COWT14

Mar. 8th, 2025 07:57 pm
 

Settimana: 1

Missione: M1

Prompt: lettera o diario personale

Titolo: Per un bicchier di vino

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


A Koa Vexekaro Rakko

presso la Tenuta Rakko-Vara

Città di Kasar

Rive Orientali


3° giorno, 7° mese, 5° anno dello Scorpione


Mio carissimo Koa,

Ti scrivo questa seconda lettera a soli pochi giorni di distanza dall’ultima e rompendo il nostro consueto ritmo, perché gli avvenimenti degli ultimi giorni non possono aspettare un intero mese per essere raccontati. La smania di poterne parlare con te tutt’ora mi fa tremare la mano con cui scrivo - perdonami per le linee traballanti - e ho bisogno di mettere su carta le mie emozioni ora che sono così vive.

Salto i convenevoli, dunque: le prime piogge d’autunno, i mezzadri lamentosi, le lezioni di alchimia, quelle di contabilità, il mercato dei nomadi… Tutto come nell’ultima lettera. Irrilevanti.

Presta bene attenzione a ciò che ti scrivo ora.

La prima, sconvolgente notizia che ti riporto, amico mio, l’ho scoperta questa mattina molto presto, prima che il sole fosse sorto del tutto. 

Ricordi il Goccia di Sangue? È uno dei vini più difficili da ottenere in tutte le Rive, nonché uno dei miei preferiti. Quest’anno davvero pochi vigneti sono riusciti a realizzarlo e ancora meno a commerciarlo da questa parte del Mare Unico. Settimane fa, tuttavia, mio padre riuscì a comprarne un paio di casse e a farsele spedire qua a Rea Marina. Sapendo che la nave con la spedizione doveva arrivare oggi in porto, e volendo a tutti i costi assicurarmi di mettere le mani su almeno una bottiglia, mi sono intrufolato nel suo ufficio per prendere l’attestato di possesso e andare a ritirare il carico di persona.

Sì, lo so, a questo punto dovrei aver imparato la lezione. Non una singola volta che sono entrato di nascosto nell’ufficio di mio padre ne è uscito qualcosa di buono. È stato più forte di me. Volevo quel vino e non volevo chiederlo di persona a mio padre, con tutto il teatrino che ne sarebbe conseguito - il solito, l’amore per le paternali del signore non è scemato neanche un po’ con gli anni. Rubare è meno tedioso, soprattutto se mio padre non se ne accorge e attribuisce la scomparsa di un documento alla demenza senile che avanza.

Ma non posso riempire un’altra lettera con lamentele su quell’uomo, quindi - l’attestato di possesso.

So che ogni attestato di possesso sotto le cinquecento conie viene tenuto nel faldone di pelle rosso, quindi ho scandagliato l’ufficio cercandolo. Era sulla scrivania. Sotto un’altra pila di documenti, che ho dovuto rimuovere. Su cui ho dovuto posare lo sguardo, per rimuoverli. Ho letto d’istinto - te lo giuro, Koa, sul nostro progetto segreto di conquista del mondo, non l’ho fatto apposta, non ho “stuzzicato le Leggi della Realtà” né "me la sono cercata”. 

Ma ho letto e, dal momento in cui le parole hanno preso di significato nella mia testa, non ho desiderato altro che poterle grattar via con la lima del fabbro.

Sulla scrivania di mio padre c’era un contratto di condizioni matrimoniali. Sì, hai letto bene. Sì, ho letto bene anch’io - quattro volte. No, non mi sono confuso. Ho controllato il sigillo di autenticità, il sigillo di mio padre, il sigillo del tribunale e il sigillo governativo. Il nome era corretto. Mio padre pianifica di risposarsi.

Con chi, ti chiederai? Oh, mio caro Koa, non ne ho la più pallida idea. Perché dopo essermi ripreso dallo sconvolgimento e dalla ripugnanza, ovviamente ho cercato subito il nome della futura consorte. 

Donna Lidia Viasta.

Mi sono sforzato di ricordare ogni nome di Rea Marina che abbia mai sentito o letto e ti assicuro che è la prima volta che mi imbatto in questo.

