Settimana: 1
Missione: M1
Prompt: lettera o diario personale
Titolo: Per un bicchier di vino
Fandom: Originale
Rating: sfw
Warning: /
Note: /
A Koa Vexekaro Rakko
presso la Tenuta Rakko-Vara
Città di Kasar
Rive Orientali
3° giorno, 7° mese, 5° anno dello Scorpione
Mio carissimo Koa,
Ti scrivo questa seconda lettera a soli pochi giorni di distanza dall’ultima e rompendo il nostro consueto ritmo, perché gli avvenimenti degli ultimi giorni non possono aspettare un intero mese per essere raccontati. La smania di poterne parlare con te tutt’ora mi fa tremare la mano con cui scrivo - perdonami per le linee traballanti - e ho bisogno di mettere su carta le mie emozioni ora che sono così vive.
Salto i convenevoli, dunque: le prime piogge d’autunno, i mezzadri lamentosi, le lezioni di alchimia, quelle di contabilità, il mercato dei nomadi… Tutto come nell’ultima lettera. Irrilevanti.
Presta bene attenzione a ciò che ti scrivo ora.
La prima, sconvolgente notizia che ti riporto, amico mio, l’ho scoperta questa mattina molto presto, prima che il sole fosse sorto del tutto.
Ricordi il Goccia di Sangue? È uno dei vini più difficili da ottenere in tutte le Rive, nonché uno dei miei preferiti. Quest’anno davvero pochi vigneti sono riusciti a realizzarlo e ancora meno a commerciarlo da questa parte del Mare Unico. Settimane fa, tuttavia, mio padre riuscì a comprarne un paio di casse e a farsele spedire qua a Rea Marina. Sapendo che la nave con la spedizione doveva arrivare oggi in porto, e volendo a tutti i costi assicurarmi di mettere le mani su almeno una bottiglia, mi sono intrufolato nel suo ufficio per prendere l’attestato di possesso e andare a ritirare il carico di persona.
Sì, lo so, a questo punto dovrei aver imparato la lezione. Non una singola volta che sono entrato di nascosto nell’ufficio di mio padre ne è uscito qualcosa di buono. È stato più forte di me. Volevo quel vino e non volevo chiederlo di persona a mio padre, con tutto il teatrino che ne sarebbe conseguito - il solito, l’amore per le paternali del signore non è scemato neanche un po’ con gli anni. Rubare è meno tedioso, soprattutto se mio padre non se ne accorge e attribuisce la scomparsa di un documento alla demenza senile che avanza.
Ma non posso riempire un’altra lettera con lamentele su quell’uomo, quindi - l’attestato di possesso.
So che ogni attestato di possesso sotto le cinquecento conie viene tenuto nel faldone di pelle rosso, quindi ho scandagliato l’ufficio cercandolo. Era sulla scrivania. Sotto un’altra pila di documenti, che ho dovuto rimuovere. Su cui ho dovuto posare lo sguardo, per rimuoverli. Ho letto d’istinto - te lo giuro, Koa, sul nostro progetto segreto di conquista del mondo, non l’ho fatto apposta, non ho “stuzzicato le Leggi della Realtà” né "me la sono cercata”.
Ma ho letto e, dal momento in cui le parole hanno preso di significato nella mia testa, non ho desiderato altro che poterle grattar via con la lima del fabbro.
Sulla scrivania di mio padre c’era un contratto di condizioni matrimoniali. Sì, hai letto bene. Sì, ho letto bene anch’io - quattro volte. No, non mi sono confuso. Ho controllato il sigillo di autenticità, il sigillo di mio padre, il sigillo del tribunale e il sigillo governativo. Il nome era corretto. Mio padre pianifica di risposarsi.
Con chi, ti chiederai? Oh, mio caro Koa, non ne ho la più pallida idea. Perché dopo essermi ripreso dallo sconvolgimento e dalla ripugnanza, ovviamente ho cercato subito il nome della futura consorte.
Donna Lidia Viasta.
Mi sono sforzato di ricordare ogni nome di Rea Marina che abbia mai sentito o letto e ti assicuro che è la prima volta che mi imbatto in questo.
Farò ricerche molto approfondite, nei prossimi giorni, e spero di venirne a capo con qualcosa di utile. Molto probabile che sia qualcuno di forestiero, magari proveniente al di fuori delle Rive Occidentali. Se hai qualche informazione, anche piccola, ti prego di rivelarmela. Tutto ciò che ho potuto dedurre dal contratto è che la donna è, apparentemente, meno abbiente di noi - male, vuol dire che mio padre non sta per sposarsi per soldi. Eppure l’alternativa sembra così assurda che non riesco neppure a scriverla.
