rancore. Lo volevo solo per il gusto di strapparlo a un principe.”

CORONA DORATA

“Sembra che invece sia stato io a cantare vittoria, alla fine.”

VELLUTO

“Mh, non ne sarei così sicuro. Dipende cosa si intende per vittoria. Centomila pezzi d’argento non sono uno scherzo.” (Abbozzando un inchino.) “Arrivederci, principe.”

(Fine scena)

SCENA 4 - INTERNO - BRECCIA ROSSA

(L’interno del bar è affollato lungo il bancone e i tavoli da gioco, mentre la fila di tavoli da un lato, accanto alla vetrina, è più tranquilla. Sono tutti tavoli con separè alti fatti di pesanti tendaggi, per mantenere una privacy. Hanno tutti i tendaggi tirati dal lato della finestra ad oscurare il vetro, eccetto uno. Ombra e entra e si dirige verso quello, dove è seduto da solo il Profeta. Lo raggiunge e si siede.)

OMBRA

“Per essere uno che non lascia mai L’Occhio, mi dicono che in questi giorni sei fin troppo in giro, Profeta.”

PROFETA

“La situazione lo richiede.”

OMBRA

“E per uno che si vanta di essere al di sopra delle parti, ti stai immischiando fin troppo nella ragnatela di questa città.”

PROFETA

“Le diatribe infantili fra voi Alfieri non mi interessano. Ma c’è differenza tra rimanere a guardare un topo che divora un altro topo e assistere senza far niente all’auto-distruzione della mia casa.”

OMBRA

“I regimi cadono. Non è la prima morte di un sovrano a cui assisti. Né il primo passaggio di potere turbolento. Sogno è sopravvissuto a peggio.”

PROFETA

“Non sono d'accordo."

OMBRA

“Quindi vorresti scendere in gioco? Abbassarti a batterti con noi poveri pezzenti?” (Risata.) “Attento, se non scegli bene da che parte stare, potresti perdere.”

PROFETA

“Non è una questione di parti. È una questione di sopravvivenza della città. Ho visto il futuro, Ombra, e devo chiederti di farti da parte.”

OMBRA

“Se hai visto il futuro, sai già come ti risponderò.”

PROFETA

(Sospiro.) “Sono disposto a indebitarmi nei tuoi confronti, purché tu non ostacoli l’ascesa di Corona Dorata. Rinuncia ai tuoi piani per il bene di Sogno. Se Corona Dorata salisse al trono, il tuo potere rimarrebbe invariato. Ma se ti opporrai, scatenerai una guerra civile. Tutto cadrà a pezzi per colpa tua.”

OMBRA

“Sai qual è lo svantaggio di essere uno spettatore? Anche se pensi di conoscere il gioco, non hai idea di cosa significa esserci dentro. Tutte quelle piccole meccaniche interne, i dettagli, le fessure tra un ostacolo e l’altro su cui fare leva, ti sono sconosciute. Non sei un giocatore, Profeta, di un tuo debito non so che farmene. E non mi fai paura: non hai leve su di me.”

PROFETA

“La distruzione totale non è una leva sufficiente per te? Ti rendi conto che non puoi giocare con gli altri topi, se sei l’unico topo rimasto in vita?”

OMBRA

“Mi rendo conto che se mi chiamerai ancora una volta topo, questo bar sarà il primo ad assistere alla distruzione totale.”

PROFETA

(Scuote la testa, disapprovando.) “Sei infantile.”

OMBRA

“E tu uno spettatore. Torna a fare quello, chiaramente è la cosa che ti riesce meglio.”

PROFETA

(Con voce dura, sporgendosi verso di lui.) “Lascia che Corona Dorata diventi re.”

OMBRA

(Sorridendo.) “Implorami e forse lo farò.”

(Il Profeta non risponde, si alza senza più una parola e se ne va.)

(Fine scena)

SCENA 5 - INTERNO - INGRESSO DEL PALAZZO

(Corona Dorata assiste mentre portano dentro i suoi acquisti, quando un servitore gli si avvicina per parlargli all’orecchio. Corona Spezzata si rabbuia visibilmente e fa cenno con la mano di portare qualcosa. Viene portato il dipinto di superficie, la stoffa che lo protegge viene tolta. Il dipinto è sfregiato in più punti, con la tela tagliata a brandelli che penzolano.)

(Fine scena)

(FINE EPISODIO 3)


TITOLO: Sogno

EPISODIO 4: Miraggio

SCENA 1 - INTERNO - CABINA DEL TRENO

(Non-ti-scordar-di-me è sul treno, stropiccia tra le mani il biglietto per la Stazione di Miraggio e prova cosa dire.)

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Per il bene di Sogno… no, per il bene della pace di Sogno. Il vostro ruolo è importante, dovete- Non dovete fare niente, se non volete, ma dovete volerlo! Oh, no, per carità. Siamo tutti sulla stessa barca e stiamo imbarcando merda, vi prego, fate qualcosa.” (Afflosciandosi sul sedile.) “Ombra mi ucciderà.”

(Fuori dal finestrino si vede il Luna Park di Miraggio, un faro di luce in lontananza su un mare di campagna scura.)

(Fine scena)

SCENA 2 - ESTERNO - CAROSELLO - NOTTE

(Le giostre del Luna Park sono tutte accese ma vuote, ad eccezione del Carosello a due piani, una giostra imponente e molto colorata, con la struttura dorata. Mentre gira, una musica allegra accompagna il su e giù dei singoli pezzi. Ci sono un numero impreciso di bambine, sulla decina, che si divertono sulla giostra, tutte vestite di bianco: sono le SIBILLE. Parlano una a turno, ma per tutte. Non-ti-scordar-di-me è in groppa a un cavallo, si tiene al palo che va da terra al soffitto ed è evidentemente a disagio.)

SIBILLE

“Non abbiamo ancora scelto chi appoggiare. Non è neanche ancora chiaro chi giocherà.”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Non ufficialmente, ma le tre fazioni mi sembrano abbastanza chiare. Vi chiedo solo di-”

SIBILLE

“Non metterci fretta.”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Non voglio mettervi fretta, tutto il contrario. Vi chiedo solo di pensarci bene e di-”

SIBILLE

“Non ci piace questo gioco. Non si capisce bene quali sono le regole. Forse non dovremmo giocare affatto.”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Esatto! Non giocate. Cioè non appoggiate nessuno, tenetevi in disparte, come dovrebbe fare il Profeta.”

SIBILLE

“Non vuoi convincerci a dare il nostro voto a Ombra?”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Io… non voglio. Non…”

SIBILLE

“Non vuoi che lui vinca?”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Non voglio che il signore perda!”

SIBILLE

“Ma non vuoi neanche che vinca.”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Grazie al cielo azzurro, quello che voglio conta veramente poco: sono solo un assistente. Ma se posso fare una richiesta, per favore astenetevi per questa volta. Non appoggiate nessuno.”

SIBILLE

“Se facciamo come dici tu, cosa ne avremo in cambio?”