Farò ricerche molto approfondite, nei prossimi giorni, e spero di venirne a capo con qualcosa di utile. Molto probabile che sia qualcuno di forestiero, magari proveniente al di fuori delle Rive Occidentali. Se hai qualche informazione, anche piccola, ti prego di rivelarmela. Tutto ciò che ho potuto dedurre dal contratto è che la donna è, apparentemente, meno abbiente di noi - male, vuol dire che mio padre non sta per sposarsi per soldi. Eppure l’alternativa sembra così assurda che non riesco neppure a scriverla.

Non so perché mio padre non mi abbia parlato di questa cosa. Bada, non sono sorpreso che non l’abbia fatto, ma neanche lui può sposarsi senza che il proprio figlio ne sia a conoscenza, prima o poi me lo dovrebbe dire. Il fatto che me lo abbia tenuto nascosto, mi fa pensare… non posso fare a meno di chiedermi se… non voglia cambiare qualcosa nelle linee di proprietà e possessi e abbia paura di affrontarmi in merito. Non posso fare a meno di sentirmi minacciato. Ferito.

Devo raccogliere informazioni. 

Se tu fossi qui, accanto a me, mi nasconderei tra le tue braccia, finché non smetterebbe di far male. Poi sfoglierei manuali e registri familiari con la tua testa in grembo, giocando con i tuoi ricci, e ti trascinerei in giro per la città per un interrogatorio dopo l’altro. Infine, ti lascerei a goderti lo spettacolo della mio vittorioso e inarrestabile confronto con mio padre e la sua infelice scelta. Festeggeremmo in spiaggia, bevendo Goccia di Sangue.

Oh, a proposito del vino, mi ha condotto a non uno, ma ben due eventi sconvolgenti in questa giornata.

Lascia che continui il racconto.

Sono fiero di dirti che, nonostante la sconvolgente notizia delle future nozze, mi sono ricordato del motivo per cui in primo luogo ero entrato nell’ufficio di mio padre. Ho preso l’attestato di possesso dal faldone dove sapevo di trovarlo e sono uscito per dirigermi al porto. 

La nave aveva appena attraccato. Il capitano mi ha riconosciuto e non ha fatto storie quando ha letto l’attestato di possesso, anzi mi ha offerto uno sgabello all’ombra del suo baldacchino mentre merci e passeggeri scendevano a terra, posizione che ho accettato volentieri. 

La passerella scricchiolava sotto il peso di tanti passi, così forte da essere udita anche sopra le grida dei gabbiani, che planavano o zampettavano nelle vicinanze alla ricerca di qualche frattaglia - o di chissà cos’altro, non ho idea di cosa pensino i gabbiani quando decidono di infestare il porto in massa. Il vociare delle persone era ovunque, la confusione tanta; il caldo e la prospettiva di una pinta rendevano tutti impazienti. 

Dal momento in cui ho riconosciuto le due casse di vino pregiato, sono successe molte cose in davvero poco tempo. 

Due muscolosi marinai trasportavano uno ciascuno le due casse, uno davanti all’altro. Il capitano ha gridato per farsi venire incontro, il marinaio dietro lo ha sentito, quello davanti cercava di guardarsi i piedi oltre la cassa. Un gabbiano è sceso in picchiata per afferrare la-dea-sola-sa-cosa davanti al primo marinaio, che ha fatto un passo indietro per non pestare l’animale e perdere l’equilibrio. È finito addosso al suo collega, che ancora guardava il capitano.

Contemporaneamente, almeno credo - i miei occhi seguivano più che altro il vino - c’è stato un qualche diverbio tra i passeggeri che stavano proprio in quel momento scendendo sulla passerella. Qualcuno non avrà dato la precedenza a un più alto rango? Qualcuno avrà spinto? Qualcuno si è fermato a guardare il panorama di Rea Marina, bloccando la fila? Chi può saperlo. La cosa importante è la baruffa che ha portato un signorotto, pesante quanto agitato, a scivolare sul legno della passerella con le sue scarpe assolutamente inadatte ad una traversata in mare. 

Ora, se questo mentecatto fosse semplicemente caduto in mare, la mia mattinata sarebbe andata avanti senza nessun intoppo. Ma no, il signore si è aggrappato a ben tre altri passeggeri per tentare di rimanere in piedi. In una perdita di equilibrio generale, un altro uomo, dall’aspetto più navigato ma comunque impreparato al proverbiale agguantamento della vecchietta che lo seguiva, è finito addosso al marinaio distratto.

