COWT13

Mar. 30th, 2023 09:32 pm
 

Settimana: 6

Missione: M3

Prompt: 45. successione

Fandom: Originale

Rating: G

Warning: /

Note: /

 

La grotta sulla costa

Non odiai mai essere in ritardo tanto quanto quel giorno. Correvo lungo la costa frastagliata di Madreperla, gettando all’aria piedate di sabbia dietro di me, e l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era: più veloce, più in fretta, corri, corri, corri

Maledetto mio padre e le sue stupide idee su come dovesse essere educata una signorina. Maledetto il professor Parkins e il suo essere così logorroico in fatto di scienze naturali. E maledetta anche la cameriera nerboruta che l’aveva trattenuta nello studio finché la lezione non era finita; troverò un modo di metterle sterco di drago nelle scarpe lucide.

La milza minacciava di bucarmi la pancia e saltare fuori, ma ero vicina, finalmente vicina. Potevo vedere l’entrata della grotta giusta poco più avanti. La pietra si tuffava dall’altopiano soprastante in tagli affilati, solidi e brillanti nella luce del primo pomeriggio. L'apertura era frastagliata da rocce altrettanto appuntite, con feritoie verticali abbastanza grandi da far passare comodamente un uomo, ma molto più ostiche per una bestia più grossa. La caverna era a prova di predatori.

Ripresi fiato a ridosso di un masso della mia altezza. La sabbia della spiaggia scompariva man a mano che mi inoltravo nella grotta, lasciando spazio alla nuda roccia, e poi a schegge cornee. La penombra non mi permetteva di distinguerle bene, ma le riconobbi sotto le piante dei piedi: erano le scaglie perse dai grandi draghi per scivolare in quei pertugi. Punteggiavano sempre di più il pavimento man a mano che mi avvicinavo al nido e mi guidarono nella giusta direzione.

I primi ruggiti sommessi giunsero come uno scuotersi pigro della terra. Vibrava sotto, sopra, tutto intorno a me, dentro di me. Poi giunsero i lampi di luce, quelli che riuscivano a trovare una breccia nel soffitto e riflettevano sui manti squamosi dei grandi draghi, restituendo colori unici. 

Il nido, arbusti secchi e pietrisco e corpi ammassati, poggiava su una pietra incastrata trasversalmente tra altre due. Decine di draghi di ogni dimensione gravitavano intorno al centro, incapaci di star fermi. Era il centro del mondo.

Mi feci strada tra i massi, cercando i punti migliori per scalare.

Alcuni mi avevano riconosciuta, gli altri non mi badavano, come non avrebbero badato a una lucertola che si arrampica sulla roccia alla ricerca di calore. 

Scalare con gli stivaletti di mussola e il vestito estivo da tè era una tragedia. Almeno non dovetti preoccuparmi che, nel tirar troppo su le gonne, qualcuno potesse scorgere della pelle sopra le caviglie. Quando arrivai in cima, la suola delle scarpe era sparita e così metà dei merletti che avevo addosso, sull’abito c’erano troppi strappi per poterli ricucire tutti e dei guanti in pizzo rimanevano a malapena i cinturini. 

Avrei detto, dopo, di essere caduta in un burrone mentre passeggiavo e leggevo poesie. Ora, ora ero arrivata.

Passai sotto un’ala screziata d’argento, mi infilai tra un drago tozzo e pieno di bitorzoli e una pietra altrettanto bitorzoluta. Davanti ai miei occhi stava la grande madre, Titania la chiamavo io, fiera e vigile e immensa nel suo essere regina. Tra di noi, un uovo non ancora schiuso. Ero arrivata in tempo, per fortuna.

Salutai la grande madre con un inchino e un saltello. Assicuratomi che mi avesse riconosciuto, mi fiondai sull’uovo. 

Era spesso quanto un tronco d’abete e mi arrivava alla vita. Non sapevo come si chiamasse il suo colore, non c’era niente di simile a casa, ma speravo proprio di potermi portare via un pezzo di guscio per scoprirlo. 

Mi sedetti lì a fianco. Presi ad accarezzarlo con entrambe le mani, mormorai sciocche frasi di incoraggiamento. Alle mie spalle, sentivo gli altri draghi sfilare e alitarmi sui capelli con il loro fiato incandescente. 

Fui la prima, qualche minuto più tardi, ad accorgermi che il momento era arrivato. Sotto il palmo, un movimento ben distinto, preciso. Una vibrazione. La grande madre ci sormontò con la testa, un’ombra rassicurante. La prima crepa, in basso, zittì tutta la platea.

Trattenni il fiato mentre il cucciolo rompeva il guscio, prima con la testa, poi con le zampette a malapena artigliate. Gli feci spazio, senza allontanarmi troppo. Poi, siccome ci stava mettendo un’eternità, ripresi a incoraggiarlo.

Scivolò fuori ricoperto di melma biancastra - schifo - e il suo primo saluto fu un piccolo rigurgito - ancora più schifo. A parte questo, era perfetto.

“Guarda! Guarda!” 

La grande madre ruggì il suo assenso e il cucciolo si scuotè tutto, cercandola con gli occhi ciechi. 