NON-TI-SCORDAR-DI-ME

“Niente. Non voglio fare un patto con voi, il mio è un semplice suggerimento. Niente vi impedisce di ignorarlo totalmente. Ma sono L’assistente personale di Ombra, Mangiatore di Soli, Alfiere di Sogno; vivo a stretto contatto con lui, lo conosco meglio di chiunque altro. E vi dico: non siate sue amiche, né sue nemiche.”

(Fine scena)

SCENA 3 - ESTERNO - CASA DELLE LANTERNE - NOTTE

(Casa delle Lanterne, dimora di Ombra, è una villa alta e gotica all’angolo di un viale, con uno stretto giardino tutt’intorno. Appare gravemente danneggiata molto di recente, con più di un muro crollato, il tetto cadente, le piante del giardino bruciate, la porta dell’ingresso divelta dai cardini. Sebbene nessun fuoco sia ora acceso, ci sono segni che un’ala è andata a fuoco. Ombra la guarda e ne è scontento, ma non sorpreso. Passa oltre il cancello all’ingresso, percorre il vialetto ed entra.)

(Fine scena)

SCENA 4 - INTERNO - CASA DELLE LANTERNE

(All’ingresso della casa, Ombra viene accolto da un omino di cera, alto mezzo metro, che esce fuori da un angolo appena lo vede. Ha gli arti un po’ consumati ma, reimpastando la cera del proprio corpo e sacrificando qualche centimetro, riesce a riformarsi completamente. Indossa la sagoma di un frac da maggiordomo, MISTER CAN DE LA.)

OMBRA

“Mister Can de La, felice di vedervi intero. Spero di poter dire lo stesso degli altri. Per la casa non posso più farlo.”

MISTER CAN DE LA

“Signore, sono costernato! Ci hanno colti di sorpresa, non ci aspettavamo un attacco così diretto! Abbiamo cercato di sigillare le porte, ma quando il fuoco ha raggiunto il salone principale, ci siamo dovuti ritirare nello scantinato.”

OMBRA

“Avete fatto bene, vecchio mio. Qualcuno ci ha rimesso lo stoppino?”

MISTER CAN DE LA

“No, signore. La taglia di Miss Perfume e Madame Fragrance è dimezzata, ma hanno ancora una lunga vita davanti. Ma la casa, signore…”

OMBRA

“La casa si ricostruisce. Anzi, presto potremo trasferirci in una nuova.”

MISTER CAN DE LA

“Davvero, signore?”

OMBRA

“I piani sono questi. Ora, da qualcuno così stupido da attaccarmi così platealmente, mi aspetto che sia anche stupido abbastanza per lasciare delle tracce. Cominciate a dare una pulita, io mi guardo intorno.”

(Ombra comincia a rovistare tra i mobili rovinati, la polvere e i rimasugli di candela sciolta. Ci sono dei segni sul muro, che prova a grattare con un’unghia e annusare. Sulle scale in legno trova dei segni di morsi molto piccoli, di roditore. Su un servizio di bicchieri di cristallo rotto vede una goccia di sangue. Sorride e la fa divorare dalle sue tenebre.)

(Fine scena)

(FINE EPISODIO 4)


TITOLO: Sogno

EPISODIO 5: L’Occhio

SCENA 1 - ESTERNO - INGRESSO DEL PALAZZO - NOTTE

(Ombra arriva ai cancelli del palazzo, una torre di pezzi di abitazioni impilate l’una sull’altra malamente, che sta in piedi per magia. D’improvviso una serie di occhi sulle pareti si spalanca e lo punta. Ombra solleva le mani.)

OMBRA

(Scandendo bene.) “Sono Ombra, Alfiere di Sogno. Desidero parlare con Corona Dorata, figlio della deceduta Regina di Spade.”

(Gli occhi battono le palpebre una volta e scompaiono. Dopo qualche secondo di immobilità, Ombra supera il cancello e si avvicina all’ingresso. L’ingresso muta davanti ai suoi occhi: una diversa porta, un nuovo tipo di parete. Come una porta interna di una camera lussuosa, con carta da parati porpora. Ombra bussa sul legno e CORONA DORATA gli risponde.)

CORONA DORATA

“Vieni dentro.”

(Fine scena)

SCENA 2 - INTERNO - CAMERA DI FEY

(La camera è ricca di drappeggi, cuscini e comodità, ma nel caos completo. Al centro della stanza troneggia un grande letto a baldacchino, su cui giace a pancia in su Corona Dorata. Ombra si avvicina abbastanza per ritagliarsi un posto a sedere ai piedi del letto.)

OMBRA

“Le mie condoglianze per la tua perdita.”

CORONA DORATA

“Sul serio? Fingi di essere dispiaciuto per la morte di mia madre?”

OMBRA

“Sono dispiaciuto per te, perché hai perso una madre. Odio vederti soffrire.”

CORONA DORATA

“Non saresti dovuto venire, allora.”

(Ombra infila una mano dentro al cappotto e ne estrae una scatola, con l’aiuto di un po’ di magia. La porge a Corona Dorata che, dopo qualche piccolo colpetto di incoraggiamento, la prende.)

OMBRA

“Ti ho portato un regalo, sperando ti dia un po’ di sollievo.”

(Corona Dorata apre la scatola. Dentro ci sono dei mazzolini di fiori di diversi tipi, delle foglie verdi e delle conchiglie. Corona Dorata li accarezza delicatamente.)

CORONA DORATA

“Sono della superficie?”

OMBRA

“Sì.”

CORONA DORATA

“Sono bellissimi.”

(Ombra allunga la mano per toccare Corona Dorata, una carezza delicata tra i capelli.)

OMBRA

“Te ne porterò altri.”

(Corona Dorata guarda Ombra per la prima volta da quando è entrato nella stanza, si allunga e lo bacia. Ombra lo accoglie volentieri su di sé e, dopo un momento di pausa per mettere via la scatola, Corona Dorata si lascia andare tra le sue braccia. La situazione si scalda. I due cominciano a spogliarsi.)

(Fine scena)

SCENA 3 - INTERNO - CAMERA DI FEY

(Dopo aver fatto sesso, Corona Dorata e Ombra giacciono insieme nel letto, più sfatto di prima, coccolandosi pigramente.) 

CORONA DORATA

“Non devi avventurarti in superficie solo per portarmi dei regali. Ti preferisco quando sei qua al mio fianco.”

OMBRA

“Posso fare entrambe le cose. Avrei solo voluto che non capitasse che fossi lontano, quando è morta la regina.”

CORONA DORATA

“Ora che non c’è più lei, sento che questa città mi sta scivolando via dalle dita. Sapevo che mia madre aveva un pugno di ferro, ma pensavo fosse una scelta, non una necessità.”

OMBRA

“Non puoi governare con la gentilezza, Fey.”

CORONA DORATA

“E perché no? È davvero un’idea così spiacevole? Tu preferiresti essere governato con la paura o con la gentilezza?”

OMBRA

“Io preferirei non essere governato affatto. È per questo che non puoi usare solo la gentilezza. Riempi le tasche degli Alfieri d’argento, se vuoi, e copri le strade di abbondanza e ricchezza. Dai ad ogni cittadino di Sogno ciò che più desidera. Ma dagli anche delle regole e delle conseguenze, se non dovessero rispettarle.”

