COWT14

Mar. 22nd, 2025 09:06 pm
 

Settimana: 3

Missione: M1

Prompt: testo non narrativo

Titolo: Istruzioni per la gestione del covo

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: lista di istruzioni

Istruzioni per la gestione del covo durante la mia assenza

Al mio fedele Ripley,

Come sai, sarò via per un certo periodo per portare a termine la parte finale dell’Operazione Whiskey. Durante la mia assenza, è fondamentale che il nostro covo rimanga un bastione di spietatezza, ordine e efficienza. Affido a te il compito di mantenere tutto sotto controllo e di assicurarti che nulla vada storto. Segui queste istruzioni alla lettera.

  1. Sorveglianza e Sicurezza

    • Mantieni attivi tutti i sistemi di sicurezza, a qualsiasi costo. Qualsiasi interruzione sarà considerata un tradimento.

    • Le telecamere devono essere monitorate 24 ore su 24. Chiunque si avvicini senza autorizzazione deve essere neutralizzato immediatamente.

    • I laser polarizzati devono rimanere attivi nei corridoi principali e nel caveau del denaro dalle 20:00 alle 08:00.

  2. Gestione del Personale

    • I mercenari devono rimanere disciplinati. Nessuna distrazione, nessun riposo ingiustificato.

    • Organizza allenamenti settimanali di combattimento per mantenere le loro capacità affilate.

    • Chiunque mostri segni di tradimento o incompetenza dovrà essere eliminato senza esitazione.

  3. Manutenzione del Laboratorio e delle Armi

    • Assicurati che la sezione R&S continui a sviluppare il raggio ottundente. Non tollererò altri ritardi.

    • Le armi agli alogeni devono essere testate ogni due giorni. Eventuali malfunzionamenti devono essere segnalati immediatamente.

    • Il mio autoveicolo blindato da battaglia è in fase di completamento. Controlla che nessuno osi modificarlo senza il mio permesso.

    • La vasca degli squali deve essere rifornita di prede fresche almeno una volta alla settimana.

  4. Approvvigionamenti e Finanze

    • I fondi devono essere gestiti con attenzione. Non voglio scoprire che hai sperperato il mio denaro in sciocchezze.

    • Continua le operazioni di ricatto e furto su base settimanale.

    • Mantieni i contatti con il mercato nero per eventuali nuove tecnologie e rifornimenti speciali. mi raccomando, orecchie ben tese.

  5. Piani di Emergenza

    • Se un supereroe dovesse scoprire il covo, attiva immediatamente la sequenza di autodistruzione (codice: K4-B00m).

    • In caso di attacco, evacua le risorse più preziose nei tunnel segreti.

    • Se il mio ritorno dovesse ritardare oltre i 5 giorni, invia il segnale X-7e alla SSS.

  6. Il Mio Ufficio e i Miei Oggetti Personali

    • Nessuno deve entrare nel mio ufficio. La punizione per chi lo fa è la morte.

    • Le mie collezioni di informazioni riservate a scopo ricattatorio devono rimanere intatte e sorvegliate.

    • Il mio Mus Musculus deve essere mantenuto in perfette condizioni e spazzolato ogni sera.

  7. Messaggi e Comunicazioni

    • Se ricevi un messaggio urgente, usa la linea sicura per contattarmi.

    • Diffondi false informazioni per confondere eventuali spie.

    • Se qualcuno osa sfidare la mia autorità, trasmetti un messaggio chiaro: non è che nessuno ci abbia mai provato, è che di loro non è rimasto abbastanza per essere identificati.




COWT14

Mar. 22nd, 2025 09:02 pm
 

Settimana: 3

Missione: M1

Prompt: testo non narrativo

Titolo: Un piccolo incidente mediatico

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: articolo di giornale



The Daily City

 


 

thedailycity.com Martedì, 13 Giugno 2022 News

 


 

ROMANTICISMO O POCA PROFESSIONALITÀ? NITRO BACIA UN PARAMEDICO DOPO UN SALVATAGGIO


Centro città, ore 17:20. A seguito di una fuga di gas, un incendio divampa in un palazzo residenziale di otto piani, a due soli isolati dal municipio. Il fumo si alza nel cielo mentre i vigili del fuoco lottano per domare le fiamme e proteggere gli edifici vicini. Prima che i soccorsi ufficiali possano completare il loro intervento, una figura mascherata compare tra le fiamme, librandosi nell'aria con un'agilità sovrumana. Il misterioso eroe noto come Nitro si precipita nell’edificio in fiamme e riappare pochi minuti dopo con una bambina tra le braccia, consegnandola sana e salva ai paramedici tra gli applausi della folla.


Ma è ciò che è accaduto subito dopo ad aver lasciato tutti a bocca aperta: un paramedico si è allontanato dall’area delle ambulanze per offrire un controllo medico all’eroe mascherato e Nitro ha risposto con un bacio inaspettato. Il gesto, immortalato da numerosi smartphone, ha immediatamente fatto il giro dei social, scatenando reazioni contrastanti.


"È stato un momento da film, davvero emozionante!", racconta Claire M., testimone della scena. "Dopo tutto, aveva appena salvato una bambina. Un bacio spontaneo non mi sembra poi così scandaloso!"


Non tutti, però, sono dello stesso avviso. "Un supereroe dovrebbe mantenere un certo decoro!", protesta un utente su X (ex Twitter). "Cosa ci garantisce che non approfitti della sua fama per azioni simili?"


