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Settimana: 6
Missione: M3
Prompt: 45. successione
Fandom: Originale
Rating: G
Warning: /
Note: /
La grotta sulla costa
Non odiai mai essere in ritardo tanto quanto quel giorno. Correvo lungo la costa frastagliata di Madreperla, gettando all’aria piedate di sabbia dietro di me, e l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era: più veloce, più in fretta, corri, corri, corri.
Maledetto mio padre e le sue stupide idee su come dovesse essere educata una signorina. Maledetto il professor Parkins e il suo essere così logorroico in fatto di scienze naturali. E maledetta anche la cameriera nerboruta che l’aveva trattenuta nello studio finché la lezione non era finita; troverò un modo di metterle sterco di drago nelle scarpe lucide.
La milza minacciava di bucarmi la pancia e saltare fuori, ma ero vicina, finalmente vicina. Potevo vedere l’entrata della grotta giusta poco più avanti. La pietra si tuffava dall’altopiano soprastante in tagli affilati, solidi e brillanti nella luce del primo pomeriggio. L'apertura era frastagliata da rocce altrettanto appuntite, con feritoie verticali abbastanza grandi da far passare comodamente un uomo, ma molto più ostiche per una bestia più grossa. La caverna era a prova di predatori.
Ripresi fiato a ridosso di un masso della mia altezza. La sabbia della spiaggia scompariva man a mano che mi inoltravo nella grotta, lasciando spazio alla nuda roccia, e poi a schegge cornee. La penombra non mi permetteva di distinguerle bene, ma le riconobbi sotto le piante dei piedi: erano le scaglie perse dai grandi draghi per scivolare in quei pertugi. Punteggiavano sempre di più il pavimento man a mano che mi avvicinavo al nido e mi guidarono nella giusta direzione.
I primi ruggiti sommessi giunsero come uno scuotersi pigro della terra. Vibrava sotto, sopra, tutto intorno a me, dentro di me. Poi giunsero i lampi di luce, quelli che riuscivano a trovare una breccia nel soffitto e riflettevano sui manti squamosi dei grandi draghi, restituendo colori unici.
Il nido, arbusti secchi e pietrisco e corpi ammassati, poggiava su una pietra incastrata trasversalmente tra altre due. Decine di draghi di ogni dimensione gravitavano intorno al centro, incapaci di star fermi. Era il centro del mondo.
Mi feci strada tra i massi, cercando i punti migliori per scalare.
Alcuni mi avevano riconosciuta, gli altri non mi badavano, come non avrebbero badato a una lucertola che si arrampica sulla roccia alla ricerca di calore.
Scalare con gli stivaletti di mussola e il vestito estivo da tè era una tragedia. Almeno non dovetti preoccuparmi che, nel tirar troppo su le gonne, qualcuno potesse scorgere della pelle sopra le caviglie. Quando arrivai in cima, la suola delle scarpe era sparita e così metà dei merletti che avevo addosso, sull’abito c’erano troppi strappi per poterli ricucire tutti e dei guanti in pizzo rimanevano a malapena i cinturini.
Avrei detto, dopo, di essere caduta in un burrone mentre passeggiavo e leggevo poesie. Ora, ora ero arrivata.
Passai sotto un’ala screziata d’argento, mi infilai tra un drago tozzo e pieno di bitorzoli e una pietra altrettanto bitorzoluta. Davanti ai miei occhi stava la grande madre, Titania la chiamavo io, fiera e vigile e immensa nel suo essere regina. Tra di noi, un uovo non ancora schiuso. Ero arrivata in tempo, per fortuna.
Salutai la grande madre con un inchino e un saltello. Assicuratomi che mi avesse riconosciuto, mi fiondai sull’uovo.
Era spesso quanto un tronco d’abete e mi arrivava alla vita. Non sapevo come si chiamasse il suo colore, non c’era niente di simile a casa, ma speravo proprio di potermi portare via un pezzo di guscio per scoprirlo.
Mi sedetti lì a fianco. Presi ad accarezzarlo con entrambe le mani, mormorai sciocche frasi di incoraggiamento. Alle mie spalle, sentivo gli altri draghi sfilare e alitarmi sui capelli con il loro fiato incandescente.
Fui la prima, qualche minuto più tardi, ad accorgermi che il momento era arrivato. Sotto il palmo, un movimento ben distinto, preciso. Una vibrazione. La grande madre ci sormontò con la testa, un’ombra rassicurante. La prima crepa, in basso, zittì tutta la platea.
Trattenni il fiato mentre il cucciolo rompeva il guscio, prima con la testa, poi con le zampette a malapena artigliate. Gli feci spazio, senza allontanarmi troppo. Poi, siccome ci stava mettendo un’eternità, ripresi a incoraggiarlo.
Scivolò fuori ricoperto di melma biancastra - schifo - e il suo primo saluto fu un piccolo rigurgito - ancora più schifo. A parte questo, era perfetto.
“Guarda! Guarda!”
La grande madre ruggì il suo assenso e il cucciolo si scuotè tutto, cercandola con gli occhi ciechi.
Aveva la testa grande e già le ali, anche se erano piccine. Le zampe non sembravano molto robuste, ma avrei scommesso che lo sarebbero diventate, proprio come quelle della madre.
“Aspetta, ti aiuto io.” Lo circondai con le braccia per tirarlo un po’ su e cercai di togliergli di dosso più schifo possibile.
Il cucciolo aprì la bocca per emettere un verso di gallina.
“Benvenuto al mondo, piccolo! Vai dalla tua mamma, è là!” Lo indirizzai verso la parte giusta. Quando cadde, lo risollevai. Riuscì a fare solo qualche passo, che cadde di nuovo. Fortuna che sua madre era molto comprensiva.
Solo vedendolo da dietro, mi accorsi di un dettaglio inaspettato: la coda. Quella di sua madre era liscia e priva di spuntoni o creste, e così quelle di tutti i draghi del nido. Quella del cucciolo, invece terminava con due uncini. Erano solo abbozzati e coperti di qualcosa di membranoso, ma riuscivo a immaginarmeli fra qualche anno, appuntiti come dardi e grandi quanto degli arpioni.
Sarebbero stati molto utili per aggrapparsi alle rocce a strapiombo della costa.
“E così potremo esplorare molte altre grotte, io e te.”