CORONA DORATA

“Non funzionerebbe. Io non sono mia madre: non riesco a bastonare la volontà di un uomo finché la sua schiena si piega o si spezza.” (Guardando Ombra) “O a incatenare degli innocenti per paura che un giorno diventino mostri.”

(Ombra è a disagio e si allontana da Corona Dorata, mettendosi a sedere sul letto e facendo per alzarsi. Corona Dorata lo ferma per un polso.)

CORONA DORATA

“Io non lo farei mai.”

OMBRA

(Senza guardarlo.) “Questo fa di te un debole.”

CORONA DORATA

“È questo che pensi di me?”

OMBRA

(Dopo qualche secondo assorto.) “Tua madre era forte. Ed era una persona spregevole e spietata.” (Bloccando con una mano la protesta di Corona Dorata.) “Gli Alfieri sono Alfieri perché sono forti, e sono quasi tutti esseri orribili e meschini. Io sono la persona più forte di tutti e, credimi, non c’è mostro peggiore di me in questa città. Se sei un debole, a Sogno, vuol dire che c’è ancora del buono in te.”

CORONA DORATA

“Ma i deboli non possono governare.”

OMBRA

“Ma i deboli non possono governare. O diventi forte e erediti le Spade… o ti fai da parte e rimani il dolce Fey che conosco.”

CORONA DORATA

“O divento forte e rimango buono.”

OMBRA

“Allora non hai ascoltato.”

CORONA DORATA

“Non conosci ogni cosa, Mat, anche se so che ti piace pensarlo. Magari ti sbagli, e c’è un modo per riuscirci, o magari sbaglio io. Devo provarci, per saperlo.”

(Ombra sospira e si lascia trascinare di nuovo sul letto. Corona Dorata torna a stendersi sopra di lui e a coccolarlo.)

OMBRA

“I mostri ti masticheranno come un osso di pollo.”

CORONA DORATA

(Con tono leggero.) “Non temo niente, perché ci sarai tu a proteggermi!”

OMBRA

“Il mostro peggiore di tutti.”

CORONA DORATA

“È la seconda volta che ti definisci tale e sappi che non sono per niente d’accordo.”

OMBRA

“Avere idee convergenti non è mai stato il nostro forte.”

CORONA DORATA

(Ridendo.) “Non sono d'accordo neanche su questo.”

(Anche Ombra ride, per poi lasciare cadere la conversazione. Tiene stretto Corona Dorata ma non lo guarda, è al centro del letto, supino, e fissa il soffitto con espressione seria.

(Fine scena)

SCENA 4 - INTERNO - CAMERA MORTUARIA 

(La bara della Regina di Spade è ancora al centro della stanza, sigillata. Ombra entra e si avvicina, fino a posare una mano sulla faccia intarsiata nel metallo.)

OMBRA

“I miei ossequi, strega. Potevi aspettare un paio di settimane prima di tirare le cuoia, e invece no, mi hai fatto precipitare di corsa a Sogno dalla superficie. Una spina nel fianco fino all’ultimo. Com’è la morte? Fredda?” (Picchiettando sulla bara.) “Sentirsi costretti non è piacevole, vero? Non preoccuparti, quando siederò sul tuo trono ti farò riesumare e mangiare dai corvi. Il tuo trono, hai sentito bene. Non dovrebbe essere più traumatico che sapermi tra le cosce di tuo figlio. Sai che vuole governare con la gentilezza? Giuro, non ho idea di come hai fatto a generare uno così. Non lo ucciderò, è l’unica consolazione che ti concedo, e non lo faccio certo per te. Nonostante il tuo scetticismo in vita, mi è caro davvero. Sto ancora decidendo se infrangere tutti i suoi sogni e privarlo di ogni cosa, oppure lasciarlo semplicemente nella sua bolla d’ingenuità. Non fraintendermi, per fare un torto a te mi lascerei odiare senza rimorsi. E, chissà, fra venti o trent’anni, quando il rancore lo avrà sfibrato per bene, magari avrai finalmente il figlio che meriti. Niente ti cambia come perdere l’innocenza, garantisco personalmente. Però c’è qualcosa di poetico nel fatto che tuo figlio sia incapace di essere crudele. È ironico. Il tuo unico punto debole, che mi consegna la corona personalmente e con un sorriso sulla faccia. Sì, mi piace.”

(Ombra si allontana dalla bara e si volta, camminando verso l’uscita.)

OMBRA

“Ci vediamo a guerra conclusa, strega. Marcisci nella tua bara, nel frattempo, e disperati per ciò che mi hai lasciato."

(Fine scena)

(FINE EPISODIO 5)

(FINE PARTE 1°, 1° STAGIONE)


COWT14

Mar. 29th, 2025 07:36 pm
 

Settimana: 4

Missione: M2

Prompt: La mano tesa

Titolo: Il momento di crescere

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Ha riconosciuto l’odore. Kiro ha riconosciuto l’odore dell’Uomo Gentile, e improvvisamente ogni altro odore perde d’importanza. I cinghiali che hanno la tana oltre la macchia di betulle? Potrebbero passargli davanti in questo momento, non li degnerebbe di uno sguardo. La traccia umida che conduce al ruscello a monte? Dissetarsi non è così importante.

Corre e barcolla tra le radici degli alberi nel sottobosco, evitando i cespugli e arrampicandosi sulle collinette punteggiate di funghi, spingendo sulle zampe tremanti, chiedendo loro un ulteriore sforzo. Le ferite fanno male, ma anche quello ha perso importanza.

Gentile è tornato. Gentile è tornato a trovarlo.

Scivola sulla terra arida, un paio di volte i muscoli cedono, ma continua ad andare avanti. Perché Gentile è tornato.

Madre lo supera all’altezza di una collinetta particolarmente fragile, franata in parte sopra una quercia senza tempi.

La nuca di Kiro formicola dove, solo una stagione prima, avrebbe sentito le fauci gentili di sua madre afferrarlo e aiutarlo nella sua salita. L’ombra che invece lo sovrasta, ora, è indifferente alle sue difficoltà. Giusto. È la sua prima estate da non-cucciolo. Deve solo abituarsi.

Una spinta, un altro metro guadagnato.

Gentile lo sta aspettando; ha riconosciuto l’odore di metallo e di uomo e di piccolo roditore morto. Deve aver portato la merenda. La saliva gli riempie la bocca. Non mangia da due giorni. Oh, quanto gli è mancato il suo amico Gentile.

La quercia è alle sue spalle, la parete rocciosa della montagna davanti a sé e una figura alta e slanciata come un pino dondola sul posto.

Kiro corre all’impazzata, superando ostacoli a forza di inciamparci sopra. Ulula il suo saluto, contravvenendo a tutti gli insegnamenti di Madre sull’essere silenzioso e furtivo.

Gentile è già circondato dai suoi fratelli, più veloci di lui, ed elargisce carezze e conigli stecchiti a chiunque si metta a portata di zampa – mano, si chiama mano.