Mentre la polemica infiamma il web, il paramedico coinvolto, identificato come Samwell L., 27 anni, ha dichiarato: "È stato un gesto impulsivo dettato dall’adrenalina ancora in circolo. Un errore in buona fede. Mi ha scambiato per una sua conoscenza."


Il paramedico non ha voluto aggiungere altro e si è rifiutato di fornire le sue impressioni sul bacio, mentre il video dell’accaduto continua a macinare visualizzazioni. Nitro, dal canto suo, non ha ancora rilasciato alcuna dichiarazione.


Il dibattito è aperto: è stato davvero un errore oppure una momentanea perdita di giudizio? È un gesto comprensibile viste le circostanze o un comportamento inopportuno per un simbolo di giustizia? Una cosa è certa: Nitro ha di nuovo catturato l’attenzione di tutti, e questa volta non solo per il suo eroismo.

 


 

SUPEREROI E VITA PRIVATA: UN SIMBOLO DI GIUSTIZIA DEVE ESSERE IRREPRENSIBILE?

Dopo il clamore suscitato dal bacio tra Nitro e un paramedico, la discussione si è spostata su un tema più ampio: i supereroi devono mantenere un’immagine pubblica impeccabile o hanno diritto a momenti di umana spontaneità?


Nel corso della storia, le figure eroiche hanno sempre rappresentato ideali di giustizia e rigore. Da un lato, alcuni sostengono che un simbolo di speranza e protezione debba mantenere un comportamento ineccepibile, per non compromettere la propria credibilità. Dall’altro, c’è chi difende il diritto di questi individui fuori dall’ordinario ad avere emozioni e relazioni personali, senza dover rispondere a un codice di condotta ferreo. (continua a pagina 5)







COWT14

Mar. 22nd, 2025 01:12 pm
 

Missione: M2

Prompt: Divergenza

Titolo: Formiche ai piedi di un elefante

Fandom: My Hero Academia

Rating: sfw

Warning: /

Note: OC


[...] Lago di Shizuoka, Musutafu. È appena arrivata la conferma dell’attacco in corso alla diga sul lato sud. Il gruppo ostile non è stato ancora identificato, ma testimoni oculari hanno avvistato almeno mezza dozzina di supercattivi mai visti cooperare prima d’ora. Tra questi, spiccano i famigerati Bye-Bites e Victor. Le forze dell’ordine sono sul posto e si stanno occupando dell’evacuazione dei civili, mentre le agenzie di heroes hanno inviato i loro migliori professionisti per respingere l’attacco e preservare l’integrità della diga. Purtroppo si temono danni alla struttura e, per scongiurare un possibile disastro, il sindaco e il Consiglio per la Pubblica Sicurezza stanno valutando proprio in questo momento di richiedere l’intervento dell’esercito. Per ulteriori dettagli, l’inviato sul campo Taneo Tokuda. [...]


[...] Siamo all’ingresso del parco, alle nostre spalle si vede chiaramente la diga e i combattimenti che imperversano ormai da quasi un’ora. La centrale idroelettrica è stata la prima ad essere presa di mira. Tutto il personale della struttura è ormai stato evacuato, grazie a una manovra magistrale degli eroi e delle forze dell’ordine che hanno liberato anche chi era stato preso in ostaggio. Ora la preoccupazione maggiore è quella di un cedimento della diga stessa. I villains, infatti, hanno concentrato i loro attacchi e aumentato la potenza di fuoco. Sappiamo che Little Giant sta arrivando come supporto, ma sembra che anche i nemici abbiano chiamato i rinforzi: Domino è apparso non più di cinque minuti fa e sta mettendo in seria difficoltà i veterani. Eccolo! Ecco Little Giant, mentre cresce e si pone a difesa della diga. Nonostante sia un novellino, ha già dimostrato un promettente… [...]


Little Giant sapeva bene che ogni metro guadagnato in altezza era una tacca sulla scala del dolore che avrebbe sperimentato più tardi. Nel migliore dei casi, lo attendeva una serata di immobilità forzata e cena a base di analgesici. 

Sospirò lievemente attraverso la maschera. Ne avrebbe fatto volentieri a meno. I dolori della crescita sono tragici quando cresci e ti rimpicciolisci di dieci metri nel giro di poche ore. 

Eppure non c’era niente che si potesse fare: al momento, Musutafu aveva bisogno che fosse alto più di un ponte, gambe e braccia come pilastri, massiccio e inamovibile quanto una montagna. 

Si spinse qualche passo più avanti, fino a toccare le pareti della diga. Sotto i suoi piedi sfilarono transenne accartocciate come fogli di giornale, aiuole sradicate e blocchi di cemento irregolari. Anche qualche essere umano, ma si costrinse a non soffermarsi su di loro, identificarli, aiutarli. Aveva un compito, e non era quello.

Qualche metro in più. I muscoli tiravano mentre si allungavano insieme al tessuto del costume. Dodici metri. Ancora un po’. Alzò la testa al cielo, le vertebre scricchiolarono. Forse riusciva ad arrivare a quindici.

“Continua così, piccoletto!”

Kamui Woods, o meglio zio Shin, gli passò sotto il braccio, fluttuando aggrappato a uno dei suoi rampicanti. Si aggrappò alla sua mano, dandogli delle pacche incoraggianti su un polpastrello che Little Giant non riuscì a percepire.

Era difficile conciliare l’immagine del casalingo appassionato di giardinaggio, le unghie sempre sporche di terra e la felpa impolverata, con quella del supereroe che si trovava davanti. Non fosse stato per il tono incoraggiante e familiare, se lo sarebbe scrollato di dosso come una zanzara. Invece, ricambiò il saluto.