Aveva la testa grande e già le ali, anche se erano piccine. Le zampe non sembravano molto robuste, ma avrei scommesso che lo sarebbero diventate, proprio come quelle della madre.

“Aspetta, ti aiuto io.” Lo circondai con le braccia per tirarlo un po’ su e cercai di togliergli di dosso più schifo possibile. 

Il cucciolo aprì la bocca per emettere un verso di gallina. 

“Benvenuto al mondo, piccolo! Vai dalla tua mamma, è là!” Lo indirizzai verso la parte giusta. Quando cadde, lo risollevai. Riuscì a fare solo qualche passo, che cadde di nuovo. Fortuna che sua madre era molto comprensiva.

Solo vedendolo da dietro, mi accorsi di un dettaglio inaspettato: la coda. Quella di sua madre era liscia e priva di spuntoni o creste, e così quelle di tutti i draghi del nido. Quella del cucciolo, invece terminava con due uncini. Erano solo abbozzati e coperti di qualcosa di membranoso, ma riuscivo a immaginarmeli fra qualche anno, appuntiti come dardi e grandi quanto degli arpioni.

Sarebbero stati molto utili per aggrapparsi alle rocce a strapiombo della costa. 

“E così potremo esplorare molte altre grotte, io e te.”


COWT13

Mar. 30th, 2023 09:31 pm
 

Settimana: 6

Missione: M3 

Prompt: 23. alba

Fandom: Originale

Rating: M

Warning: /

Note: /

 

Custode di tormenti

La notte è quasi terminata. Il cielo a est, sopra la sagoma frastagliata dei Monti Spezzati, sta cominciando a schiarirsi. È una chiarore flebile, che non arriva tra i vicoli stretti della città, protetti da giganti di cemento decrepiti e stanchi. Eppure c’è, e le Ombre lo percepiscono. 

Si agitano, si ritirano negli anfratti, vanno a cercare rifugio nelle fogne e sotto i palazzi. Capricciose, sibilanti. Astiose contro il giorno che nasce e le strappa al loro dominio. È il momento peggiore per uscire allo scoperto e incontrarle sulla propria strada.

“Non ti avevo detto di stare alla larga da quassù?”

Il Gatto Nero non può concedersi di abbassare la guardia neanche negli ultimi minuti, non con un principe cocciuto e spericolato che bada più all’integrità del suo regno che non a quella del suo corpo. Stupido, tormentato Fey. A che serve escogitare una buona strategia diplomatica con i nobili dell’Oltremondo, quando le Ombre di masticano le spalle e ne sputano le ossicine?

“Manca poco all’alba.”

Corona Spezzata rotola sulle tegole con indolenza, per niente preoccupato del vuoto sotto i suoi piedi e delle bestie che lo abitano. Sembra sfinito. Non nel corpo, no, e neppure nella mente. Il suo è un tarlo dell’animo.

Il Gatto Nero si avvicina per raccogliere quella pezza logora e rimetterla in piedi - ancora. “Appunto. Ancora non è l’alba. Torna dentro.”

Fey si aggrappa alle sue spalle per tirarsi su, poi alla sua nuca per tenerlo fermo mentre lo bacia. Si aggrappa alle sue labbra, infine, come se fossero l’unica cosa che gli impedisce di cadere.

È una di quelle notti, dunque. Niente corona, niente orgoglio regale, onore e stronzate simili. Solo Fey, bisognoso del calore di un corpo. 

Il Gatto Nero lo cinge a sua volta e valuta il cielo per un altro momento, prima di caricarlo in braccio. Lascia che le sue Ombre li avvolgano, cancellando il blu di prussia con una pennellata di antracite. Accoglie l’oscurità, il freddo della vastità e gli orrori dell’ignoto come un ritorno a casa, e il corpo di Fey che si stringe di più a lui con ancora maggior piacere. Quando rimette tutto in gabbia dentro di sé, sono circondati dagli ori della camera reale. 

“Odio quando lo fai.” 

Tutti lo odiano. Nessuno può comprendere. “Dovrei smettere di fare una cosa solo perché la odi?”

“Sì” 

Quell’insolito residuo di superbia muore nel momento in cui il Gatto Nero minaccia di sciogliere la stretta e allontanarsi. Fey non lo permette, intreccia le dita nei suoi capelli con appassionata disperazione e strofina il viso nel suo collo. 

“Perdonami,” sussurra sulla sua pelle “perdonami. Fa ciò che vuoi. Fammi ciò che vuoi.”

“Guardami”

Non lo fa.

“Guardami o vattene”

Solleva la testa con lentezza. Ha il respiro pesante e gli occhi smeraldini incapaci di metterlo a fuoco. Con quei ricci morbidi e le labbra ben disegnate, sembra una bambola, incantevole e morta

Il Gatto Nero lo bacia con forza, mozzandogli il respiro. Con la lingua pretende subito di entrare e, non appena Fey riesce a tenere il ritmo, lo stacca su dal terreno per portarlo fino al letto. È un letto scomodo - piume d’oca, seta lavorata, una quantità imbarazzante di cuscini - troppo soffice e fresco. Non vede l’ora di stracciarne le lenzuola e imbrattarlo di umori.