Il marinaio distratto. Chiamato in una direzione dal suo capitano. Portato a retrocedere dal suo compare vittima del gabbiano. Spinto in avanti dal passeggero vittima della stupidità turistica. Su una passerella non più larga di tre braccia.

Ha perso l’equilibrio, ovviamente. Maledetto il suo istinto di sopravvivenza, che lo ha spinto, in un tentativo di riallineare il proprio baricentro, a lasciare la zavorra che lo tirava giù da una parte: la mia preziosa cassa di vino.

L’ho visto, Koa. Ho visto la cassa rovesciarsi, le bottiglie volare in mare, trecento conie di vino sprecate per i pesci del porto di Rea Marina. L’ho visto prima che accadesse e ho chiuso gli occhi di scatto per assistere all’incubo che diventa realtà.

L’urlo allarmato della folla una conferma terribile.

Solo l’esclamazione del capitano, “sia ringraziata la dea!”, mi ha fatto dubitare della situazione. 

Ho riaperto subito gli occhi, per trovarmi di fronte una folla aperta a ciambella, con al centro del buco il passeggero finito addosso al marinaio. Un alchimista, dal modo in cui le rune gli fluttuavano attorno.  

Muoveva le mani come se stesse dirigendo un’orchestra, con l’orlo dei vestiti,  tipicamente settentrionali, e le punte dei lunghi capelli ramati sollevate timidamente verso l’alto, quasi galleggiasse immerso nell’acqua. 

Non era la prima volta che assistevo a una prova d’alchimia, ma questo alchimista non emetteva parola, al contrario degli altri che ho incontrato in vita mia. Non muoveva neanche le labbra, per quanto potessi vedere dalla mia posizione defilata.

Mi sono avvicinato.

Bontà della dea, il mio vino! L’alchimista stava recuperando il mio vino dal mare, separandolo dall’acqua salmastra come fosse olio. 

“Ohhh” e “Ahhh” della folla accompagnavano i suoi movimenti, mentre i rivoli rossi fluttuavano nuovamente dentro le bottiglie integre. 

Avrei voluto baciarlo. 

L’alchimista si è voltato a guardarmi proprio in quel momento, con i suoi occhi grandi e caldi, la pelle baciata dal sole, il sorriso dolce e pieno.

Sì, lo avrei baciato molto volentieri.

Ti ricordi gli alchimisti che venivano a proporsi come precettori qua a Villa Aurelia? Quei vecchi superbi, con le barbe selvagge e gli occhi cespugliosi, il puzzo di incenso misto a zolfo e le espressioni avide? Dov’era questo alchimista, quando ancora la sua arte aveva una certa attrattiva per me? Avrei più che volentieri imparato da lui.

Sono sicuro che puoi comprendermi, quindi, quando ti dico che ho sfoggiato il mio sorriso più affascinante, ho impregnato la voce di sincera gratitudine - che non ho dovuto fingere, per una volta - e l’ho invitato a gustare quel vino a casa mia, come ringraziamento per il suo gesto.

Ho dovuto insistere un po’, ma alla fine ha ceduto.

Si chiama Nawel. Non è originario delle Rive Settentrionali, come avevo creduto, ma è stato lì per il suo ultimo viaggio. Ha viaggiato molto. Mi racconterà delle sue avventure domani davanti a quel bicchiere. Ne ha l’aria, di chi ha viaggiato molto, poliedrica e saggia e deliziosamente selvaggia. 

È qui a Rea Marina per acquistare un pezzo all’Asta di Spina fra qualche settimana, un raro cimelio di non so che civiltà perduta, ritrovato dalle nostre parti, che ho già deciso comprerò per lui. 

Credo sia anche un po' il tuo tipo. Se tu fossi qui ce lo contenderemmo, all'asta e in tutti i giorni precedenti. Faremmo a gara a chi fa i regali più costosi e stravaganti, a chi lo sorprenderebbe per primo. Sarebbe divertente.

E invece c'è un oceano tra di noi, il che vuol dire che mi terrò il bel alchimista esotico tutto per me.

Devo rubare casse di vino Goccia di Sangue più spesso, se questi ne sono gli effetti. 

Ti farò sapere nella mia prossima lettera se sarò riuscito nell’impresa di conquistarlo, e ovviamente se avrò trovato notizie della, spero non, futura matrigna.