Anche Madre è arrivata e, leccandosi i baffi, si avvicina senza fretta e senza paura. Ci ha messo un’intera estate a fidarsi, ma alla fine ha deciso che permettere a quell’Uomo Gentile di avvicinarsi vuol dire “spuntino senza sforzo” invece che “pericolo”.

Gentile solleva la testa verso Kiro nel momento in cui lo sente ululare e scopre i denti. Non sono denti minacciosi e Kiro ha imparato che, nel linguaggio degli uomini, vuole dire che è felice.

Si prepara a doversi fare spazio tra i suoi fratelli, ma Gentile li supera con due falcate e con altre due è a portata di coccole. Si struscia su di lui fino dove può arrivare, la coda che sbatte sulle sottili fibre intrecciate che per qualche strano motivo lo copre sempre. Non ha la forza di sollevare le zampe e provare ad arrampicarsi anche su di lui, e le ferite pizzicano ad ogni contatto, ma non può fare a meno di girare e girare e passargli tra le gambe e girare, come… beh, come un cucciolo – non più un cucciolo, non da quest’estate.

Chi se ne importa. Gentile è tornato a trovarlo.

Una mano grande e ruvida scende dall’alto aperta e, sì, è finalmente arrivato il momento coccole.

Kiro guaisce sorpreso quando la stessa mano, invece che accarezzargli il pelo dietro le orecchie, gli circonda il costato e lo solleva da terra. E, ahia, no, guaisce ancora, gli fanno davvero male le costole da quel lato, si contorce e vuole essere lasciato subito.

Gentile invece mette il suo braccio a sostenerlo da sotto, come se Kiro riposasse su un tronco galleggiante, con il petto di metallo riscaldato dal sole dell’uomo a sostenerlo su un fianco.

È una posizione molto più comoda della precedente e quindi smette di divincolarsi. Anzi, a quell’altezza può raggiungere il muso di Gentile per accarezzarlo e così solleva la testa.

Gentile non mostra più i denti.

I suoi fratelli non hanno smesso di tormentarlo per il cibo.

Gentile si stacca dalla cintura il resto dei conigli morti e li lascia cadere sull’erba tra i suoi fratelli, per poi allontanarsi da loro e accomodarsi su un masso poco distante, Kiro ancora tra le sue braccia.

Magari ora riceverà le sue grattatine in pace.

Gentile invece prende qualcos’altro dalla cintura. Ha la forma di un frutto ma odora di terra argillosa e bagnata, e ha il colore del manto dei cerbiatti meno malaticci. Quando Gentile la ruota, da un buco esce dell’acqua, che gli bagna la mano.

Kiro spinge il muso in quella direzione, annusando all’impazzata. Non sapeva esistessero dei frutti con delle pozzanghere dentro. Chissà quanto sono strani gli alberi che li producono. Chissà se sarà in grado di rintracciarli da qualche parte sulla montagna, se ora si sforza di memorizzarne l’odore.

Gentile ha altri piani: con le dita bagnate gli sfiora il muso, delicatissimo, sui graffi e sul pelo lì intorno. Quasi non fa male. E, quando ha finito di lavargli il muso, l’uomo tira fuori da qualche altra parte un paio di roditori e glieli serve sul palmo della mano.

Kiro è fuori di sé dalla gioia: il suo spuntino preferito, il suo uomo preferito, lavato e coccolato tra le sue braccia sotto il sole caldo di mezza estate. Per poco non ricomincia a divincolarsi eccitato. Sarebbe tutto perfetto se solo non faticasse così tanto a masticare la pelle raggrinzita di quei topi, ben più dura delle frattaglie mezze masticate scartate dai suoi fratelli.

Anche a questo pensa Gentile, tagliando per lui i roditori in piccoli pezzi con il lungo artiglio che tiene legato sui fianchi. Poi, ricomincia a coccolarlo, la grande mano delicata che gli liscia il pelo. 

Il sole si muove in cielo, ma non c’è fretta per quel giorno. Nessuna urgenza di cercare da mangiare. Madre riposa all’ombra di un albero, i suoi fratelli giocano alla lotta in mezzo alla radura e Kiro si gode le sue carezze, un po’ sonnecchiando, un po’ mordicchiando le dita del suo amico gentile.

Prima del tramonto però, Madre si alza e si agita, annusa l’aria leccandosi i baffi. Si avvia nel fitto del bosco senza fretta ma con passo deciso. 

I suoi fratelli cominciano a seguirla, tra chi si lancia senza esitazione al suo seguito e chi si attarda intorno a Gentile nella speranza di ricevere un ultimo boccone. 

Lasciare il suo amico lo riempie di tristezza, ma la sua famiglia si sta muovendo e, se non si sbriga, Kiro verrà lasciato indietro. Punta le zampe su quelle di Gentile per darsi la spinta per saltare a terra. Le articolazioni scricchiolano un po’, ma non fa più così tanto male.

Gentile lo trattiene per la pelliccia.

Kiro scalcia un po’, ma non viene liberato. Scalcia ancora. Non capisce.

Al suo agitarsi, le grandi mani dell’amico tornano ad accarezzarlo, cercando di calmarlo. Ha anche iniziato a emettere suoni dalla bocca, suoni che Kiro non capisce, ma che suonano bassi e avvolgenti come lo sciabordio dell’acqua. 

Uggiola un po’ anche lui. I suoi fratelli sono ormai tutti scomparsi alla vista.

Gentile comincia a muoversi, senza lasciarlo andare, nella direzione opposta.

Risponde a ogni protesta con una carezza, a ogni calcio con una grattatina dietro le orecchie. 

Kiro smette di opporsi con sincerità dopo i primi tre passi. È così bello essere trasportati di nuovo, sentirsi accuditi e protetti, coccolati. Anche se non è più un cucciolo. Anche se più si allontanano, più faticherà a ritrovare il suo branco.

Magari… magari può essere il cucciolo di Gentile, solo per un’altra stagione. 

La mano che lo accarezza e il dondolio della marcia lo cullano nell’incoscienza.

Sì, può essere il cucciolo di Gentile.


COWT14

Mar. 26th, 2025 07:50 pm
 

Settimana: 4

Missione: M2

Prompt: Il viaggio

Titolo: Ferro e zanne

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Capitolo 1


Si può definire il villaggio di Piccobasso come il più pacifico del continente. Il motivo? Nessuno se ne interessa. Nato come un avamposto militare del Regno della Luna nel suo periodo di conquista, è stato dimenticato, spopolato e ripopolato da vagabondi alla ricerca di un posto sicuro. E sicuro lo è: circondato da montagne e foreste maestose, talmente piccolo da comparire a malapena sulle mappe, così lontano da qualsiasi altro centro abitato da rendere un ipotetico viaggio lungo, dispendioso e discutibile. Piccobasso è passato sotto la giurisdizione di cinque diversi regni in cinquant’anni, senza che la cosa pesasse ai suoi abitanti più di una pioggerella estiva. 