“Ce la fai a crescere ancora un po’?” Suo zio gli indicò la passerella che orlava il bordo superficiale della diga. Anche alzando le braccia non sarebbe arrivato a toccarlo. “Dai che ce la fai.”

Il buonsenso gli urlava di no. Superati i quindici metri non si parlava più di dolori della crescita, ma di tortura medievale su un tavolo di stiramento. Ne avrebbe risentito per giorni. 

Qualcosa gli toccò la caviglia. Lo sentì appena, ma un rapido sguardo in basso bastò per trovare una volante della polizia schiantata sul suo piede. La battaglia a terra continuava a imperversare e da lassù non era in grado di capire chi stesse vincendo. 

Anche Kamui Woods si riscosse e, puntati i piedi sul suo polso, si diede una spinta sufficiente per tornare dove c’era più bisogno di lui.

Little Giant fece ciò che sapeva fare meglio. Crebbe ancora un po’, ancora un po’, forza, un centimetro alla volta ed ecco che sono gigante.

Abbracciò la diga come una mosca sul parabrezza. Per i primi tre secondi, pensò di poter fare la differenza. Ci credette, davvero. 

Quando era in quella forma, un elefante tra le formiche, una parte di lui non poteva fare a meno di sentirsi onnipotente. Era una parte piccola, meschina e infantile, che si premurava di tenere in un angolino con la faccia al muro, ma a volte sfuggiva al suo controllo e gridava euforica. Guarda quanto siamo grandi, gridava. Potremmo fare di tutto, gridava. Chi mai potrebbe fermarci?

Poi i tre secondi di mania di onnipotenza passarono e la parte razionale prese il sopravvento. Era attaccato ad una cavolo di diga gigantesca, a tenere chissà quanti milioni di metri cubi d’acqua al loro posto. Sentiva tutti quei milioni di metri cubi d’acqua spingere sotto l’orecchio, al di là dello strato di cemento che ora sembrava sottile quanto una lastra di vetro.  Prima di poterselo impedire, tremò. Se la diga avesse ceduto… Cosa mai avrebbe potuto fare lui con i suoi quasi venti metri?

Si girò schiena al muro e l’azzurro del cielo gli ferì gli occhi. Era una bella giornata, come non se ne vedevano da un po’. Se aguzzava gli occhi, poteva vedere gli elicotteri della stampa svolazzare a debita distanza e Musutafu, oltre il parco e la campagna, uno strano animale d’acciaio che assisteva immobile e preoccupato. 

La cosa migliore che poteva fare per la diga, decise, era uno scudo. Letteralmente. 

Diede due pacche incoraggianti alla struttura. “Mi raccomando, non mollare,” le disse, premurandosi di tenere il volume della voce al minimo. Poi si gettò con una mano su una carica di esplosivi con cui un tirapiedi si stava divertendo da matti, spedendola a detonare in aria molto più a valle.

Alla sua sinistra partirono dei razzi verso una colonna portante. Slittò con la schiena e cercò di pararne più che potè. Più della metà degli spuntoni andò a conficcarsi nella sua gamba e nel suo fianco. Masticò un’imprecazione tra i denti. Non conosceva il tizio mascherato già occupato ad armare un’altra carica, ma fu più che felice di calpestarlo sotto il piede.

Qualcosa gli passò vicino all’orecchio, mancandolo per un soffio. Un buco annerito profondo mezzo metro svettava dove un attimo prima c’era la sua testa. Un altro tizio mascherato, di certo non un collega, agitava le braccia su una pedana sopraelevata e alle sue spalle un blocco di calcestruzzo rinforzato prese a fluttuare in aria. Stava caricando il prossimo colpo.

Little Giant scattò di lato, la memoria muscolare che prendeva il sopravvento di fronte a una minaccia imminente. Poi la ragione scalzò l’istinto e lo tirò lì dov’era prima. Il telecineta non lo aveva mancato la prima volta: mirava alla diga. Avrebbe di nuovo mirato alla diga. 

Il suo compito era proteggerla. 

Non fece in tempo ad alzare le mani per schermarsi. Il blocco di terra lo colpì al centro della fronte, mandandolo a sbattere con la nuca sulla parete alle sue spalle. Il cervello gli rimbalzò dentro la testa come una pallina da ping-pong e per poco non finì con il sedere a terra, troppo disorientato per badare a cose come l’equilibrio. 

Si toccò la testa cauto, chiudendo gli occhi. Sperava che dopo un bel respiro profondo avrebbe smesso di vederci doppio. Il tessuto elastico non si era lacerato, grazie al cielo, ma sentiva già formarsi un bernoccolo della grandezza di una palla da demolizione, sia davanti che dietro. 

Riaprì gli occhi quando il pensiero di un altro attacco si fece strada tra le trame del dolore. Qualcuno, fortunatamente, aveva preso le sue parti, concedendogli di riprendere fiato per un attimo. 

Kamui Woods spedì il telecineta oltre la balaustra della piattaforma sopraelevata con un calcio ben assestato. 

Il villain riuscì a rallentare la propria caduta con chissà quale trucco mentale, ma niente potè quando Kamui Woods gli piombò sulla schiena a piedi pari, fiondandosi con i suoi rampicanti. Schiena fratturata, sicuramente. 

Little Giant fissò il proprio sguardo sul piccolo cratere appena nato per ritrovare la stabilità e, probabilmente, fu solo per questo che notò il movimento delle rocce. Lo notò prima di tutti, prima persino di suo zio, il più vicino, già rivolto verso un’altra battaglia. 