Come sempre mi manchi, mio caro Koa, nei giorni frenetici come in quelli di calma solitudine. Mi manchi con una costanza scoraggiante. 

Scriverti è sempre un doloroso promemoria della nostra lontananza e insieme una dolce consolazione.

Conto i giorni che ci separano dal nostro ricongiungerci.

Sempre tuo, con fiducia, nostalgia ed eterno affetto,

Ailo


Ailo Mealto Hannover IV 

di Villa Aurelia

Città di Rea Marina

Rive Occidentali


COWT14

Mar. 8th, 2025 07:39 pm
 

Settimana: 1

Missione: M2

Prompt: 2. “Entrò nella stanza chiedendosi perché lo stesse facendo.”

Titolo: Il giusto prezzo

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Ailo entrò nella stanza chiedendosi perché lo stesse facendo.

Il giardino pensile di Casa Cladia era all’aria aperta solo all’apparenza. Una cinta di mura ben nascosta dai cespugli circondava tutto il terrazzo, con una cupola di vetro a placche che li rinchiudeva tutti in una bolla dall’atmosfera intima e calda. Umida anche, a detta di Ailo, che avrebbe aperto volentieri più di una finestra per far entrare la brezza marina.

La colazione era già cominciata, con gli ospiti che si aggiravano pigri sotto agli alberi d’agrumi in fiore, piluccando dai tavoli. Le tovaglie e i cuscini candidi andavano a braccetto con i petali degli aranci e dei limoni, un bianco fresco interrotto solo dal luccicare dell’argenteria e dai colori variopinti del cibo. I dolci erano davvero invitanti, ricolmi di confetture. 

Fossero stati solo lui e i servi, sarebbe stata un’ottima mattinata. Invece la compagnia dei più abbienti abitanti di Rea Marina divenne opprimente dopo appena tre passi. Il suo ingresso in scena non era passato inosservato.

Ricordandosi la promessa che suo padre gli aveva strappato, Ailo si costrinse a sorridere, a scambiare saluti e domande di cortesia, a intrattenere due minuti di conversazione con i padroni di casa prima di approfittare del loro cibo. Ormai era troppo tardi per tornare indietro. Nonostante ciò, si pentiva di aver accettato di presentarsi ogni secondo in più che passava in quel giardino.

Si riempì la bocca di tartine, con la speranza di venir ritenuto troppo occupato per parlare. Se fosse rimasto meno di un’ora sarebbe stato considerato oltremodo villano. Due ore? Affrettato, ma con un paio di accenni ad affari urgenti ben piazzati poteva cavarsela. Se doveva resistere due ore lì, però, avrebbe fatto bene a trovare un porto sicuro in cui nascondersi.

Valutò le opzioni, guardandosi intorno. 

C’erano un paio di colleghi di suo padre, con cui avrebbe potuto parlare un po’ più liberamente. Nondimeno, avrebbe dovuto parlare.

L’alchimista da poco arrivato in città sembrava intenzionato a schivare il sociale ciarlare tanto quanto lui. Avrebbero potuto fare gli isolazionisti insieme, a patto di sopportare le occhiate imbarazzate e il silenzio pregno di disagio.

Mastro Parshi era probabilmente la scelta più saggia: preso com’era a scarabocchiare schizzi a carboncino di ciò che lo circondava, sarebbe stato un’ottima copertura. Ailo avrebbe solo dovuto avvicinarglisi abbastanza e muovere la bocca ogni sei o sette minuti.

Bene, ecco il suo porto sicuro. 

Afferrò un bicchiere di succo d’arancia speziato e aggirò il tavolo verso il venerando naturalista. 

Fu intercettato, suo malgrado, a metà tragitto e da una figura che non avrebbe potuto liquidare con due stupidaggini.

“Buongiorno, Ailo,” disse la sua matrigna, prendendolo rapida sottobraccio, in una navigata mossa da predatrice sociale.

“Lidia”. Ailo provò a continuare nel suo tragitto, ma Lidia aveva puntato i piedi e costrinse entrambi a fermarsi in mezzo al giardino. 

“Sono felice che tu sia riuscito a passare, questa mattina”.

“Felice che tu sia felice”. Ailo non provò neanche a suonare sincero, ma Lidia non badò al suo tono ironico.

Con un aggraziato gesto di ventaglio, si parò gli occhi cristallini dai raggi del sole. “Che ne dici di andare all’ombra? Mi verrà mal di testa a forza di strizzare gli occhi”.