Lancia Fey sul materasso e gli sfila uno strato dopo l’altro con foga. Il giustacuore, la camicia, alla tunica perde la pazienza e strappa il tessuto insieme ai bottoni. 

Fa un rumore davvero soddisfacente. 

Tiene disteso Fey con una mano al centro del petto. Modula ogni suo respiro. Inamovibile, non si fa toccare se non in punta di dita. 

Il rossore ha già cominciato a scendere sul collo e sotto le clavicole, in ramificazioni morbide che circondano i capezzoli e si arrampicano sulle costole. 

Fey rinuncia a toccare lui e accarezza sé stesso. Si pizzica i capezzoli finchè non diventano turgidi, gioca con la leggera peluria dorata sopra lo sterno, scivola con una mano sulla curva dell’anca fino ai lacci dei pantaloni. 

Il Gatto Nero non gli permette di andare oltre. Lo volta. Gli sale sopra. Lascia un bacio vorace sulla nuca che è un’ammissione di colpa, tutto denti e fame e bagnate oscenità. Il secondo, appena più sotto, è una promessa. 

Un bacio per ogni vertebra, scende e scende e scende e si sbarazza dei pantaloni di Fey come ha fatto per la tunica. E dunque scende ancora.

Fey si tende in maniera deliziosa; geme ad ogni lappata come fosse la prima, improvvisa e bollente su un’apertura fino ad allora ignorata. Chiede quasi subito di più, perché è un principino avido e viziato. “Odio quando fai così” dice quando non lo ottiene e oh, se non c’era possibilità che il Gatto Nero lo accontentasse prima, figuriamoci adesso.

Pensa che lo farà venire così una prima volta, solo per il gusto di tormentarlo. Che si danni per i tormenti della carne, e lasci perdere quelli dell’animo, almeno per qualche ora. 

L’alba è ormai arrivata, fa capolino tra le tende e sbircia i loro piaceri. La notte è terminata, e così la sua guardia. Ora può dedicarsi solo a lui.


COWT13

Mar. 30th, 2023 09:30 pm
 

Settimana: 6

Missione: M3

Prompt: 35. battaglia

Fandom: Originale

Rating: G

Warning: /

Note: /

 

Il pacco smarrito

Capitolo 1

Sia maledetta la Spr Spedizioni e ogni suo corriere. Sia maledetto, soprattutto, il suo servizio di Assistenza Clienti, gestito evidentemente da un babbuino troppo stupido per capire le sue parole. E sì che mi sto sforzando di scandire bene parola per parola. Spero che la signora “Sono Lara, come posso aiutarla?” si senta offesa dal mio parlarle come avesse cinque anni, perché è proprio quello l'obiettivo.

- Signor Santini, qui mi risulta che il pacco sia stato consegnato un’ora fa. –

- E io le ripeto che non è arrivato nessun pacco! Ne un’ora fa, ne prima, ne dopo! Sono rimasto tutta la mattina in casa e non ho sentito suonare il campanello nemmeno una volta. –

- È sicuro di non essere proprio uscito? –

La tentazione di risponderle male è davvero tanta. Mastico un insulto tra i denti per non urlarlo direttamente nell’altoparlante del telefono.

- Sì, sono sicuro. Sicurissimo. –

Programmo bene i miei impegni e quando sono in arrivo degli ordini, faccio in modo di avere la mattinata libera o di lavorare da casa. Ci sto attento, proprio per evitare queste situazioni.

- E il citofono funziona correttamente? –

– Quando mi hanno consegnato il pranzo, un quarto d’ora fa, suonava che era una meraviglia. –

- Mi sembra molto strano, signor Santini. –

Trattengo un altro insulto. Spero che non stia insinuando che mi sto inventando tutto, o perderà l’udito da un orecchio.

- La prego di attendere qualche minuto, contatterò il corriere responsabile della sua consegna. Mi conferma ancora che il pacco non è stato lasciato fuori dalla porta? Magari non ha sentito il citofono e il corriere lo ha… -

- No! Non c’è nessun pacco fuori dalla mia porta, non c’è! Ne davanti al portone d’ingresso, ne sulle scale! Il pacco non mi è arrivato!

- …Attenda, prego. –

Un cinguettio troppo acuto, vagamente natalizio, sostituisce la voce dell’addetta all’Assistenza Clienti più inetta del mondo. Sono in momenti come questo che mi chiedo perché mai, invece di un motivo rilassante, le canzoni di attesa telefonica sembrano composte apposta per farti saltare i nervi. Allontano il cellulare dall’orecchio, per non rischiare di frantumarlo contro un muro.

Se penso a quanto mi è costata la nuova macchina per i waffles con piastre scambiabili, ora dispera chissà dove nella giungla del servizio postale… Questa è la prima e l’ultima volta che mi affido alla Spr Spedizioni. Piuttosto la prossima volta vado a ritirare il pacco a mano.