In effetti, le uniche “minacce”, se così si possono chiamare, che potrebbero disturbare la quotidianità dei paesani sono unicamente interne. Se chiedeste a Mastro Massari, stimato fabbro forgiatore e sindaco di Piccobasso, lui vi risponderebbe che le tre piaghe che più lo preoccupano sono i nevai friabili di marzo, la competizione annuale del taglio del tronco e Clover, apprendista alla sua fucina. Non necessariamente in quest’ordine. 

Era usanza collettiva che gli orfani finissero sotto l’ala dei paesani più abbienti, e che in generale fossero responsabilità di tutta la comunità. Non c’erano molti orfani, in ogni caso. Da un paio di decenni a quella parte, solo al povero Clover era toccata quella sfortuna. E a Mastro Massari era toccata la sfortuna di doverlo gestire. 

Non che sia un cattivo ragazzo, o uno scansafatiche, o un approfittatore. Clover stima Mastro Massari e il suo lavoro; essere un fabbro come lui è tutto ciò che lo rende felice e a cui ambisce nella vita, ed è indiscutibilmente, maledettamente e senza possibilità di miglioramento una frana nell’esserlo.

Sarà per questo che gli toccano sempre i compiti più facili e noiosi. O per questo che non ha il permesso di avvicinarsi alla fornace principale senza supervisione, né al magazzino dei metalli, né a quello degli utensili, né agli stampi di ghisa. Soprattutto agli stampi di ghisa.

Gliene cade uno di mano proprio in quel momento. Un blocco per i vomeri d’aratro lungo quanto un suo braccio, pesante la metà di lui, si schianta al suolo con il rimbombo di un tuono - solo leggermente più fragoroso dei rumori che solitamente riempiono la fucina. Non lo ha preso in mano, non proprio. Voleva solo scansarlo, per appoggiare il suo di stampo sul tavolo da lavoro. 

Il blocco rimane intatto, ma ci manca poco che gli finisce su un piede, e a quel punto ben poche delle sue ossa sarebbero rimaste integre. Clover sobbalza, il fiato incastrato in gola e il dolore fantasma al piede che gli fa venire la pelle d’oca. 

Molla lo stampino su cui ha lavorato nell’ultima mezz’ora e si china per raccogliere la forma in ghisa. 

Ezra, l’altro apprendista, quello bravo, il favorito, gli passa accanto con un’occhiata di biasimo e nessun cenno d’aiuto. Poi ripassa neanche mezzo minuto dopo e Clover scommette che lo ha fatto apposta, anche se non ha niente da fare in quella zona della fucina, solo per guardarlo arrancare. Cieli, lo stampo per vomeri pesa tantissimo, riesce a malapena ad alzare un lato.

“Mi aiuti?” chiede. Forse se Ezra afferra l’altro lato, riusciranno a sollevarlo quei pochi secondi sufficienti per rimetterlo sul tavolo in pietra.

Peccato che lui abbia altri piani. “Ancora non hai imparato che non devi chiudere gli anelli?”

Clover guarda il suo collega cercando di capire di che diamine parli. 

Ezra tiene sollevato il suo lavoro di una mattina con una sola mano, le vene gonfie sottopelle spesse quanto i solchi che ha disegnato sul gesso in tre cerchi allungati. “Come pretendi di fare una catena in questo modo?”

A Clover formicolano le dita. “Lascialo!” e oh, quanto avrebbe voluto non seguire il suo stesso monito. “Ci penso io!”

Il momento successivo ci sono troppi pallini luminosi nel suo campo visivo perché possa distinguere Ezra o la tavoletta. Poi troppe lacrime. Cerca in tutti i modi di spostare la maledetta pietra sul suo piede con tutte le forze e ci rimedia una decina di tagli sui palmi, ma finalmente riesce a far sgusciare la scarpa sul pavimento polveroso. Si siede subito, o magari cade, non si sente molto stabile neanche sull’altro piede al momento, e toglie la scarpa per alleviare la pressione e controllare i danni. 

Prega che non si sia rotto niente. Dita o piede rotti significano difficoltà a stare in piedi e muoversi, che significa essere d’intralcio nella fucina - anche più di adesso - che significa essere bandito dalla fucina almeno per un mese. Quindi prega i Cieli e la Signora Verde di non essersi rotto niente, per favore, ti prego, farò il bravo quindi ti prego, ti prego, ti prego.

“Prega piuttosto di non avermi ammaccato il pavimento, ragazzo.”

Una mano grossa quanto la pala del fornaio arriva ad afferrargli la caviglia dolente, con una delicatezza che ti aspetteresti nelle dita del cartaio e di certo non in quelle nere, rugose e piene di calli di Mastro Massari. Nonostante questo, una scossa di dolore attraversa tutta la gamba di Clover e gli fa arricciare le dita del piede.

“Niente di rotto” è la sentenza finale, dopo un paio di caute strette e manovre navigate. “Fatti dare del ghiaccio da Genna.”

Mastro Massari lo rimette in piedi con la stessa facilità con cui posa la lastra di ghisa al suo posto, una facilità invidiabile, soprattutto da parte di Clover. 

“Sto bene” dice, “non ho bisogno del ghiaccio.” Il ghiaccio costa sempre di più negli ultimi tempi. 

“Senza ghiaccio domani avrai un piede grosso quanto un tacchino.”

“Sto bene, davvero.” Prova a fare qualche saltello dimostrativo, ma cambia idea non appena sposta il peso sul piede incidentato. “Se si gonfia, stanotte dormo con il piede fuori dalla finestra.”

Ezra sbuffa e arriccia la bocca in una smorfia di scherno, ma Mastro Massari sta chiaramente facendo a mente le sue stesse considerazioni economiche sul ghiaccio e, dopo un borbottio, lascia cadere il discorso.

Clover si riappropria del suo stampo per anelli, ma Ezra sta già tornandosene nel suo angolo di fucina, fermato dopo due passi da Mastro Massari.

Lo sferragliare dei martelli sul metallo, le ventole che sbuffano come venti di alta montagna, il crepitio del fuoco, tutto si riduce a rumore di sottofondo quando il padrone della bottega parla, voce tonante e carisma e corporatura da armadio. 

“Come alcuni di voi sapranno, abbiamo un nuovo re: Sua Maestà Leandro Lancaster II è salito al trono una settimana fa.”

“Non lo sapevo” ammette Clover, mentre osserva tutti i fabbri e Ezra annuire. La politica non gli è mai interessata, ma è il suo primo cambio di re. Magari farà bene a ricordarselo.

Mastro Massari lo blandisce con un gesto della mano a mo’ di “ora lo sai” e continua il suo discorso.

“Ha deciso come prima cosa di far visita alle corti di tutte le sue provincie, e per arrivare a Porto Dorato passerà di qui.”

A Clover sfugge un verso sorpreso. Non sapeva neanche questo, al contrario, di nuovo, dei suoi colleghi.

“Qui… qui? Vedremo il re?”

“Sì” Mastro Massari fa schioccare i denti, infastidito, “vedremo il re. E lui vedrà Piccobasso, quindi facciamo in modo di lasciare una bella impressione. Nei prossimi giorni forgeremo gli archi da montare sulla strada principale, le giunture per le tribune e il palco e, soprattutto, le frecce cerimoniali da donare al re. Lavoreremo a lungo e sodo. Servirà…” il suo sguardo vola a quel punto su Clover, ed è ancora infastidito, sebbene lui non l’abbia più interrotto. “... l’aiuto di tutti.”