“Tu vai pure, io ti raggiungo più tardi. Prima ho promesso a Mastro Parshi di discutere di…”

“Oh, Ailo, non provarci neanche.” Un nuovo strattone lo smosse verso i parasole in un angolo. 

Per essere una striminzita bambolina, alta non più di una botte e mezza, quella ragazza aveva una forza in corpo impressionante. 

“Ho bisogno di un interlocutore che mi tenga impegnata per un po’”.

Suo malgrado, Ailo se ne stupì, preso alla sprovvista abbastanza da farsi sfuggire altri due passi nella direzione voluta da Lidia. Non era da lei schivare le attenzioni. Anzi, solitamente era una perfetta ospite, attenta e affabile, la perfetta compagna da portare sottobraccio agli eventi mondani - uno dei tanti motivi per cui suo padre l'aveva scelta.

“Eviti la conversazione? Dove sono finite le tue buone maniere?” La canzonò, cercando di nascondere la sincera curiosità.

Lidia sventolò di nuovo il ventaglio, a minimizzare la faccenda. Era un linguaggio che le veniva naturale. Faceva venire voglia ad Ailo di strapparle quella bacchetta di mano e usarla per mescolare il sidro.

“L’etichetta dovrà piegarsi alla praticità, in questo caso. Sage Rialto deve credere che mio marito mi racconti tutto delle sue gaffe in tribunale, quindi sii gentile: lancia un’occhiata alle tue spalle e ridi come se ti avessi appena raccontato la più ridicola delle sentenze emesse”.

Ailo la guardò in faccia. Ogni linea impeccabile del suo viso era affilata dalla serietà. Gettò un'occhiata alle sue spalle.

C'era Sage Rialto, effettivamente, dietro di loro; mangiucchiava una crostatina e fingeva di essere sovrappensiero - come se un pensiero più pesante del "sarà saggio farmi una cliente?" gli avesse mai attraversato la testa. Appena si accorse che Ailo lo aveva notato, girò su sé così velocemente da far svolazzare la blusa.

Ailo non gli dedicò altro tempo, tornando piuttosto sulla sua matrigna. “A che ti serve tenere un giudice per le palle in questo modo? Da che ricordo, Rialto è già sul libro paga di mio padre.”

Lidia fece un piccolo sorriso, poi li trascinò entrambi giù su un divanetto.

Ailo non si era veramente accorto che erano giunti all'ombra dei parasole.

Richiamando un domestico con il ventaglio - quel maledetto ventaglio - Lidia si fece servire della frutta fresca con panna e un thè speziato, ne sorseggiò qualche goccia e si godette l'attenzione per qualche secondo ancora. Appena Ailo accennò ad alzarsi, finalmente rispose.

"Voglio che sia anche sul mio, di libro paga. O meglio, sarà lui a pagarmi in favori, se non vuole che i pezzi della sua reputazione finiscano in ogni salotto della città, nelle mani esperte delle signore annoiate di Rea Marina”.

Le chiacchiere e le donne. C'era forse a questo mondo un'altra accoppiata apparentemente così innocua, in grado di distruggere un uomo con così poco sforzo? 

“Sai," disse Ailo, fregando una fragola dalla ciotola più vicina, "in momenti come questo quasi ti stimo. Poi ricordo che hai sposato un uomo con il doppio della tua età, che ti tratta come una vacca da fiera, per sicurezza economica e posizione sociale.”

Il piccolo naso di Lidia si arricciò in un'espressione davvero poco signorile. Arrivò persino a lanciargli un'occhiataccia. “Solo chi non ha mai conosciuto altro, parla della sicurezza economica con tanto disprezzo.”

Una risata sincera risalì il petto di Ailo, che non fece nulla per trattenerla. “Sei la figlia del proprietario di una modesta gioielleria, mia cara, non una lavandaia che dorme nella cesta dei panni. Io non avrò mai conosciuto la fame, ma non fingere che tu l’abbia fatto.”

Ecco la vera differenza tra loro due, si disse. Lui non fingeva di essere migliore di ciò che era. Ne si sarebbe mai svenduto per meno di quel che valeva. 

“Non mi scuserò per aver cercato di ottenere di più di quello che la vita mi offriva,” disse Lidia. 