Dopo altri due minuti, l’irritante suoneria d’attesa ancora risuona dalle casse. Piuttosto che rimane lì in piedi a tamburellare con il piede sul pavimento, decido di andare a buttare nei cassoni fuori ciò che resta del mio pranzo, prima che la puzza di olio fritto passi dai cartoni all’aria della cucina. Ho già abbastanza seccature per oggi.

Fuori dall’appartamento, il pianerottolo è tristemente spoglio come quindici minuti prima, nessun pacco all’orizzonte – sorpresa, sorpresa! Mando a quel paese la voce registrata del telefono e barcollo giù per le scale. Sfioro il disastro quando, tenendo aperto lo sportello del bidone con una mano e usando l’altra per gettarci i rifiuti, il cellulare per poco non mi scivola sulla spalla e fa un tuffo nell’immondizia. La vera tragedia, però, avviene due secondi dopo, quando la chiamata si interrompe improvvisamente, senza che io abbia premuto tasti o fatto alcunché.

Porto lo schermo davanti agli occhi, a bocca aperta. Il riassunto della telefonata conclusa lampeggia in azzurrino con la violenza di uno schiaffo. Hanno riattaccato dall’altra parte.

- Ma porc…! –

Mi mordo la lingua giusto in tempo, per non scandalizzare le amabili vecchiette che prendono il caffè sui tavoli del bar qui di fianco. Hanno già smesso di parlare tra di loro per osservare il povero diavolo in piedi davanti al portone di casa, con il cellulare in mano e istinti violenti che danzano tra i capelli.

Mi giro nella loro direzione, mi sforzo di sorridere e rientro nel palazzo prima che possano allarmarsi troppo e chiamare le forze dell’ordine – mi sorprende che la polizia vada ancora in quel bar, visto quante volte gli agenti sono stati importunati da vecchine apprensive e annoiate.

Sto già cercando il numero nell’elenco delle chiamate, le dita che lasciano un alone pixelato sullo schermo tanta la forza che ci metto nel premere i tasti, quando sono costretto a fermarmi a metà rampa di scale.

C’è un pacco, sul tappetino davanti all’ingresso.

Alzo lo sguardo sul portone appena oltrepassato. Me lo ha consegnato il corriere invisibile? Mi sarò allontanato… due minuti, a dir tanto; i bidoni della spazzatura sono quasi a tiro di schioppo. 

Saltello sugli ultimi gradini e lo prendo in mano. C’è il mio nome lì sopra, quello è proprio il mio pacco. C’è persino un foglio in cui mi si informa che hanno trovato il portone aperto ma nessuno ha risposto al campanello.

La Spr Spedizioni mi sentirà, eccome se mi sentirà. Lara deve solo sperare che a rispondermi non sia di nuovo lei! Non so neanche da che parte cominciare a lamentarmi. 

Traffico prima con le chiavi e poi di nuovo con il telefono, pacco sottobraccio, mentre rientro in casa. Il divano mi accoglie fiero di me. 

Nelle orecchie mi risuona il tuh-tuh dell’inoltro chiamata, quando mi accorgo del logo stampato sul cartone del pacco. Un ellisse che si interseca con un cerchio, che si interseca con un altro ellisse. Non ricordo quale sia il marchio del produttore della piastra per gli waffles, ma sono abbastanza sicuro che la Brown non usi quello.

Ricontrollo il destinatario. È giusto. Cerco il mittente sull’etichetta. 

Chocolate&Cherry

Sede principale via Marotti 98 

XXXXXX - XXX

Mai sentito nominare.


COWT13

Mar. 30th, 2023 09:29 pm
 

Settimana: 6

Missione: M3

Prompt: 30. tradimento

Fandom: Originale

Rating: G

Warning: /

Note: /

 

Lo Spirito Audace

Emek era conosciuto nel Palazzo nel Cielo come “lo spirito che non perde mai il controllo”. Sempre preciso, sempre calmo e accorto, non c’era un imprevisto che non sapesse gestire; manovrava ogni situazione con la massima efficacia e se avevi un problema, potevi star certo che ti avrebbe indicato la soluzione. Lui stesso si vantava, con falsa modestia e orgoglio in egual misura, della sua efficienza e della fiducia che il Sommo Eros riponeva in lui. In altre parole, era più probabile che un intero stormo di cicogne andasse a schiantarsi sulle finestre del palazzo, piuttosto che vedere Emek agitato o preoccupato.

Per questo, un giorno iniziato come tutti quelli precedenti, bastò guardare lo spirito in questione correre come un forsennato verso la sala del Sommo, con il volto pallido e l’espressione atterrita, per mandare tutti nel panico. Gli altri assistenti si scambiavano occhiate sbigottite e allarmate al suo passaggio, commentavano tra loro. Alcuni provarono a richiamarlo e venivano ignorati. Altri decisero di seguirlo, cercando di capire cosa stesse succedendo.

Arrivato a destinazione, con il fiatone e il corteo al seguito, Emek spalancò impetuosamente il portone, come non si sarebbe mai permesso di fare in qualsiasi altra situazione, ed entrò.

«Esth! È stato Esth!» gridò, attirando l’attenzione di tutti i presenti.