Non so perché mio padre non mi abbia parlato di questa cosa. Bada, non sono sorpreso che non l’abbia fatto, ma neanche lui può sposarsi senza che il proprio figlio ne sia a conoscenza, prima o poi me lo dovrebbe dire. Il fatto che me lo abbia tenuto nascosto, mi fa pensare… non posso fare a meno di chiedermi se… non voglia cambiare qualcosa nelle linee di proprietà e possessi e abbia paura di affrontarmi in merito. Non posso fare a meno di sentirmi minacciato. Ferito.
Devo raccogliere informazioni.
Se tu fossi qui, accanto a me, mi nasconderei tra le tue braccia, finché non smetterebbe di far male. Poi sfoglierei manuali e registri familiari con la tua testa in grembo, giocando con i tuoi ricci, e ti trascinerei in giro per la città per un interrogatorio dopo l’altro. Infine, ti lascerei a goderti lo spettacolo della mio vittorioso e inarrestabile confronto con mio padre e la sua infelice scelta. Festeggeremmo in spiaggia, bevendo Goccia di Sangue.
Oh, a proposito del vino, mi ha condotto a non uno, ma ben due eventi sconvolgenti in questa giornata.
Lascia che continui il racconto.
Sono fiero di dirti che, nonostante la sconvolgente notizia delle future nozze, mi sono ricordato del motivo per cui in primo luogo ero entrato nell’ufficio di mio padre. Ho preso l’attestato di possesso dal faldone dove sapevo di trovarlo e sono uscito per dirigermi al porto.
La nave aveva appena attraccato. Il capitano mi ha riconosciuto e non ha fatto storie quando ha letto l’attestato di possesso, anzi mi ha offerto uno sgabello all’ombra del suo baldacchino mentre merci e passeggeri scendevano a terra, posizione che ho accettato volentieri.
La passerella scricchiolava sotto il peso di tanti passi, così forte da essere udita anche sopra le grida dei gabbiani, che planavano o zampettavano nelle vicinanze alla ricerca di qualche frattaglia - o di chissà cos’altro, non ho idea di cosa pensino i gabbiani quando decidono di infestare il porto in massa. Il vociare delle persone era ovunque, la confusione tanta; il caldo e la prospettiva di una pinta rendevano tutti impazienti.
Dal momento in cui ho riconosciuto le due casse di vino pregiato, sono successe molte cose in davvero poco tempo.
Due muscolosi marinai trasportavano uno ciascuno le due casse, uno davanti all’altro. Il capitano ha gridato per farsi venire incontro, il marinaio dietro lo ha sentito, quello davanti cercava di guardarsi i piedi oltre la cassa. Un gabbiano è sceso in picchiata per afferrare la-dea-sola-sa-cosa davanti al primo marinaio, che ha fatto un passo indietro per non pestare l’animale e perdere l’equilibrio. È finito addosso al suo collega, che ancora guardava il capitano.
Contemporaneamente, almeno credo - i miei occhi seguivano più che altro il vino - c’è stato un qualche diverbio tra i passeggeri che stavano proprio in quel momento scendendo sulla passerella. Qualcuno non avrà dato la precedenza a un più alto rango? Qualcuno avrà spinto? Qualcuno si è fermato a guardare il panorama di Rea Marina, bloccando la fila? Chi può saperlo. La cosa importante è la baruffa che ha portato un signorotto, pesante quanto agitato, a scivolare sul legno della passerella con le sue scarpe assolutamente inadatte ad una traversata in mare.
Ora, se questo mentecatto fosse semplicemente caduto in mare, la mia mattinata sarebbe andata avanti senza nessun intoppo. Ma no, il signore si è aggrappato a ben tre altri passeggeri per tentare di rimanere in piedi. In una perdita di equilibrio generale, un altro uomo, dall’aspetto più navigato ma comunque impreparato al proverbiale agguantamento della vecchietta che lo seguiva, è finito addosso al marinaio distratto.
Il marinaio distratto. Chiamato in una direzione dal suo capitano. Portato a retrocedere dal suo compare vittima del gabbiano. Spinto in avanti dal passeggero vittima della stupidità turistica. Su una passerella non più larga di tre braccia.