Il telecineta - impolverato, dalla tuta sfilacciata e strappata, ma incredibilmente, inspiegabilmente illeso - sbucò fuori dalle macerie con le mani protese verso Kamui Woods come artigli. Little Giant aveva già aperto la sua, deciso a schiacciare quella zanzara fastidiosa prima che potesse fare altri danni. Lo mancò, o meglio, gli sfuggì tra le dita, ma almeno lo allontanò da zio Shin. 

Il telecineta si fermò sopra un’altra auto ribaltata, le spalle che si muovevano frenetiche su e giù mentre riprendeva fiato. Il costume che portava sembrava una camicia di forza, piena di cinghie e lacci ma di colore nero, attraverso cui si era fatto strada con le unghie e con i denti. Si guardò attorno. 

L’edificio principale della centrale elettrica era in fiamme, ma i vigili del fuoco erano già lì a cercare di contenere i danni e una linea schierata di supereroi spediva indietro chiunque provasse a sorpassarli. I fuochi degli scontri si stavano ormai spegnendo, lasciando feriti da ambo le parti, pochi prigionieri e molti codardi fuggiaschi. La diga ancora torreggiava su tutti loro, inamovibile. 

Il villain la guardò, poi tornò a guardare loro. Poi dietro di sé. 

Little Giant seppe cosa stava per fare. Si staccò dalla diga e la terra tremò quando vi cadde in ginocchio. Allungò ancora una volta le mani, la loro ombra immensa che si proiettava sul terreno. 

“No! Fermo!” Gridò zio Shin. 

Il telecineta pazzo si era voltato e correva verso le scale all’entrata del parcheggio sotterraneo. Una nube di polvere si sollevò improvvisamente dai suoi passi e lo avvolse come una nebbia. Little Giant vi immerse le dita e le strinse… sul nulla. La nebbia diventò subito fitta. Agitò la mano cercando di toccare qualcosa, ma della figura scura non c’era più traccia. Ringhiò e non batté il pugno a terra solo perché consapevole dei danni che avrebbe causato alla strada. Parecchia frustrazione, parecchi danni.

Zio Shin gli volò davanti. “Stai bene, piccoletto?” Poi, al suo cenno affermativo, “lascialo andare, lo rintraccerà la squadra verde. Andiamo ad aiutare al centro di comando”.

La battaglia era terminata. Dei criminali, chi non era fuggito era in catene all’entrata del parco, circondato da volanti della polizia e furgoni attrezzati per il trasporto. La centrale idroelettrica non era più in fiamme, anche se chiaramente danneggiata. Perfino a lui, che di ingegneria si intendeva quanto di cucina etnica, bastò uno sguardo per capire che non avrebbe ripreso a funzionare tanto presto. La diga, però, era ancora al suo posto, solo un po’ ammaccata.

Le rivolse un ultimo sguardo. Si sentì piccolo. Mai gli era capitato, in quella forma. Piccolo, circondato, impotente. Ritornare a misura d’uomo fu quasi un trauma. 


COWT14

Mar. 22nd, 2025 12:03 pm
 

Missione: M2

Prompt: Anomalia

Titolo: Rimedi inefficaci per sorelle depresse

Fandom: Percy Jackson

Rating: sfw

Warning: /

Note: OCs


"Diario di bordo, 30 settembre, pomeriggio. Sono passati cinque giorni dal Fattaccio e la cabina continua ad essere infestata dal Fantasma."

Sospirai. "Laila, dacci un taglio."

"Essa se ne sta principalmente nella sua camera, da dove arriva un oscuro e mortimero silenzio…" 

"Mortifero, si dice mortifero."

"... Interrotto ogni tanto da gemiti disperati, grida di rabbia o oggetti che sbattono a terra. Essa non si fa mai vedere se non accidentalmente, quando esce per i suoi bisogni primari. Il Fantasma va in bagno. Il Fantasma si nutre di barrette al cioccolato dietetiche e zuppe precotte, oltre che della sua stessa amarezza. Il Fantasma non può evitare il suo turno delle pulizie. Quando incrocia un vivo sulla sua strada, usa lo sguardo raggelante della morte per farlo sentire un miserabile e portarlo al suo livello."

"Laila!" Mi guardai intorno. Jessica non sembrava a portata d’orecchio, grazie al cielo. "Ti ho detto di smetterla."

Dafnis, appollaiato sul bracciolo del divano comune, rise fino a rotolare a terra. 

Quando Laila aprì di nuovo bocca, sicuramente per continuare quella sceneggiata, gli tirai una ciabatta. 

“Slap!” Gridò la chiappa offesa e “Ah!” Gridò la sua proprietaria.

Nel rispedirla indietro, Laila mi mancò del tutto. In compenso, centrò in pieno i pirottini di alluminio dei muffin che Veronika aveva cucinato quella mattina e portato in cabina.

"Cosa state combinando?" Gridò proprio lei, dal bagno, quando questi caddero a terra facendo un frastuono della miseria. 

"È il Fantasma!" Gridò Dafnis.

"Ehi!" Mi alzai in piedi, abbandonando il libro che stavo leggendo e raggiungendo i miei fratellini sul divano. "Tutto bene, Veronika!" Aggiunsi subito dopo, ricordandomi del macello che era appena diventato il pavimento del salotto. sarebbe stato un problema fra tre quarti d’ora, quando Veronika avrebbe finito di truccarsi.