La sala personale di Eros era di una bellezza incomparabile con le altre del Palazzo, come giustamente doveva essere. Il bianco del marmo ricopriva pareti e colonne, interrotto dai colori lucenti delle sete e dei tappeti. Piccole scrivanie formavano un anello verso l’esterno, mentre al centro stava il Pozzo delle Anime, affiancato da qualche divanetto per la comodità del Sommo. Musica soave si spandeva da ogni angolo della stanza, fino al momento in cui il fragore della porta che sbatteva non aveva fatto tacere tutto.

Pochi spiriti avevano il permesso di entrare in quella sala, al momento ce ne erano tre, bloccati comicamente nell’atto di registrare e passarsi fogli. 

Il Sommo si sollevò in piedi, e fece un passo nella direzione dei nuovi venuti.

«Mio caro Emek, cosa succede?» domandò, cercando di infondere tranquillità nel tono. In millenni di vita ne aveva affrontate tante, poco ormai riusciva a stupirlo, ma anche lui doveva ammettere che vedere quel suo fidato assisteste così agitato era destabilizzante.

Lo spirito indugiò qualche secondo per recuperare fiato e un minimo di compostezza. Resosi conto di essere il centro dell’attenzione generale, si raddrizzò un poco, lisciandosi nervosamente il completo.

«Mio signore, è una tragedia!» parlò infine, torcendosi le dita delle mani. «Quel poco di buono, è sempre colpa sua, ma questa volta… questa volta, mio signore, ha davvero fatto un disastro! Ha riscritto i registri, ha legato le anime sbagliate!»

Nel sentire le ultime parole, un coro di esclamazioni esterrefatte si alzò dalla folla di assistenti. Il viso di Eros si era rabbuiato, l’espressione pacata scivolata via come olio.

Prima che Emek potesse fornirgli più dettagli, chiese a tutti gli altri di lasciarli, trattenendo solo uno spirito che aveva accanto.

«Si gentile, va a cercare Esth e digli di raggiungerci qui.» comandò e questi scattò subito verso l’uscita, richiudendo le pesanti porte dietro di sé.

L’assistente riprese a strattonarsi impaziente i vestiti, in attesa di ottenere parola non appena il Sommo gli diede il permesso, attaccò come una macchinetta nel descrivere la grande sciagura alla quale il collega aveva dato vita.

Emek stava controllando i registri dei legami consolidati, come ogni mattina. In questi giorni c’erano state molte nascite nelle Terre Fredde, soprattutto nel villaggio di Char, e voleva assicurarsi che ogni nuova anima appena reincarnata fosse stata registrata correttamente. Mentre svolgeva il suo lavoro, bevendo una tazza di ambrosia calda per rinvigorirsi, un altro spirito aveva accidentalmente urtato la sua scrivania, nella fretta di arrivare alla sua postazione. Dopo averlo strigliato per bene, per la disattenzione e il ritardo, si era chinato a raccogliere il registro e assicurarsi che non si fosse sporcato, e in quel momento aveva visto l’errore.

La pagina in questione riportava i neonati venuti al mondo in quel villaggio diciotto anni prima, tra la prima e l’ultima notte d’inverno. Terza colonna, ventisettesima riga. Un nome, Loga, spiccava tra tutti gli altri, poiché quello di fianco al suo – l’anima che il Sommo Eros aveva decretato fosse la sua complementare – era stato barrato più e più volte, fino a risultare illeggibile.

Emek aveva sentito il pavimento mancargli da sotto i piedi e la stanza vorticare come se si trovasse in una tromba d’aria. Le pagine di quei tomi erano la memoria stessa del Sommo, la sua volontà scriveva quelle parole. Impossibile trovare scarabocchi o sbavature con comune inchiostro: quelle cancellature erano opera di uno spirito, così come il nome che era stato aggiunto sopra le righe in una calligrafia stentata.

Con l’urgenza dettata dal panico si era fiondato nella sezione Risorse Spiriti e aveva esortato – minacciato – l’assistente di turno per fargli controllare il fascicolo di quell’area geografica nell’anno in questione. Scorto il responsabile, il pavimento scomparso poco prima gli era franato in testa. Esth. Lo spirito che aveva avuto il compito di legare le anime del villaggio di Char diciotto anni prima, seguendo le indicazioni del registro, e accompagnarle sulla terra per farle nascere era quel pestifero e presuntuoso di Esth.

«Dopodiché sono immediatamente corso qui, mio signore, per mettervi al corrente.»

L’espressione di Eros si era fatta man mano sempre più preoccupata e smentiva le parole che pronunciò alla fine del racconto.

«Non è il caso di allarmarsi subito, non sappiamo ancora se Esth ha fatto davvero ciò che dici. Aspettiamo che arrivi e ascoltiamo la sua versione.»

Non fu un’attesa troppo lungo, otto minuti al massimo, percepiti quaranta nel caso di Emek.