Di tutti. Oh, sì, Clover sente quelle sillabe come stampate sui suoi polpastrelli formicolanti. Non chiede di meglio. Lunga vita al re!


***


Nel frattempo, più a valle

Crescere come lupo nella foresta implica, tra le molte altre cose, sviluppare ben presto una certa resistenza di stomaco. La natura, ahimé, è bellissima quanto disgustosa, piena di dettagli truculenti o mattanze varie, almeno per un civilizzato popolano di città. Quella che per un giovincello qualunque è una fresca carcassa smembrata, calamita di mosche quanto di conati di vomito, per il ragazzo-lupo è il pranzo. Eppure, persino per lui la scena che gli si para di fronte è troppo. 

La renna distesa a terra continua ad avere spasmi nonostante la cassa toracica squarciata e più visceri fuori che dentro. Gli occhi sono vitrei, la bocca schiumante di bava grigia. Qualcosa di simile le incrosta gli organi visibili, come una ragnatela mal tessuta che avvolge tessuti e ossa spezzate. 

L’odore è indicibile. Costringe i lupi del branco a debita distanza. Nonostante l’olfatto meno fino, neanche il ragazzo-lupo può avvicinarsi; il naso gli prude appena ci prova e anche gli occhi, già restii a fissarsi troppo su quello spettacolo, pizzicano e si fanno lucidi. 

Madre lo tira via prima che faccia una sciocchezza, tipo provare a toccare la carcassa. Cerca di impedirgli di avvicinarsi anche a Canta Alla Luna, uggiolante e con le fauci schiumose, circondato dagli anziani preoccupati.

Al ragazzo-lupo non importa di quest’ultimo pericolo. Scansa Madre con attenzione, evitando le ultime ferite ancora in via di guarigione, e si avvicina al suo amico dolorante con le mani - mani da lupo speciale, che possono fare cose che le altre zampe non possono fare - protese. Si ferma prima di toccarlo. 

Canta Alla Luna scuote la testa sempre più energicamente. Tende la schiena, si piega in avanti, cerca di rigurgitare.

Il ragazzo-lupo non sa bene cosa fare. Ascolta il dolore di suo fratello e vorrebbe infilare un braccio giù per la sua gola e tirar fuori il male. 

È una pessima, pessima idea e, grazie al cielo, c’è ancora abbastanza lucidità in quella testolina spelacchiata per capirlo. E se non ci fosse, c’è sempre Madre.

Le mani continuano ad agitarsi per aria, senza mai raggiungere il pelo maculato, senza mai tornare al loro proprietario. Prende a girare in tondo con gli altri lupi adulti, un cerchio che parla di preoccupazione e istinto di protezione, “non so come aiutarti” e “non riesco a stare fermo” e “non ti lascio solo”.

Dopo un minuto parso una settimana, Canta Alla Luna sputa un grumo di saliva, carne poco digerita e sangue cinereo, e si accascia al suolo. Porta-Regali, la sua compagna per la stagione, è la prima ad avvicinarglisi. Un colpetto di muso contraccambiato fa capire a tutti che il peggio è passato.

Si fa per dire. Il ragazzo-lupo sa che la vertigine che gli alleggerisce il petto è temporanea. Mentre affonda finalmente nella pelliccia di suo fratello, lo sguardo gli cade sulla carcassa dimenticata più in là. Un paio di lupi sono rimasti a controllare la situazione. Ultimo Passo svetta ancora così teso da sembrare pronto al balzo. Tra le onde dei loro manti, il grigiore morboso nella cavità della renna cattura lo sguardo e i pensieri. Quello che il peggio deve ancora arrivare, in particolare, si annida sul cuore e non lo lascia più.


* * *


La sera cala pesante di umidità e inquietudine. La foresta sa. Sanno gli alberi, i piccoli roditori tra le loro fronde e gli insetti nelle cortecce. Sanno gli uccelli di passaggio e i grandi bisonti che la chiamano grembo, casa e tomba. Sa la lince. Sa la volpe. Sa il gufo. Sanno i lupi. Nessuno sa come affrontare quel nuovo pericolo.

Ultimo Passo prenderà una decisione quella notte, il ragazzo-lupo lo capisce da come riunisce il branco nella radura dei cedri e non lascia andare nessuno a caccia. Si assicura che tutti siano nel suo campo visivo, al sicuro, Canta Alla Luna a riposo al suo fianco. Così non deve preoccuparsi per loro, e può pensare alla cosa giusta da fare.

Il ragazzo-lupo teme li farà spostare. Spostare non come quando scendono più a est qualche settimana per fare spazio alla migrazione dei bisonti; ma abbandonare il territorio, la foresta. È la quinta preda che trovano guasta; la prima volta che lo scoprono troppo tardi e un lupo rischia di morire. La malattia ha preso piede nella foresta e si muove senza schema. Colpisce chiunque, prede, predatori, spazzini. Le mandrie sono troppo impaurite per stare ferme e hanno già iniziato a nutrirsi di meno. Nessuno si abbevera più al Fiume Grande. 

Presto il cibo scarseggerà anche per il branco, e se così non fosse, ormai il rischio della carne guasta è troppo alto. Ma lasciare il territorio per l’ignoto… Il ragazzo-lupo sa che ci sono altri branchi a sud, con le loro regole e le loro prede. Non li lasceranno restare, mangiare, correre per più di qualche giorno. Dovranno combattere per una nuova foresta e allora ci saranno morti comunque.

“Madre” chiama. 

La lupa riposa accanto a lui, con i nuovi cuccioli già belli che ronfanti tutt’attorno. Riconosce la sua voce, quel miscuglio di suoni che emette quando si riferisce proprio a lei, e alza la testa. 

Da quando ha imparato il linguaggio degli umani, ogni tanto il ragazzo-lupo lo usa con il suo branco. Anche se loro non capiscono le parole, e non hanno bisogno di parole per capirlo. Le parole, però, aiutano lui a capire sé stesso.

“Ho paura, Madre,” cerca il conforto del suo calore, scansando un cucciolo e prendendo il suo posto contro il torace della lupa. 

Il cucciolo guaisce di disappunto, barcolla con gli occhi troppo pesanti per aprirsi, prova a spingerlo via e barcolla di nuovo. Allora gli annusa la gamba e azzarda ad arrampicarsi. Finisce per ribaltarsi come un castoro. Zampe All’Aria. 

Il ragazzo-lupo lo solleva e se lo sistema sullo stomaco, contro l’incavo del gomito. Prende ad accarezzarlo con una mano, con l’altra liscia il pelo della coda di Madre quando lei gliela offre. Le piace, quando lui ci passa le dita attraverso. 

“Non voglio andare” dice. E “è la nostra foresta” e “la foresta muore.”.

Madre non risponde, è tornata con il muso sulle zampe, si sta addormentando. I cuccioli dormono. Il branco per lo più dorme. Ultimo Passo vigila e pensa.