Come se il vero problema fosse l'obbiettivo e non la maniera di raggiungerlo.

Ailo si mise la fragola in bocca. “Nessuno te lo chiede," disse, per poi gettare un'altra occhiata alle sue spalle.

Sage Rialto zampettava sul posto come se avesse un prurito in parti scomode e non potesse grattarsi in pubblico..

"Ecco, il tuo pollo è cotto a puntino." Si alzò in piedi. "Sono sicuro che ti darà ciò che vuoi."

Lidia provò a fermarlo con una mano, a parlare, ma Ailo fu più veloce di lei e "accidentalmente" le colpì il ventaglio con una mano, facendolo finire tra i suoi piedi. Il tempo che lei impiegò a chinarsi a raccoglierlo e lui era già sgattaiolato via. 

Girò intorno ai tavoli un paio di volte, senza mai fermarsi. Se continuava a camminare poteva dare l'impressione di starsi dirigendo da qualche parte e che non poteva fermarsi a parlare. Due giri di tavoli per pensare al fatto che interagire con la sua matrigna non faceva parte del patto con suo padre. Che, nel gergo del vecchio, questo era violazione di contratto e invalidava tutta la trattativa. Che non era più tenuto a star lì un'altra ora.

Si fermò di colpo, convinto e più rilassato di quanto non fosse stato in tutta la mattina. Prese un ultimo bicchiere di succo e un biscotto alle mandorle. Infine, puntò la porta da cui era entrato.

"Oh, Ailo Hannover! C'è giusto una persona che-"

"Sono spiacente, signora Varizia," stoppò la donna che si frappose tra lui e l'uscita, "non posso fermarmi a parlare. Mio padre mi attende. Vi spiegherà lui in un'occasione futura, ne sono certo."

Superò la matrona e le tre fanciulle al seguito. "Vi auguro una buona giornata!"

Con tre passi baldanzosi su per gli scalini del portico, si lasciò la bolla di cristallo alle spalle.


COWT14

Mar. 3rd, 2025 11:01 pm
 

Settimana: 1

Missione: M2

Prompt: 1.“Sapeva già che sarebbe stato un disastro”

Titolo: Insonni

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Jamie sapeva già che sarebbe stato un disastro. Il suo primo test al college, un completo fallimento. Per forza. Non riusciva a farsi venire in mente un singolo teorema, non importava quanto si sforzasse. Formule ed enunciati vorticavano in una matassa sfocata dietro i suoi occhi chiusi, ma se solo provava a districarne un filo, ecco che la matassa svaniva come fumo, inafferrabile.

Era lì. Da qualche parte nella sua testa, c’era, ne era sicuro. Aveva studiato. Ed era altrettanto sicuro che sarebbe stato un disastro.

Si rigirò sotto le coperte, cercando conforto. Anche quello gli sfuggiva.

Avrebbe fallito il test. Avrebbe fallito anche tutti i successivi, perché se non passava il primo livello, com’era possibile che superasse quelli più difficili? Sarebbe rimasto indietro, troppo. Avrebbe dovuto lasciare il college. Lo avrebbero cacciato prima della fine dell’anno. 

Sarebbe… oh, dio, sarebbe dovuto tornare da sua madre.

Lanciò le coperte da una parte, saltando fuori dal letto. Non ce la faceva più a stare lì immobile. Non sarebbe riuscito a dormire in ogni caso, tanto valeva fare qualcosa di produttivo, studiare ancora magari.

Appena ci pensò, un principio di nausea gli pizzicò la gola. Lo cacciò via insieme alla prospettiva di aprire i libri per l’ennesima volta. Ogni tutor con cui avesse mai parlato sosteneva che, arrivati alla notte prima dell’esame, qualche ora in più o in meno non faceva differenza. In altre parole, ciò che non era già nella sua memoria, non ci sarebbe entrato quella notte. 

E, visto lo stato della sua memoria, se non era una condanna quella.

Sarebbe stato un disastro.

Guardò l’ora sul cellulare: l’una e due minuti. Non riusciva a dormire. Non voleva starsene fermo a letto a pescare senza successo nozioni matematiche dal suo laghetto mentale. Di studiare ancora non se ne parlava proprio. 

Magari poteva provare a distrarsi, in qualche modo. Togliere il tappo, svuotare la mente. Non si sarebbe riposato, ma con un pizzico di fortuna - e di Maalox - avrebbe evitato la gastrite.