Esth fece la sua entrata nella sala con educazione spontanea e tranquillità. Bussò alla porta, rimase defilato finché non gli fu permesso di farsi avanti. Un sorriso disteso a modellarli le labbra esprimeva la sua felicità di essere stato chiamato dal Sommo, appena un po’ di incertezza dovuta alla confusione dell’improvvisa convocazione. Sembrava genuinamente ignaro del motivo per cui si trovava lì.

«Buongiorno, mio signore.» esordì verso il signore del palazzo e il suo sorriso si fece più ampio. Ignorò completamente l’altro. «In cosa posso esservi utile?»

«Potresti sparire! Ecco cosa puoi fare, liberarci della tua presenza!» esplose subito la voce di Emek.

Il Sommo Eros lo ammonì con un’occhiata severa, che lo fece demordere dal continuare a sfogarsi. Quando spostò lo sguardo sull’altro spirito al suo servizio, ora stupito e offeso, non lo addolcì.

«Esth.» richiamò la sua attenzione. «Ho una cosa molto importante da chiederti. Rispondi sinceramente.»

Non era ne una richiesta ne un ordine. Quando il Sommo usava quel tono, quando ti guardava dentro in quel modo, quando teneva la tua essenza in mano, compiacerlo diventava un bisogno. Gli spiriti del Palazzo nel Cielo non sentivano la fame, la sete o il sonno. Provavano emozioni, da loro si facevano trascinare più spesso degli esseri umani, ma un solo istinto li dominava: il volere del loro signore.

«Hai mai ignorato le mie disposizioni scritte nei registri, scegliendo al mio posto quali anime combinare?»

La domanda rimase sospesa tra di loro per qualche secondo, poi l’espressione dell’assistente cambiò, diventando sempre più dispiaciuta.

«Sì, mio signore, l’ho fatto, ma non per fare un dispetto a voi, non mi permetterei mai. Volevo solo aiutarvi, ve lo giuro, volevo solo-»

«Come hai osato disubbidire al Sommo?! Come hai osato legare di testa tua-» si intromise Emek, oltraggiato come fosse lui il diretto interessato, venendo a sua volta interrotto da Esth, la cui voce accorata si levò più alta.

«L’ho fatto per voi, pensavo di aiutarvi, volevo dimostrarvi-»

L’altro spirito lo bloccò di nuovo «Dimostrare cosa? Di essere migliore del nostro signore? Credi di saperne più di lui tanto da correggerlo?» per poi dargli le spalle e rivolgersi solo al Sommo. «Mio signore, questa volta Esth ha superato ogni limite. Merita di essere punito e cacciato.»

«Sta zitto, tu!» urlò l’accusato, concentrandosi sull’altro spirito. Rabbia e disperazione combattevano dentro di lui, facendogli stringere i pugni e tremare la voce. L’eco del suo grido rimbombò tra le colonne e si mischiò con quelli seguenti.

«Non mi permetterei mai di correggere il Sommo! Non mi permetterai mai di pensare che abbia sbagliato, perché nessuno conosce più di lui le anime di questo mondo! Io volevo soltanto aiutarlo!»

«Sei solo un presuntuoso e un arruffone!»

«Silenzio!»

E la quiete ritornò nella stanza. Non era da Eros alzare la voce. Sempre pacato, accomodante, con movenze raffinate ed eleganti e il sorriso leggero dei saggi; si rivolgeva a tutti con dolcezza, era solito riprendere chi creava confusione con un tono troppo acceso. 

Emek guardò eloquentemente il suo parigrado, a incolparlo anche di quell’anormalità.

«Esth.» pronunciò di nuovo il Sommo «In che modo ciò che hai fatto potrebbe aiutarmi? Ti rendi conto di aver condannato ben due anime ad amare qualcuno che non potrà mai renderle davvero felici?»

Si rendeva conto di essere andato contro il suo signore, certo, lo spirito non era ingenuo, ma lo aveva fatto nell’interesse di tutti ed era determinato a spiegarsi.

Il compito del Sommo Eros era scrutare nel Pozzo delle Anime, tutto il tempo, e studiare chi vi nuotava. Di ogni anima cercava la sua gemella, la compagna ideale. “Il mondo laggiù è già abbastanza crudele, anche senza doversi sentire soli” diceva sempre e svolgeva il suo dovere con piacere. Una volta trovata, affidava la coppia ai suoi assistenti, perché stipulassero un legame duraturo e la accompagnassero sulla terra, dove si sarebbero temporaneamente divisi per rinascere in un corpo mortale, con la promessa di ritrovarsi. 

Solo Eros era in grado di scoprire due anime complementari, finché Esth non provò ad emularlo. Non perché volesse prendere il suo posto o mostrarsi superiore, su questo punto insistette particolarmente, ma perché se anche altri avessero saputo farlo, il carico di lavoro del Sommo sarebbe stato alleggerito.

Non c’era possibilità che a lui lasciassero fare una prova, poiché non c’erano precedenti di una cosa simile.

«Ci puoi scommettere che non te lo avremmo lasciato fare!»

«Senza provare a cambiare, come si può sperare in un miglioramento?»

Così Esth aveva agito di nascosto. Aveva scelto un’anima da registri e, mettendo da parte la complementare già trovata, si era messo ad analizzarne altre alla ricerca di una simile e altrettanto compatibile. Poi aveva scelto un altro nome dal registro e aveva fatto lo stesso.