Allora il ragazzo-lupo si alza, rimettendo Zampe All’Aria al suo posto. Scavalca i suoi fratelli per raggiungere il capobranco, con i suoi occhi ora fissi addosso. Si siede ai suoi piedi e abbassa la testa, aspettando un sospiro tra i capelli che, nel linguaggio del branco, significa “ti ascolto, mio cucciolo strano, puoi abbracciarmi e sbavarmi sul pelo, uggiolare in quei tuoi versi strani e crogiolarti nel fatto che azzannerei un orso alla gola per te”.

E il ragazzo-lupo vorrebbe dire “dammi qualche giorno, voglio provare ad aggiustare le cose” ma i lupi non conoscono il concetto di temporeggiare. 

E vorrebbe dire “aspetta prima di partire”, ma è uno spreco di fiato, perché ovvio, non si parte finché non ci sono tutti, il rischio qui è che l’intero branco lo vada a riprendere.

E direbbe “è una cosa che solo io posso fare”, ma basta che si alzi in piedi, dritto come nessun altro lupo sarà mai in grado di stare, e agiti le dita in battaglie immaginarie. 

Ultimo Passo gli morde le mani, non è felice. 

Il ragazzo-lupo combatte con lui per qualche minuto per riprendersele, mugugna frustrato finché Ultimo Passo non lo atterra tirandolo per una caviglia. Il peso dell’enorme testa felina in mezzo alla schiena lo inchioda a terra.

“Devo andare!” Grida, “fammi andare!” E poi si immobilizza. Quieto, respira la terra sottile, l’odore di argilla e quello di muschio portato dal vento. L’odore di lupo, che è forte quanto quello della corteccia bagnata, ma molto più metallico. 

Una lappata sulla nuca è ciò che riceve prima di essere liberato, una benedizione bagnata che gli fa accartocciare le spalle, ma anche desiderare di non sollevarsi più da terra. 

Lascia Ultimo Passo senza voltarsi a guardarlo un'ultima volta, perché lui è tutto ciò che si può desiderare in un capobranco e lo fa sentire piccolo, giovane, irresponsabile. Deve essere forte, invece, deve essere implacabile. 

Accazzarezza ogni lupo a portata di mano lungo il suo tragitto. Da Madre si ferma un po’ di più, stringendole le braccia al collo fino a inquietarla, salutando ogni fratello, svegliando i cuccioli. Quando punta al limitare della radura, Madre alza la testa preoccupata e fa per seguirlo e riportarlo al suo posto, ma il ringhio di Ultimo Passo è perentorio. 

“Torno, giuro che torno” dice, anche se sa che Madre non lo capisce e non ne sarà neanche un minimo confortata. Quando tornerà davvero, non gli permetterà di allontanarsi da lei più di un balzo almeno per un mese. 

Lascia la radura, perde di vista il suo branco nella notte. Dopo pochi passi non distingue più i loro respiri. In pochi minuti, è solo nella foresta.


***


Il Fiume Grande è un fiume ed è grande, ma non si chiama davvero così. Per i paesani di Piccobasso e tutti i sudditi del regno che si prendano la briga di leggere quella parte della mappa, il nome è Balzante. In onore delle cascatelle, basse ma frequenti, che lo costellano da monte a valle. 

Per i lupi, e tutti gli abitanti della foresta, il fiume non ha nome, è solo acqua che scorre. Si beve e ci si fa il bagno. Luogo di tregua, mai di caccia. 

Il ragazzo-lupo ha preso a chiamarlo così nella sua testa, non sa di preciso il perché, ma i suoi pensieri non sono come quelli del branco: a lui serve un modo, nella mente, per distinguerlo dagli altri rigagnoli che bagnano il territorio. Quindi Fiume Grande, e Salta Tra I Castagni, Bagna Prati e Striscia Marrone.

Non ci ha messo molto, prima di dirigersi verso le sue sponde. Ha pensato “cosa farei se fossi renna?” e ha corso tra gli alberi, cercato i cespugli più appetitosi e dormito nell’erba alta. Ha respirato l’aria del sottobosco, fresca e pietrosa. Ha mangiato le bacche purpuree, le più gustose, contendendosele con i roditori. Nella grande distesa d’erba morbida, ha osservato il cielo e sentito freddo; tra mandrie e branchi, un lupo solo e stupido. 

Ma non malato.

Non avvelenato dall’aria, né dal cibo, né dalla terra. La vita di una renna non è poi così entusiasmante, sono poche le cose da escludere dalla lista. Era rimasta, invero, solo l’acqua.

Le renne si abbeverano al Fiume Grande, lo sa. Tutte insieme, riempiono le sponde fangose, spingono i giovani in acqua e sbarrano la strada a chiunque. Nessuno degli altri rigagnoli è abbastanza ampio da contenerle in modo soddisfacente. 

Il ragazzo-lupo esita solo un momento, prima di assaggiare l’acqua. 

Se non è l’acqua, ha finito le idee. Se non è l’acqua, cosa può essere? No, deve essere l’acqua. L’acqua è avvelenata e lui ora la berrà.

Ci inzuppa le dita, attento a mantenere l’equilibrio sulla pietra dove si è inginocchiato. Succhia via qualche goccia. È fresca.

Il suo sapore gli esplode sulla lingua un secondo più tardi. Appena dolciastro, come leccare la pietra di una grotta. Un po’ metallico, come le foglie rosse degli arbusti che crescono sulle piane a nord-ovest. Normale. 

Un principio di nausea lo coglie, e non è colpa di un presunto avvelenamento. L’acqua sa di acqua, come sempre. Non c’è nessun sapore nuovo. 

Punta gli occhi sull’acqua, scandaglia con lo sguardo fin dove può: il colore è il solito, sia del fiume, sia delle brevi sponde ghiaiose, sia delle piante che ne gradiscono la vicinanza. 

Si alza in piedi, percorre qualche passo, prende un altro sorso d’acqua. Riprova più avanti e affonda con i piedi nel letto del fiume. Arranca controcorrente, beve, raggiunge la cascatella più vicina. Beve a bocca aperta come se piovesse.

Si sente affogare.

No, no, no, l’acqua deve… l’acqua è…

Tossisce, chiude la bocca, si sottrae alla cascata barcollando e finisce a carponi. E si ferma. È forse un po’ troppo metallico il sapore che gli invade la bocca? Si lecca le labbra, lentamente. Non se lo sta immaginando. C’è troppo metallo in quell’acqua, non è come al solito. 

Può essere un caso. Quando gli abitanti del villaggio provarono ad aprire una nuova cava sulla montagna, l’acqua ebbe il sapore delle tagliole per mesi, un sapore simile a quello.

Il ragazzo-lupo punta lo sguardo a nord, tra gli alberi, dove molto più su sorge il villaggio degli uomini. Avevano già contaminato l’acqua una volta. Ora, sono la sua migliore pista.