Ha perso l’equilibrio, ovviamente. Maledetto il suo istinto di sopravvivenza, che lo ha spinto, in un tentativo di riallineare il proprio baricentro, a lasciare la zavorra che lo tirava giù da una parte: la mia preziosa cassa di vino.
L’ho visto, Koa. Ho visto la cassa rovesciarsi, le bottiglie volare in mare, trecento conie di vino sprecate per i pesci del porto di Rea Marina. L’ho visto prima che accadesse e ho chiuso gli occhi di scatto per assistere all’incubo che diventa realtà.
L’urlo allarmato della folla una conferma terribile.
Solo l’esclamazione del capitano, “sia ringraziata la dea!”, mi ha fatto dubitare della situazione.
Ho riaperto subito gli occhi, per trovarmi di fronte una folla aperta a ciambella, con al centro del buco il passeggero finito addosso al marinaio. Un alchimista, dal modo in cui le rune gli fluttuavano attorno.
Muoveva le mani come se stesse dirigendo un’orchestra, con l’orlo dei vestiti, tipicamente settentrionali, e le punte dei lunghi capelli ramati sollevate timidamente verso l’alto, quasi galleggiasse immerso nell’acqua.
Non era la prima volta che assistevo a una prova d’alchimia, ma questo alchimista non emetteva parola, al contrario degli altri che ho incontrato in vita mia. Non muoveva neanche le labbra, per quanto potessi vedere dalla mia posizione defilata.
Mi sono avvicinato.
Bontà della dea, il mio vino! L’alchimista stava recuperando il mio vino dal mare, separandolo dall’acqua salmastra come fosse olio.
“Ohhh” e “Ahhh” della folla accompagnavano i suoi movimenti, mentre i rivoli rossi fluttuavano nuovamente dentro le bottiglie integre.
Avrei voluto baciarlo.
L’alchimista si è voltato a guardarmi proprio in quel momento, con i suoi occhi grandi e caldi, la pelle baciata dal sole, il sorriso dolce e pieno.
Sì, lo avrei baciato molto volentieri.
Ti ricordi gli alchimisti che venivano a proporsi come precettori qua a Villa Aurelia? Quei vecchi superbi, con le barbe selvagge e gli occhi cespugliosi, il puzzo di incenso misto a zolfo e le espressioni avide? Dov’era questo alchimista, quando ancora la sua arte aveva una certa attrattiva per me? Avrei più che volentieri imparato da lui.
Sono sicuro che puoi comprendermi, quindi, quando ti dico che ho sfoggiato il mio sorriso più affascinante, ho impregnato la voce di sincera gratitudine - che non ho dovuto fingere, per una volta - e l’ho invitato a gustare quel vino a casa mia, come ringraziamento per il suo gesto.
Ho dovuto insistere un po’, ma alla fine ha ceduto.
Si chiama Nawel. Non è originario delle Rive Settentrionali, come avevo creduto, ma è stato lì per il suo ultimo viaggio. Ha viaggiato molto. Mi racconterà delle sue avventure domani davanti a quel bicchiere. Ne ha l’aria, di chi ha viaggiato molto, poliedrica e saggia e deliziosamente selvaggia.
È qui a Rea Marina per acquistare un pezzo all’Asta di Spina fra qualche settimana, un raro cimelio di non so che civiltà perduta, ritrovato dalle nostre parti, che ho già deciso comprerò per lui.
Credo sia anche un po' il tuo tipo. Se tu fossi qui ce lo contenderemmo, all'asta e in tutti i giorni precedenti. Faremmo a gara a chi fa i regali più costosi e stravaganti, a chi lo sorprenderebbe per primo. Sarebbe divertente.
E invece c'è un oceano tra di noi, il che vuol dire che mi terrò il bel alchimista esotico tutto per me.
Devo rubare casse di vino Goccia di Sangue più spesso, se questi ne sono gli effetti.
Ti farò sapere nella mia prossima lettera se sarò riuscito nell’impresa di conquistarlo, e ovviamente se avrò trovato notizie della, spero non, futura matrigna.
Come sempre mi manchi, mio caro Koa, nei giorni frenetici come in quelli di calma solitudine. Mi manchi con una costanza scoraggiante.
Scriverti è sempre un doloroso promemoria della nostra lontananza e insieme una dolce consolazione.
Conto i giorni che ci separano dal nostro ricongiungerci.
Sempre tuo, con fiducia, nostalgia ed eterno affetto,
Ailo
Ailo Mealto Hannover IV
di Villa Aurelia
Città di Rea Marina
Rive Occidentali