«Hai… hai rovinato più di una coppia?! Tutte quelle povere anime nelle tue mani…»

«L’ho fatto solo due volte!»

Voleva dimostrare al Sommo di esserne capace; quando quelle persone avrebbero vissuto una vita felice insieme allora le avrebbe portate davanti al suo signore e a tutti gli altri spiriti. Con quel successo sotto gli occhi, nessuno avrebbe avuto niente da ridire.

Finì la sua spiegazione che ansimava dal fervore e guardava Eros risoluto.

«Ci sono riuscito, mio signore, vi assicuro che ci sono riuscito.» aggiunse, cercando di imprimere tutta la sua convinzione nella voce. «Mi dispiace di averlo fatto alle vostre spalle, ma non mi pento di aver agito.»

Questo manteneva l’espressione meditabonda che aveva tenuto durante il suo discorso e niente, nel suo volto, lasciava trapelare i suoi pensieri a riguardo.

Emek scuoteva il capo allibito, troppo incredulo della sua sfacciataggine per commentare con qualcosa di pungente ad alta voce. 

Istintivamente, tutti i presenti rivolsero lo sguardo ad Eros, in attesa del suo verdetto.  Il silenzio si dilatò fino a diventare opprimente, ma il Sommo Signore del palazzo si prese ogni momento disponibile per ponderare.

«Qualsiasi sia il risultato della tua impresa, non posso ignorare il fatto che tu abbia infranto le mie leggi. Esse debbono essere rispettate, o il caos prenderà il sopravvento in questa casa e nel mondo tutto. Verrai punito per questa tua mancanza.» La sentenza calò su Esth come un fallimento in sé, doloroso quanto umiliante. «E allo stesso modo, non posso ignorare la tua audacia nel deviare dal cammino già tracciato. Nuovi e magnifici sentieri possono essere scoperti solo in questo modo e grazie a esseri come te. E per questo verrai premiato.»

Emek fu il primo a riprendersi dallo sbalordimento e provò a protestare. Il gesto del Sommo, però, fu perentorio e definitivo. Esth era troppo commosso per esprimere la propria gratitudine.

«Ora vieni con me, Esth. Andiamo a vedere se il tuo sentiero porterà a qualcosa di buono.»


COWT13

Mar. 29th, 2023 05:45 pm
 

Settimana: 6

Missione: M6

Prompt: 400 parole

Fandom: Fullmetal Alchemist

Rating: G

Warning: /

Note: Future!AU

 

La pozza sacra

Tutti a festeggiare per quell’oasi rivoluzionaria, il miracolo dell’acqua nel deserto, risultato della comunione tra genio ingegneristico e alchemico. Volete il mio parere? Alla gente piace esagerare.

Una pozza. Non era niente più che una pozza d’acqua, neanche troppo limpida se si osservava bene. Circondata da muschi pallidi e arbusti dai tronchi sottili e le foglie carnose. La piscina nella villa dello zio Armstrong era più grande.

Il caldo era allucinante e mi sarei accontentata della pozza, davvero, per rinfrescarmi un po’, ma a quanto pareva era sacra e non ci si poteva fare il bagno. A che pro allora costruirla? Miracolo di ingegneria e quant’altro, e neanche si poteva usare. Bah.

Un ragazzino mi passò davanti, sventolando dei nastri azzurri che dovevano simulare rivoli d’acqua. Lo sapevo perché la governante, quella mattina, aveva insistito perché me ne mettessi alcuni tra i capelli, graziosamente annodati in fiocchetti. Bah. Non erano fatti di acqua vera e non mi avrebbero dato sollievo sulla testa accaldata, solo tirato fastidiosamente i capelli.

Il ragazzino ripassò davanti a me. Cominciava a darmi sui nervi. Fece svolazzare i nastri intorno a due bambine, che ridacchiarono deliziate tenendosi per mano, poi si guardò intorno fino a trovare me.

Il palco su cui mi trovavo con la mamma e la signora Shirley non era sopraelevato e chiunque poteva - e lo faceva - avvicinarsi per coinvolgerci nei festeggiamenti.

Il ragazzino fece un passo nella mia direzione, i nastri puntati come un fioretto. Aveva piedi scalzi e impolverati, trecce tra i capelli bianchi e gli occhi chiari dei meticci. 

Lo fulminai con lo sguardo prima che arrivasse a portata di “svolazzo”.

Il ragazzino fu abbastanza saggio da fermarsi.

Purtroppo per me, era comunque arrivato nel raggio d’azione di madame Shirley, che gli fece cenno di avvicinarsi con un verso estatico, non dissimile da quello delle bambine di prima.

“Chi abbiamo qui? Che bel giovanotto, vieni, vieni, eccoti un nishva.” Gli porse uno di quei campanelli miniati che nella sua tradizione si accompagnavano alle feste. 

Il ragazzino non osò rifiutare, si avvicinò e prese il nishva, attento a non sporcare con le dita impolverate i guanti in pizzo della signora. Legò il campanellino a un laccio dei pantaloni, insieme ad un altro paio.