Acchiappai Laila per la collottola e la guidai fino al portico, all’esterno. Dafnis ci seguì senza farsi pregare.  

"Statemi a sentire, voi due." 

Ancora ridacchiavano, i monelli. Dovetti pizzicarli sulle guance finché non ottenni la maggior parte della sua attenzione e un’espressione semiseria. 

"Basta prendere in giro Jessica. Non è come quando ha rotto con il suo ragazzo due mesi fa, sta davvero male questa volta."

Laila sbuffò. Ancora non credeva possibile essere così depressi solo per non essere entrati in una “scuola per grandi”, per giunta nel “mondo normale”. 

Jessica era tornata dal deposito posta cinque giorni prima con il sorriso smagliante e la lettera dell’università che tanto stava aspettando tra le mani. Essere accettata all’accademia di moda era tutto ciò che chiedeva alla vita quell’estate, ciò per cui si era rinchiusa in cabina a fare progetti su progetti invece che andare in spiaggia con le amiche. Aprire la busta per trovarvi un rifiuto, educato, motivato e ragionevole, ma pur sempre un rifiuto, l’aveva abbattuta come non ricordavo avesse mai fatto nient’altro. 

"È come se…" Cercai un paragone azzeccato per i due bambini, "è come se aveste passato tutta la settimana a preparavi per il torneo di basket e all’ultimo vi dicessero che siete troppo bassi per partecipare.”

Se provarono anche un briciolo di compassione, non lo dimostrarono.

"Povero fantasma." Disse Dafnis, grondante sarcasmo e senza smuovere il sorriso sereno dalla faccia. 

Laila aveva esaurito i pochi grammi di attenzione a disposizione di una tredicenne e si era messa a raccogliere le margherite sul portico.

Forse fu la loro spietata indifferenza a scuotermi, o forse uno slancio anomalo di empatia, a farmi decidere. "Dobbiamo tirarle su il morale. Siamo fratelli, dobbiamo almeno provarci." La situazione in cabina cominciava a essere soffocante e non era come se non ne dovessero almeno una a Jessica. "Lei lo farebbe per noi, anzi lo ha già fatto. Ricordate i compleanni a sorpresa? E lo striscione alla tua prima conquista? E le maledizioni verso gli ex." Un vero tocco di classe, quelle. "È ora di contraccambiare."

"Che cosa hai in mente?" Chiese Laila, che subodorava le occasioni di combinare guai con ore di anticipo. 

La mia mente, al momento, era vuota. "Non lo so. Mi farò venire un'idea."

§

Bussai alla porta di Jessica, con i tre muffin di Veronika sopravvissuti in mano. Nessuna risposta.

Bussai di nuovo. "Jessy?" Silenzio. "Veronika ha fatto i muffin, te ne ho portati un paio."

Aspettai ancora. Faticavo a trovare qualcosa di più terapeutico dei dolci fatti in casa per chi ha il morale a pezzi. Erano meglio della panacea: cuori infranti, delusioni sociali, fallimenti lavorativi, raffreddore… Impossibile resistere. E, infatti, dopo pochi secondi sentii l’inconfondibile ciabattare strascicato del Fantasma. 

La porta si aprì, rivelando una Jessica ai minimi storici della sua forma. 

Non aveva il trucco intorno agli occhi - non ricordavo l’ultima volta che l’avevo vista senza. Mia sorella non era frivola, ma adorava il modo in cui quelle linee nere risaltavano le sue occhiatacce penetranti. 

“Vuoi apparire adulto e scazzato?” Diceva, “metti l’eyeliner”. Le uniche linee nere che ora portava erano quelle delle occhiaie.

Avvolta nel pigiama con gli avocado nonostante fossero le due del pomeriggio, la testa incassata nelle spalle, i capelli scomposti, alzò gli occhi rossi e gonfi su di me, poi li puntò sui muffin. La vidi sprofondare in una lotta interiore, il vaffanculo che gli nacque sulle labbra mentre l’odore dei dolci le riempiva le narici. Allungai la mano verso di lei. I muffin vinsero.

Jessica non mi mandò a quel paese, chiudendomi la porta in faccia; invece prese un muffin per portarselo alla bocca e, quando accennai un passo verso la sua camera, si spostò dall’uscio per permettermi di entrare.

Il letto sfatto non aveva un’aria invitante, con le lenzuola ammucchiate, fazzoletti e fogli accartocciati dappertutto e il cuscino sotterrato di post-it. Mi sembrò di scorgere persino uno scialle di seta pendere da un lato del materasso, accanto al portatile aperto. Rimasi in piedi. 

Jessica non si fece questi problemi: si gettò sul materasso, prese il secondo muffin e abbandonò il pirottino del primo accanto a sé. Mi venne l’orticaria a vedere le relative molliche sparse su tutto il lenzuolo? Solo un pochino. 

Con un sospiro, mi dedicai a mia sorella. "Domani sera i figli di Iris vogliono progliettare “Mangia, prega, ama” sulla parete della Casa Grande, ti va di andare a vederlo?" Julia Roberts di solito era un buon incentivo.

"No."

Piluccai una goccia di cioccolato dall’ultimo muffin, dissimulando interesse. "E se mi procurassi di contrabbando dei popcorn al caramello dalla Cabina di Ermes?"

"No."

"Ok." 

Ragionai per un momento. Piegando la testa, lo sguardo mi finì su un paio di libri accuratamente sistemati su uno scaffale. 

"Hai letto qualcosa di nuovo ultimamente?" 