Raccattò dalla sedia dei panni usati-ma-non-ancora-puzzolenti una t-shirt e un paio di pantaloncini della tuta, infilandoseli. Chiavi e cellulare in tasca, ciabatte ai piedi, si chiuse la porta della camera alle spalle. 

Il corridoio ovest del terzo piano del Dormitorio A era buio e silenzioso come solo in piena notte poteva essere. Jamie si lasciò guidare dalle lucine intermittenti dei sistemi d’allarme fino alla cucina in comune del piano.

Se vedere il corridoio vuoto era un evento, la cucina senza nessuno studente affamato ad infestarla era un’aurora boreale ai caraibi. La stanza sembrava molto più grande persino, con tutto quello spazio inutilizzato. 

Nonostante visualizzare un teorema sembrasse un’azione impossibile al momento, la ricetta dei muffin al cacao di sua nonna gli apparve in testa con una facilità fuori luogo. I muffin sembravano adeguati: una ricetta ne troppo impegnativa ne troppo poco, condivisibili e associati a ricordi felici. 

Controllò il suo scomparto in frigo, poi il suo cassetto in dispensa, per vedere se aveva tutti gli ingredienti. Di pirottini in alluminio ce n’erano ancora molti. Il cacao lo aveva finito il mese scorso e mai più ricomprato, ma una confezione di gocce di cioccolato lo guardava dallo scaffale chiedendo di essere usata. Non mancava niente.

Si mise all’opera. I pensieri nella testa assunsero d’improvviso una silhouette meravigliosamente nitida e semplice. 

Pesa farina e zucchero, fai sciogliere il burro, rompi le uova. 

Pensieri leggeri, che lo aiutavano a sciogliere le spalle e respirare profondamente l’odore di impasto. Pensieri che non si prendevano tutto lo spazio di prepotenza.

Se avesse divagato, avrebbe finito per rovesciare qualcosa; e quindi mescola, grattugia il limone, aggiungi il lievito. Fai piovere gocce di cioccolato come se i monsoni fossero un’invenzione di Willy Wonka e rendi fiera tua nonna.

Anche una volta infornate le sue creazioni, Jamie si tenne impegnato con pulizie. Fece qualche foto attraverso lo sportello del forno, da inviare a sua nonna. Setacciò ogni angolo della cucina alla ricerca di una teglia dove poter mettere i muffin, per portarli in camera - non li avrebbe lasciati lì di certo, i lupi li avrebbero fatti sparire nell’arco di una giornata. 

Mancavano dieci minuti per terminare la cottura e Jamie aveva appena cominciato una lista mentale della prossima spesa, quando una voce sconosciuta lo fece quasi schizzare fuori dalla propria pelle.

“Che odore!”

Ripreso respiro, si voltò verso l’ingresso. 

Sull’uscio della porta, naso all’aria e occhi socchiusi, stava un ragazzo vestito da festa. Festa al chiuso, o in discoteca, dove si supponeva che la vicinanza con altre persone e la temperatura non permettessero più di mezzo strato di tessuto addosso. Nello specifico caso, una camicia per lo più sbottonata e dei jeans strappati.

Jamie guardò l’ora sul timer del forno. L’una e tre quarti. O il tizio era reduce da un pre-serata particolarmente lungo, o la sessione invernale aveva messo della strizza a tutti per far finire una festa così presto.

“Cosa stai cucinando?” Il ragazzo si avvicinò al forno, chinandosi per sbirciare dentro.

La luce calda del forno gli tinse i capelli di una sfumatura più ramata che bionda. Un punto luce ad un orecchio catturò l’attenzione di Jamie al pari dei sistemi d’allarme in corridoio. Si accorse di quando il suo sguardo si spostò dai muffin al timer.

“Fratello, sono le due di notte. Non potevi aspettare domani?”

Domani sarebbe stato un disastro.

Jamie scosse la testa. “Credimi, se potessi addormentarmi a comando, subito, lo farei”.

Il ragazzo mugugnò un suono di comprensione al forno. “Problemi a dormire?”

Jamie non voleva essere scortese, ma festa-mancata sembrava continuare a bussare a quella porta che si sforzava di tenere chiusa da quasi mezz’ora. Non l’avrebbe aperta per permettere ad uno sconosciuto di sbirciarci dentro.