***


Ha risalito il Fiume Grande in mezza giornata, senza incrociare altri animali. Gli unici incontri che ha fatto sono stati con un paio di gusci colorati - roba degli uomini del villaggio, ma non saprebbe proprio dire cosa siano o a cosa servono - che galleggiano sull’acqua seguendo la corrente. Si è fermato a mangiare dei frutti asprigni e una manciata di bacche, strappate a un cespuglio di rovi in cambio di una striscia di sangue. 

Non ha più bevuto l’acqua del fiume. Dopo il sapore dolce delle more, quello metallico dell’acqua l’ha distinto a meraviglia. E più strada ha macinato dietro di sé, più si è fatto forte.

Dietro un’ultima macchia di lecci, finalmente arriva a vedere il villaggio. 

Il fiume si immerge nella foresta con una curva larga, dopo aver attraversato un centinaio di passi di campi coltivati, un muretto in pietra e altri campi, più brevi e rigogliosi. Le case cominciano a spuntare dal terreno a quel punto, e si arrampicano sul pendio della montagna per duecento, o forse trecento, passi. Dall’altra parte del paese, appena visibile da quella distanza, un filo azzurro corre alla sorgente, mentre poco distante un altro fiume, bianco e sterile, lascia le case e scompare tra due picchi.

Sebbene sia ormai certo che il fiume sia avvelenato e che i responsabili siano gli uomini, quella è una conoscenza che non gli serve a niente se fine a sé stessa. Deve trovare la causa precisa della malattia e deve toglierla dal fiume. E, per farlo, deve entrare nel villaggio.

Un dolore fantasma gli batte sulla schiena. 

Il ragazzo-lupo si muove sotto i lecci, sgranchisce le gambe, cerca di raggiungere la zona dolente.

Non si avvicina così tanto da quando ha imparato a usare le parole. Da quando ha smesso di credere che rubare il cibo agli uomini sia più facile e più sicuro. Ora è più grande, più maturo, un giovane lupo. Conosce i pericoli e li eviterà, perché il suo branco ha bisogno di questo.

Attraversare i campi senza essere notato non è difficile. Il grano è quasi maturo, se si acquatta lo sovrasta completamente. Anche il muretto, sebbene scoperto, non è un ostacolo degno di questo nome: il giorno ormai al termine allunga le ombre e nasconde il passaggio del ragazzo-lupo dall’altra parte, rapido e silenzioso.

La terra scura è un problema, invece. È per lui strana oltre ogni dire, con quelle piante dagli odori forti disposte in file precise e tutta terra incolta intorno, ma soprattutto è senza nascondigli e quasi sempre sorvegliata. 

Decide di aspettare che il sole scompaia del tutto. Gli uomini non sono animali notturni. Con il buio, smetteranno di lavorare i loro campi e sarà facile scivolare tra le ombre fin dentro il villaggio. Sarà come cacciare. 


***


Non ci sono ronde notturne a Piccobasso. A che servirebbero? Non c’è proprio niente di valore da rubare, non passano banditi da quelle parti, non passa proprio nessuno salvo rare eccezioni. E per tenere lontani gli animali bastano i recinti e i lampioni lasciati accesi sulle strade principali.

Ciò facilita di molto la missione del ragazzo-lupo che, ammantato di notte e di silenzio, segue il fiume dentro il villaggio, tenendosi ben alla larga dai pali incoronati di fuoco e dai pochi uomini barcollanti che vede ciondolare da una porta all’altra.

Il fiume è molto più piccolo e profondo, ora, con un letto di pietra e sponde severe e serpeggia tra le case con curve troppo strette per essere naturali. A non più di cinquanta passi dall’inizio del villaggio, un enorme ammasso di legno lo sovrasta.

Gli pare di ricordare si chiami ruota, ma non ha idea di cosa ci stia a fare sopra il fiume. L’acqua ci si arrampica sopra e la fa girare. 

Il ragazzo-lupo la studia per un po’. Assaggia di nuovo l’acqua, attento a non farsi trascinare tra le pale, e cerca di grattare anche qualche scheggia di legno. Non gli sembra ci sia niente di strano. La ruota è attaccata a un grande tronco che esce da una casa di pietra, ma non ci sono aperture, nessun canale che finisca nel fiume, nessun sasso strano o arnese pericoloso. 

Dopo appena un palmo di cammino di luna, lascia perdere e continua a seguire il fiume.

Incontra un’altra ruota. E poi un’altra. La terza si guadagna la sua attenzione per più tempo: c’è un canale, vicino alle pale, che unisce il fiume alla casa di pietra. È umido e scivoloso, c’è un rigagnolo. Il ragazzo-lupo raccoglie due gocce sulle dita e se le infila in bocca. Sputa quasi immediatamente: il sapore ferroso è così forte che potrebbero convincerlo di aver appena assaggiato del sangue. 

Una strana euforia, magari fuori luogo, lo pervade da capo a piedi. Eccolo. È molto più che sulla buona strada. È vicino. 

Si guarda intorno, per quanto la luna e il fuoco lontano gli permettano. Non ci sono occhi a osservarlo. I rumori sono lontani. I buchi nelle case sono sbarrati, sebbene le fessure lascino passare sibili di vita e calore. 

Tende l’orecchio anche verso il canale aperto, cercando di cogliere un qualsiasi rumore. Non vede niente dell’interno.

Esita solo un momento. Non gli piace infilarsi nei buchi, odia dare la caccia alle volpi. La terra sopra la testa è soffocante. La pietra, quella pietra, è soffocante e pericolosa.

Pensa a Madre, a Zampe All’Aria e agli altri cuccioli, a Canta Alla Luna e a Ultimo Passo.

Scivola dentro il canale con un più facilità del previsto, muffa e acqua che lo aiutano. In pochi secondi è dall’altra parte. 

Non sa cosa aspettarsi dentro la casa. Non è mai… non ricorda… di essere mai entrato in una di quelle. O forse sì, ma non ricorda niente di quel poco che vede ora.

Tavoli di legno. Metallo. Rami-no, bastoni di ferro. Pietra grezza, pietra liscia. Stoffa ruvida e pregna di sudore. E un’enorme brace, quasi spenta ma ancora calda, sulla parete alla sua sinistra. È quel tipo di calore che gli fa rizzare i peli sulle braccia, e formicolare la schiena tanto da desiderare un albero su cui scorticarsi.

L’oscurità non gli permette di vedere altro. A bloccarlo sul posto, però, prima di poter iniziare davvero ad ispezionare l’ambiente, è un respiro rumoroso e profondo, quasi un sospiro. Viene dal fondo del locale, dove quello che ha scambiato per un ammasso di coperte è appoggiato a un tavolo ricoperto di corteccia chiara. 

L’ammasso di coperte si solleva e si abbassa e di tanto in tanto rantola. C’è qualcosa di vivo là sotto, addormentato ma potenzialmente pericoloso.

Il ragazzo-lupo si avvicina con più cautela che può, cercando di sbirciare tra le pieghe della lana. 

È un ragazzo. È giovane. È… quasi come affacciarsi sulle acque di un lago dopo una stagione di migrazione: noti delle differenze, ma il disegno alla base è rimasto lo stesso. 

Ormai ha visto molti uomini in vita sua, ma è la prima volta che sente di essere simile a uno di loro.


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