Jessica scrollò le spalle e mi rivolse un’occhiataccia dal suo nido pieno di briciole e seta e appunti stracciati. I muffin erano finiti e presto lo sarebbe stata anche la sua pazienza. 

Le allungai il mio dolcetto per prendere tempo. "Potremmo andare in città a comprare un nuovo libro. Mi servirebbe anche un consiglio, non so più cosa leggere."

"Leggi Il Fratello, di Jo Nesbø. Un thriller pazzesco. Sai come finisce?"

Potevo immaginare e non ci tenevo granché ad avere la conferma. Avevo capito l’antifona, e magari mi sarebbe convenuto cambiare di nuovo strada.

"Jackson ha aggiustato la rete da ping pong. Modalità estrema, campo di gioco: il lettino da sdraio del Signor D. Ti sfido!"

"Perché non ti levi dalle palle?"

Tempo scaduto. Jessica gesticolò verso la porta così veementemente che temetti le si staccassero le mani dai polsi. 

Non mi opposi e tornai nello spazio comune, recuperai gli auricolari dove li avevo lasciati e uscii dalla cabina, confidando che una passeggiata mi avrebbe fatto venire idee migliori. A costo di andare a chiedere aiuto ai sapientoni figli di Atena, avrei posto rimedio a quella faccenda.


COWT14

Mar. 22nd, 2025 11:13 am
 

Settimana: 3

Missione: M2

Prompt: Singolarità

Titolo: Ricerca sul campo

Fandom: Genshin Impact

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Picco del Drago era terrificante come promesso. Stevens non aveva problemi ad ammetterlo: non si era mai sentito tanto in soggezione in vita sua, neanche di fronte ai Cavalieri di Favonius, e l’idea di doversi inoltrare in quella montagna lo riempiva di paura al pari di un tacchino troppo farcito. Eppure l’avrebbe fatto, avrebbe scalato i sentieri innevati e impervi del picco più temuto del regno, e disceso nelle sue viscere piene di fredde spine; anche più volte se necessario. Tutto per amore della sua ricerca. Per un futuro più prospero. Per l’onore e la gloria di Mondstadt, dell’Archon e della Gilda degli Avventurieri. E per un po’ di sana notorietà e mora.

Barbatos solo sapeva se ne aveva bisogno, in particolare negli ultimi tempi. Il carrettiere che lo aveva trasportato dalla collina Primaluce fino alle pendici del Picco del Drago aveva preteso una cifra a dir poco scandalosa. Si era rifiutato, inoltre, di accompagnarlo fino all’accampamento sul Sentiero Innevato, lasciandolo a circa duemila passi – in salita – dall’insediamento. Troppo scivoloso per i cavalli e troppo stretto per il carro, aveva detto.

Come no. I materiali per tirar su l’accampamento i suoi predecessori non li avevano certo portati su a mano. Ma, per amor di quiete, Stevens aveva lasciato perdere la questione, lanciato sdegnosamente in mano al truffatore i suoi mora ed era sceso dal carro.

Gli stivali di lana di capra erano affondati fin quasi a metà polpaccio. Poco più in là, il timido e ostinato sentiero di neve compatta prometteva meno morbidezza, e anche meno stabilità. Il vento, ora libero di sferzarlo a suo piacimento, cercava di intrufolarglisi tra i vestiti in tutti i modi e, quando non ci riusciva, si accontentava di schiaffeggiarlo in faccia con tanta freddezza da fargli pizzicare gli occhi. E il Picco del Drago, dall’alto della sua incombenza, a guardarlo duro e un po’ schifato – come un guerriero enorme e piazzato, che disapprova il figlio scoordinato e paffuto che gli è toccato in sorte. O come il drago che riposa su di esso deve aver guardato ogni essere umano che abbia avuto la malaugurata sorte di finirgli tra gli artigli.

Stevens non aveva osato lanciare uno sguardo di sfida, né uno sguardo vero e proprio in effetti. Si era rimboccato la sciarpa intorno al viso e, dicendosi che indietro non si poteva tornare, si era avviato su per la montagna.

§

In realtà, il Picco del Drago non era esattamente una montagna solitaria, ma poco ci mancava. Alto com’era lui, e bassi com’erano gli altri che gli stavano intorno, sembrava un padre che veglia sulla sua prole. Pochi erano gli esploratori che negli anni si erano avventurati sulle sue pareti, tentando una scalata. Negli ultimi mesi, però, l’interesse nei suoi confronti – e il viavai - era aumentato, tanto da decidere di erigere ben due accampamenti. Tutto merito della scoperta delle grotte che portavano al cuore della montagna, sede di ricche possibilità. O possibili ricchezze, dipendeva a chi lo si chiedeva. 

L’accampamento sul Cammino Innevato era il più grande per ora, nel senso che aveva cinque baracche invece che tre, un medico e avventurieri anziani e arrivavano rifornimenti quasi settimanalmente. Lo gestiva e amministrava l’avventuriere Maurice, un uomo poco sveglio e tanto superstizioso, a detta di molti. Fu proprio lui il primo ad avvistare l’arrancare di Stevens e ad accoglierlo nell’insediamento. 

Nella sua passeggiata evitabile, Stevens era scivolato e caduto due volte. Sentiva i piedi e il sedere umidi, non sapeva se di sudore o d’acqua, e le cinghie dello zaino avevano scavato attraverso tre strati di vestiti fino ad irritargli la pelle delle spalle. Temeva di essere atterrato sulla sua attrezzatura e di aver fatto danni; stesso concetto per il polso destro, che gli mandava fitte per tutto il braccio. 

