![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Settimana: 1
Missione: M2
Prompt: 1.“Sapeva già che sarebbe stato un disastro”
Titolo: Insonni
Fandom: Originale
Rating: sfw
Warning: /
Note: /
Jamie sapeva già che sarebbe stato un disastro. Il suo primo test al college, un completo fallimento. Per forza. Non riusciva a farsi venire in mente un singolo teorema, non importava quanto si sforzasse. Formule ed enunciati vorticavano in una matassa sfocata dietro i suoi occhi chiusi, ma se solo provava a districarne un filo, ecco che la matassa svaniva come fumo, inafferrabile.
Era lì. Da qualche parte nella sua testa, c’era, ne era sicuro. Aveva studiato. Ed era altrettanto sicuro che sarebbe stato un disastro.
Si rigirò sotto le coperte, cercando conforto. Anche quello gli sfuggiva.
Avrebbe fallito il test. Avrebbe fallito anche tutti i successivi, perché se non passava il primo livello, com’era possibile che superasse quelli più difficili? Sarebbe rimasto indietro, troppo. Avrebbe dovuto lasciare il college. Lo avrebbero cacciato prima della fine dell’anno.
Sarebbe… oh, dio, sarebbe dovuto tornare da sua madre.
Lanciò le coperte da una parte, saltando fuori dal letto. Non ce la faceva più a stare lì immobile. Non sarebbe riuscito a dormire in ogni caso, tanto valeva fare qualcosa di produttivo, studiare ancora magari.
Appena ci pensò, un principio di nausea gli pizzicò la gola. Lo cacciò via insieme alla prospettiva di aprire i libri per l’ennesima volta. Ogni tutor con cui avesse mai parlato sosteneva che, arrivati alla notte prima dell’esame, qualche ora in più o in meno non faceva differenza. In altre parole, ciò che non era già nella sua memoria, non ci sarebbe entrato quella notte.
E, visto lo stato della sua memoria, se non era una condanna quella.
Sarebbe stato un disastro.
Guardò l’ora sul cellulare: l’una e due minuti. Non riusciva a dormire. Non voleva starsene fermo a letto a pescare senza successo nozioni matematiche dal suo laghetto mentale. Di studiare ancora non se ne parlava proprio.
Magari poteva provare a distrarsi, in qualche modo. Togliere il tappo, svuotare la mente. Non si sarebbe riposato, ma con un pizzico di fortuna - e di Maalox - avrebbe evitato la gastrite.
Raccattò dalla sedia dei panni usati-ma-non-ancora-puzzolenti una t-shirt e un paio di pantaloncini della tuta, infilandoseli. Chiavi e cellulare in tasca, ciabatte ai piedi, si chiuse la porta della camera alle spalle.
Il corridoio ovest del terzo piano del Dormitorio A era buio e silenzioso come solo in piena notte poteva essere. Jamie si lasciò guidare dalle lucine intermittenti dei sistemi d’allarme fino alla cucina in comune del piano.
Se vedere il corridoio vuoto era un evento, la cucina senza nessuno studente affamato ad infestarla era un’aurora boreale ai caraibi. La stanza sembrava molto più grande persino, con tutto quello spazio inutilizzato.
Nonostante visualizzare un teorema sembrasse un’azione impossibile al momento, la ricetta dei muffin al cacao di sua nonna gli apparve in testa con una facilità fuori luogo. I muffin sembravano adeguati: una ricetta ne troppo impegnativa ne troppo poco, condivisibili e associati a ricordi felici.
Controllò il suo scomparto in frigo, poi il suo cassetto in dispensa, per vedere se aveva tutti gli ingredienti. Di pirottini in alluminio ce n’erano ancora molti. Il cacao lo aveva finito il mese scorso e mai più ricomprato, ma una confezione di gocce di cioccolato lo guardava dallo scaffale chiedendo di essere usata. Non mancava niente.
Si mise all’opera. I pensieri nella testa assunsero d’improvviso una silhouette meravigliosamente nitida e semplice.
Pesa farina e zucchero, fai sciogliere il burro, rompi le uova.
Pensieri leggeri, che lo aiutavano a sciogliere le spalle e respirare profondamente l’odore di impasto. Pensieri che non si prendevano tutto lo spazio di prepotenza.
Se avesse divagato, avrebbe finito per rovesciare qualcosa; e quindi mescola, grattugia il limone, aggiungi il lievito. Fai piovere gocce di cioccolato come se i monsoni fossero un’invenzione di Willy Wonka e rendi fiera tua nonna.
Anche una volta infornate le sue creazioni, Jamie si tenne impegnato con pulizie. Fece qualche foto attraverso lo sportello del forno, da inviare a sua nonna. Setacciò ogni angolo della cucina alla ricerca di una teglia dove poter mettere i muffin, per portarli in camera - non li avrebbe lasciati lì di certo, i lupi li avrebbero fatti sparire nell’arco di una giornata.
Mancavano dieci minuti per terminare la cottura e Jamie aveva appena cominciato una lista mentale della prossima spesa, quando una voce sconosciuta lo fece quasi schizzare fuori dalla propria pelle.
“Che odore!”
Ripreso respiro, si voltò verso l’ingresso.