Tenne la bocca chiusa. 

Il timer suonò.

Scacciò il ragazzo da davanti il forno, così da poter tirare fuori i muffin. Avevano un aspetto delizioso, gonfi e dorati al punto giusto. L’odore era anche meglio.

Per i minuti successivi si adoperò nel metterli a raffreddare sulla teglia uno a uno, togliendoli dai pirottini. Soddisfatto, alzò lo sguardo con la speranza - flebile, ne era consapevole - di essere rimasto solo in cucina.

Non fu sorpreso di trovarsi ancora in compagnia.

La cosa affascinante era che lo sconosciuto non pareva affatto a disagio dalla situazione. No, lui se ne stava soddisfatto nella sua muta ammirazione dei muffin, ignorando Jamie, l’imbarazzo o le convenzioni. Era abbastanza ridicolo, ma in un modo che faceva tenerezza.

Jamie indicò uno dei pochi dolcetti venuti su storti. “Vuoi un muffin?”

Ed ecco, finalmente, era riuscito ad attirare la sua attenzione. 

Gli occhi del ragazzo si fissarono in quelli di Jamie e un sorriso a labbra strette gli aprì il viso. Fece spallucce. “Sembrano davvero buoni,” si giustificò.

Jamie gli porse il muffin. Prima che potesse dirgli di aspettare che si raffreddasse, il ragazzo ne aveva già staccato un morso. 

Mugolò, e poteva essere un gemito di dolore per una lingua irrimediabilmente ustionata, o un apprezzamento sonoro davvero sentito. 

Entrambi, decise Jamie, e sentì le proprie labbra sollevarsi in un sorriso. Poi, dato che in fondo la curiosità lo pungolava, “rientri o stai andando?” Chiese.

“Rientro. E sappi che questo,” il ragazzo agitò il muffin ancora fumante, “è la salvezza della mia serata”. Prese un altro; poi, con la voce pregna di disappunto, “il Glitch è caduto veramente in basso”.

“Oh?” Jamie non aveva idea di che locale fosse, ma tra il rumore bianco delle lamentele e il muffin che a sua volta aveva cominciato a sbocconcellare, sentiva di essere abbastanza intrattenuto.

“Ormai fanno drink così annacquati che devi impegnarti per sentire l’alcool. E c’è comunque chi riesce a vomitare sulle scale.” Faccia schifata. “Il nuovo dj non ha idea di quello che sta facendo, basta che una tipa vada a sculettargli davanti e accetta richieste, tipo al karaoke!” Faccia schifata. “Ne posso prendere un altro?” Faccia sognante.

Jamie annuì e stavolta selezionò per lui un muffin esteticamente perfetto. Era quasi un peccato morderlo - almeno per lui, l’altro ragazzo non si fece problemi.

Dopo un paio di morsi, riprese il monologo, ma cambiando completamente argomento. A quanto pare mangiare lo rendeva loquace.

“Il mio coinquilino, per rilassarsi prima di un esame, si allena per ore con la colonna sonora di Rocky a tutto volume, mentre tu fai il pasticcere: la mia solita sfiga. Se vuoi fare un cambio di camera, fammi sapere.”

Jamie si irrigidì un po’ al sentire la parola proibita. Non aveva ancora voglia di parlarne. Il trattamento del silenzio, però, sembrava crudele a questo punto.

“Mi aiuta con l’ansia” disse e posò il proprio muffin. Aveva di nuovo lo stomaco chiuso. “Per un po’, almeno.”

Il ragazzo era al suo ultimo morso. Si pulì le briciole dalla bocca con una mano, per poi allungarla nella sua direzione. “Mi chiamo Trevor”.

Quindi non più uno sconosciuto che rimarrà uno sconosciuto, incontrato in modo bizzarro in una notte agitata; ma Trevor, uno degli inquilini del dormitorio, critico di feste e ghiotto dei suoi muffin.

Allungò a sua volta la mano per stringergliela. “Jamie”.


Profile

nemi23

April 2025

S M T W T F S
  1234 5
6 78910 11 12
1314151617 18 19
20212223242526
27282930   

Syndicate

RSS Atom

Most Popular Tags

Page Summary

Style Credit

Expand Cut Tags

No cut tags
Page generated May. 13th, 2025 07:00 am
Powered by Dreamwidth Studios