Era sicuro di aver camminato per almeno un quarto di candela. Aveva fame. Batteva i denti. Per questo dovette macchiarsi di una maleducazione che, in altri frangenti, lo avrebbe fatto oltremodo vergognare: quando il Maresciallo B gli rivolse le sue prime parole, si suppone di benvenuto, lui non solo non capì una sillaba, ma si aggrappò alla sua persona implorando con voce rauca “Aiuto”.

Che imbarazzo. 

Maurice aveva borbottato come una pentola di minestrone. E di nuovo Stevens non aveva capito una parola. L’avventuriere allora lo aveva scosso un po’ per le stesse braccia che gli aveva gettato addosso. “Come dici, giovanotto?”

Tralasciando il fatto che nessuno lo chiamava più “giovanotto” da qualche anno, e a buona ragione, forse si poteva salvare un po’ di dignità.

“B-Buongiorno signore,” spinse fuori dai polmoni tutto il fiato che riuscì a racimolare “sono il nuovo ricercatore, Stevens-”

“Oh, certo, certo! Aspettavamo il tuo arrivo, ma per la miseria, giovanotto! Non potevi prendertela comoda e arrivare l’indomani? Ho appena perso 30 mora.”

Forse il vento gli aveva temporaneamente danneggiato l’udito. “Comoda, sì… Forse avrei dovuto.” Affittare un cavallo. Finanziare la costruzione dei sentieri battuti e dei totem di fuoco fin lassù. Qualunque altra cosa.

Maurice lo invitò dentro una tenda. 

Nei dieci, estenuanti, ulteriori passi che il picco del Drago richiese per arrivare al meritato riposo, Stevens deve ammettere che si guardò ben poco intorno. Registrò l’ombra di altre tende, cataste di legno e basse costruzioni, il sale gettato a manciate sui percorsi pedonali e l’assenza giustificabile di persone in giro. Poi il calore di un braciere e l’odore speziato di montone affumicato alla radice di menta lo accolse e scacciò via tutto il male del mondo.

Lì al centro, su un rialzo circolare in pietra annerita, un fuoco scoppiettante ardeva meravigliosamente allegro e lavava via dagli occhi il candore abbacinante del paesaggio innevato. Ancora più meravigliosa la carne che ci arrostiva sopra, su una graticola stracolma. 

A separarlo dall’agognato tepore, un paio di file di panche che circondavano il braciere su tre lati, per lo più occupate. A trattenerlo dallo schizzare in avanti, la presa dell’avventuriere – che avrà avuto pure poco acume in dote, ma la vita aveva compensato con una stazza sufficiente a incutere rispetto. 

“Vi presento l’illustre Stewart. Da oggi si unisce a questo corpo di ricerca e alle prossime spedizioni fino a… beh, fino a quando sarà soddisfatto immagino.”

Una decina di figure si voltarono simultaneamente a guardarlo. Con le fiamme danzanti dietro, ne scorgeva solo le sagome e lo scintillio degli occhi scontenti. 

“Stevens. Il nome è Stevens.” 

La sua avventura sul Picco del Drago era appena cominciata.


COWT14

Mar. 21st, 2025 06:44 pm

Settimana: 3

Missione: M2

Prompt: Interferenza

Titolo: Mancanze e minacce

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: risposta/sequel di “Per un bicchier di vino”


Per Ailo Mealto Hannover IV 

di Villa Aurelia

Città di Rea Marina

Rive Occidentali


29° giorno, 7° mese, 5° anno dello Scorpione


Caro Ailo,

Ricevere un’altra tua lettera così presto mi ha sorpreso. Mi sono preoccupato per qualche secondo, ma realizzato che non eri in pericolo di vita, mi sono tranquillizzato. Tutto sommato, mi ha fatto piacere. Mi fa sempre piacere leggere le tue lettere. 

Ti ho visto tenere la corrispondenza al tuo scrittoio, nelle ore tranquille dopo i pasti, chino sulla carta. Far roteare la piuma tra le dita, mentre pensi a quali parole usare. È facile immaginarti nella stessa posizione quando scrivi a me. È un’immagine che, sì, mi fa piacere.

Mi dispiace per le imminenti nozze di tuo padre. Non credo di capire fino in fondo il tuo astio, ma sei ferito, è chiaro su carta e, per questo, mi dispiaccio. 

Ho cercato notizie della donna come hai chiesto, ma non ho saputo niente dalle mie conoscenze, né trovato nulla nelle raccolte di storia di Kasar. Continuerò a cercare. 

Ho chiesto notizie anche di Nawel l’alchimista. Uno di noi due deve prestare attenzione a che tipo di persone frequenti, soprattutto se te le porti a letto. Da quel che ho potuto leggere, sembra un tipo interessante e abbastanza affidabile. Probabilmente è vero che piacerebbe anche a me.

Mi accontenterò di saperlo al tuo fianco, che ti fa arruffare le penne e fare acquisti ridicoli per corteggiarlo. Avete la mia benedizione. 

Ti prego, però, se hai intenzione di presentarlo a tuo padre, questa volta non scaricarlo solo perché lui lo approva. L’approvazione di quell’uomo non è una buona ragione per scaricare nessuno, ne abbiamo già parlato. 

Delle mie ultime imprese, te ne ho ampiamente parlato nella lettera principale. L’ho spedita otto giorni fa e dovrebbe arrivarti a breve; al contrario di questa, che partirà con la Tenace e non sarà sulle Rive Occidentali prima della metà del mese.