Sull’uscio della porta, naso all’aria e occhi socchiusi, stava un ragazzo vestito da festa. Festa al chiuso, o in discoteca, dove si supponeva che la vicinanza con altre persone e la temperatura non permettessero più di mezzo strato di tessuto addosso. Nello specifico caso, una camicia per lo più sbottonata e dei jeans strappati.
Jamie guardò l’ora sul timer del forno. L’una e tre quarti. O il tizio era reduce da un pre-serata particolarmente lungo, o la sessione invernale aveva messo della strizza a tutti per far finire una festa così presto.
“Cosa stai cucinando?” Il ragazzo si avvicinò al forno, chinandosi per sbirciare dentro.
La luce calda del forno gli tinse i capelli di una sfumatura più ramata che bionda. Un punto luce ad un orecchio catturò l’attenzione di Jamie al pari dei sistemi d’allarme in corridoio. Si accorse di quando il suo sguardo si spostò dai muffin al timer.
“Fratello, sono le due di notte. Non potevi aspettare domani?”
Domani sarebbe stato un disastro.
Jamie scosse la testa. “Credimi, se potessi addormentarmi a comando, subito, lo farei”.
Il ragazzo mugugnò un suono di comprensione al forno. “Problemi a dormire?”
Jamie non voleva essere scortese, ma festa-mancata sembrava continuare a bussare a quella porta che si sforzava di tenere chiusa da quasi mezz’ora. Non l’avrebbe aperta per permettere ad uno sconosciuto di sbirciarci dentro.
Tenne la bocca chiusa.
Il timer suonò.
Scacciò il ragazzo da davanti il forno, così da poter tirare fuori i muffin. Avevano un aspetto delizioso, gonfi e dorati al punto giusto. L’odore era anche meglio.
Per i minuti successivi si adoperò nel metterli a raffreddare sulla teglia uno a uno, togliendoli dai pirottini. Soddisfatto, alzò lo sguardo con la speranza - flebile, ne era consapevole - di essere rimasto solo in cucina.
Non fu sorpreso di trovarsi ancora in compagnia.
La cosa affascinante era che lo sconosciuto non pareva affatto a disagio dalla situazione. No, lui se ne stava soddisfatto nella sua muta ammirazione dei muffin, ignorando Jamie, l’imbarazzo o le convenzioni. Era abbastanza ridicolo, ma in un modo che faceva tenerezza.
Jamie indicò uno dei pochi dolcetti venuti su storti. “Vuoi un muffin?”
Ed ecco, finalmente, era riuscito ad attirare la sua attenzione.
Gli occhi del ragazzo si fissarono in quelli di Jamie e un sorriso a labbra strette gli aprì il viso. Fece spallucce. “Sembrano davvero buoni,” si giustificò.
Jamie gli porse il muffin. Prima che potesse dirgli di aspettare che si raffreddasse, il ragazzo ne aveva già staccato un morso.
Mugolò, e poteva essere un gemito di dolore per una lingua irrimediabilmente ustionata, o un apprezzamento sonoro davvero sentito.
Entrambi, decise Jamie, e sentì le proprie labbra sollevarsi in un sorriso. Poi, dato che in fondo la curiosità lo pungolava, “rientri o stai andando?” Chiese.
“Rientro. E sappi che questo,” il ragazzo agitò il muffin ancora fumante, “è la salvezza della mia serata”. Prese un altro; poi, con la voce pregna di disappunto, “il Glitch è caduto veramente in basso”.
“Oh?” Jamie non aveva idea di che locale fosse, ma tra il rumore bianco delle lamentele e il muffin che a sua volta aveva cominciato a sbocconcellare, sentiva di essere abbastanza intrattenuto.
“Ormai fanno drink così annacquati che devi impegnarti per sentire l’alcool. E c’è comunque chi riesce a vomitare sulle scale.” Faccia schifata. “Il nuovo dj non ha idea di quello che sta facendo, basta che una tipa vada a sculettargli davanti e accetta richieste, tipo al karaoke!” Faccia schifata. “Ne posso prendere un altro?” Faccia sognante.
Jamie annuì e stavolta selezionò per lui un muffin esteticamente perfetto. Era quasi un peccato morderlo - almeno per lui, l’altro ragazzo non si fece problemi.
Dopo un paio di morsi, riprese il monologo, ma cambiando completamente argomento. A quanto pare mangiare lo rendeva loquace.
“Il mio coinquilino, per rilassarsi prima di un esame, si allena per ore con la colonna sonora di Rocky a tutto volume, mentre tu fai il pasticcere: la mia solita sfiga. Se vuoi fare un cambio di camera, fammi sapere.”
Jamie si irrigidì un po’ al sentire la parola proibita. Non aveva ancora voglia di parlarne. Il trattamento del silenzio, però, sembrava crudele a questo punto.
“Mi aiuta con l’ansia” disse e posò il proprio muffin. Aveva di nuovo lo stomaco chiuso. “Per un po’, almeno.”
Il ragazzo era al suo ultimo morso. Si pulì le briciole dalla bocca con una mano, per poi allungarla nella sua direzione. “Mi chiamo Trevor”.
Quindi non più uno sconosciuto che rimarrà uno sconosciuto, incontrato in modo bizzarro in una notte agitata; ma Trevor, uno degli inquilini del dormitorio, critico di feste e ghiotto dei suoi muffin.
Allungò a sua volta la mano per stringergliela. “Jamie”.