A quel punto, madame Shirley puntò me. Insistentemente. 

Mi rifiutai di esprimermi, anche perché non le sarebbe piaciuto ciò che avevo da dire.


COWT13

Mar. 29th, 2023 12:29 pm
 

Settimana: 6

Missione: M6

Prompt: 300 parole

Fandom: Dragon Trainer

Rating: G

Warning: /

Note: Future!AU

 

Il Distruttore di Colline

Le Colline Affilate erano diventate meno affilate di un coltello da burro. Tirannus diceva di non preoccuparcene, “un problema in meno, ringrazia gli Dei e torna a casa, che tua madre ti cerca!”, ma Tirannus diceva anche che la zuppa di salmone congelato è il miglior piatto che si possa desiderare a colazione, quindi non era qualcuno a cui prestare ascolto.

Ovviamente io e Cavalcavento andammo a perlustrare la zona. Doveva esserci una ragione ben precisa per tutte quelle frane, qualcosa di ben più minaccioso di un evento naturale. C’era in ballo la sicurezza di Berk in fondo. 

Volammo sopra quei fazzoletti di terra per due giorni, senza cavare però un ragno dal buco. Cavalcavento era restio a scendere a terra; lo capivo: nessuno poteva batterlo in volo, in quanto a velocità e destrezza, ma appiedati era tutta un’altra cosa. Alla fine, riuscii a convincerlo.

Atterrammo sul pendio all’apparenza più stabile. La terra sotto i piedi era friabile e scivolosa.

“Resta qui” gli dissi, terrorizzata che ruzzolasse giù trascinando me e metà degli alberi rimasti in piedi. “Coprimi le spalle”

Scivolai dolcemente a valle, aggrappandomi ai tronchi quando potevo. C’erano delle buche nel terreno, poco più giù, che volevo esaminare. Erano grandi il doppio di Cavalcavento e sembravano molto profonde. 

Mi stesi a terra e per affacciarmi sulla prima. Profonda, sì, e chissà quanto. Più che una grotta, avrei detto una galleria. Quale vermaccio responsabile di quel macello vi si nascondeva?

Lo ammetto, esitai. Solo per un momento. La caverna era davvero buia.

Cavalcavento fece uno di quei suoi versi sibilanti, e mi sentii un po’ meglio. Recuperai dalla cintura una manciata di biglie infuocate di mio padre e lei lanciai all’interno della grotta, poi mi sollevai in piedi per seguirle.

Qualcosa mi afferrò da dietro.


COWT13

Mar. 29th, 2023 12:22 pm
 

Settimana: 6

Missione: M6

Prompt: 200 parole

Fandom: Originale

Rating: G

Warning: /

Note: mermaid

 

Il Pendaglio

“Perché non togli mai il costume?” 

Rio non poteva dire di essersi abituato alle domande fuori dal mondo di Psi, non davvero. 

“Come dici?”

Il suo ragazzo ne tirò l’orlo con le dita. “È un vestito. Mi hai detto che i vestiti si possono togliere, ma da quando ci conosciamo non ti ho mai visto senza.”

“Ecco, il fatto è che…” Come dirlo in maniera delicata? “Sulla terra, quando si sta tra la gente, è proibito farsi vedere completamente nudi.”

“Perché?”

“Non sta bene.”

“Che significa?”

Rio si chiese, non per la prima volta, se il concetto di pudore fosse conosciuto alle sirene. Se era vero che Psi non lo aveva mai visto nudo, era anche vero che Rio non aveva mai visto addosso a lui qualcosa di vagamente simile ad un vestito. 

“Per decenza. Per vergogna? È complicato. Non puoi mostrare il pendaglio in giro, le persone potrebbero fraintendere. Passeresti per un maniaco sessuale.”

Psi aggrottò la fronte insoddisfatto, come ogni volta che non capiva gli usi della superficie. Poi un altro lampo di curiosità gli si accese negli occhi. Li puntò sul costume a pop art, proprio in mezzo alle gambe.

“Pendaglio? Che pendaglio?”

E oh, sarebbe stata una conversazione interessante.


COWT13

Mar. 28th, 2023 12:53 pm
 

Settimana: 6

Missione: M6

Prompt: 100 parole

Fandom: Arcane (League of Legends)

Rating: G

Warning: /

Note: /

 

Delicate

“Le ragazze di Piltover sono carine”

È sorprendente che il commento venga da Claggor, piuttosto che da Mylo. 

“Ma che dici? Sembrano lampade da bordello!” 

Ripensandoci, un commento del genere non sarebbe affatto da Mylo, lui che apprezza così poco qualsiasi cosa provenga da là sopra. 

“Piacciono anche a me i loro vestitini.” Dice Powder, toccandosi i pantaloni stinti, e sì, i vestiti, manteniamo l’attenzione sui vestiti, piuttosto che su altro.

Claggor ha il buonsenso di rivolgermi la domanda successiva solo con gli occhi schermati. “E a te Vi? A te piacciono le piltoviane con i loro vestiti?”

“Troppo delicate.”


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