Aggiungo solo una notizia, che ho saputo ieri: mia madre è di nuovo incinta. Il bambino o la bambina - io ho scommesso che sarà maschio - dovrebbe nascere in piena primavera. Entrambi sembra stiano bene.

Vorrei che fosse una femmina, questa volta. Mi piacerebbe molto avere una sorellina, dolce e più tranquilla, a cui fare le trecce tra i capelli e insegnare a nuotare. Ho scommesso contro questa possibilità così che, sia che vinca sia che perda, sarò felice.

Anche tu mi manchi, già lo sai. Mi mancherai fino al momento in cui rimetterò piede a Rea Marina, e tornerai a mancarmi una volta che sarò salpato. 

Nei miei sogni, ti trasferisci per studiare a Kasar con me. La tua voce viaggia di stanza in stanza. Viviamo sotto lo stesso tetto e non passiamo più di una giornata senza che le nostre rotte si intreccino.

È egoista chiederti di ignorare i tuoi sogni per esaudire i miei, lo so, ma te lo chiedo comunque. Come disse Saggia Celia, chiedere non costa nulla.

A presto, caro amico.

Sempre tuo,

Koa


Koa Vexekaro Rakko

Tenuta Rakko-Vara

Città di Kasar

Rive Orientali


Per Nawel Chiaraluce 

alchimista e residente temporaneo presso l’Accademia Reale

Città di Rea Marina

Rive Occidentali


29° giorno, 7° mese, 5° anno dello Scorpione


Nawel Chiaraluce,

Non c’è stato alcun errore nel recapito di questa lettera, semplicemente ancora non mi conoscete.

Mi presento: sono il primo figlio del barone Rakko di Haravarat, delle Rive Orientali. Sono un ricercatore, rappresentante della Scuola di Kasar e maggiore finanziatore nella Spedizione Vega. Potreste conoscermi anche come cacciatore e combattente, ho partecipato e vinto molti tornei nella mia terra.

Sono un persona significativa per Ailo Mealto Hannover IV.

Vi scrivo per avvertirvi che se renderete la vostra presenza anche solo poco meno che lieta per Ailo, vi rintraccerò e mi adopererò per fare della vostra vita un inferno.

Sì, potete prenderla come la minaccia che è.

Mi sono informato su di voi. So che siete nativo delle Rive Orientali, di umili origini. Conosco il vostro aspetto e l’aspetto della vostra ultima casa. So dei peccati della vostra famiglia e dei sacrifici che avete affrontato per arrivare dove siete ora. So del vostro talento come alchimista e so anche che il più potente degli stregoni sarebbe un ciarlatano da strada, senza i giusti investitori a comprare la sua arte.

Non ho la presunzione di pensare di conoscervi da delle notizie che posso leggere su dell’anonima carta, né ho la reale intenzione di farlo. Mi basta che voi conosciate me, ciò che posso fare e ciò a cui tengo.

Mi terrò aggiornato sui progressi sociali tra voi e Ailo. E passerò sicuramente per una visita nel prossimo futuro. Non vi consiglio di dimenticarvi di me.

Nella speranza di un vostro comportamento assennato, per ora vi saluto.

Con rispetto,

Erede-barone Koa Vexekaro Rakko


Koa Vexekaro Rakko

Tenuta Rakko-Vara

Città di Kasar

Rive Orientali


Per Koa Vexekaro Rakko

Tenuta Rakko-Vara

Città di Kasar

Rive Orientali


12° giorno, 8° mese, 5° anno dello Scorpione


Piacere di conoscervi.


Nawel Chiaraluce 

alchimista e residente temporaneo presso Villa Aurelia

Città di Rea Marina

Rive Occidentali


Nawel sorrise con le labbra premute sulla spalla di Ailo. La sua pelle era ancora accaldata dall’amplesso, piacevole da toccare come una morbida coperta di lana lavorata. Non avrebbe permesso che si raffreddasse, avrebbe continuato a stringerlo nel loro letto finché Ailo non si fosse stancato per primo.

Cosa che sembrava improbabile accadesse a breve, tanto sembrava preso dalla sua corrispondenza. Il suo amico, Koa, aveva scritto per lui pagine e pagine di parole e Ailo le leggeva con attenzione vorace, ritornando più volte sui paragrafi precedenti e accarezzando la carta con dita affettuose. 

Nawel aspettò pazientemente che finisse di leggere, per poi passargli della carta intonsa e una penna, ricevendo in cambio un bacio di gratitudine. 

“Ti ho mai parlato di Koa?” Chiese Ailo, cambiando posizione in modo da poter appoggiare i fogli su una gamba per scrivere.

Non l’aveva fatto. Koa, in compenso, aveva parlato per sé stesso da solo e in modo molto intenzionale.

Nawel sorrise ancora a quel pensiero. “Sì, so chi è per te. Come sta?”

Ailo si lanciò in un racconto dettagliato delle ultime avventure del suo amico, della sua ricerca e di quanto gli sarebbe piaciuto condividerle con lui. 

Parlava in un modo talmente aperto, a suo agio e pregno di affetto da intenerire. Continuava ad appoggiarsi al suo petto in un modo talmente aperto, a suo agio e pregno di affetto da riempire Nawel di affetto a sua volta, verso il suo amante e verso quell’amico lontano che già gli sembrava di conoscere, tramite Ailo.

Ailo lo amava, questo gli appariva chiaro. Ed era una parte di lui, tanto che amare uno avrebbe significato amare anche un po’ l’altro. A Nawel andava bene così.

 


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