COWT14

Apr. 19th, 2025 11:08 pm
 

Settimana: 6

Missione: M3

Prompt: L’eco senza volto

Titolo: L’eco senza volto

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /

Rapporto Ufficiale – Dipartimento di Psicoacustica

Titolo del caso: L’Eco Senza Volto
Ricercatore responsabile: Dott. Lucius A. Mence
Data di stesura: 19-04-3025
Livello di accesso: Riservato (Classe 3)
Codice archivio: EC-SF/001/23-MNC

1. Premessa

Il presente documento riassume i risultati delle indagini condotte tra il 3 novestre 3023 e il 18 marestre 3025 sul fenomeno acustico classificato come “Eco Senza Volto”, segnalato per la prima volta nella valle disabitata conosciuta con il nome di Val Fòssile.

Le testimonianze iniziali provenivano da un gruppo di speleologi dilettanti, i quali riferivano di “voci che rispondevano in ritardo, ma che non erano le loro”. A seguito delle loro dichiarazioni (accompagnate da registrazioni audio di natura controversa), è stato autorizzato l’invio di una squadra di ricerca multidisciplinare.

2. Descrizione del fenomeno

L’Eco Senza Volto si manifesta come un’eco sonora atipica, rilevabile a frequenze comprese tra i 480 Hz e i 520 Hz, all'interno di specifici anfratti rocciosi nel perimetro di Val Fòssile.

A differenza di un’eco classica, il fenomeno non si limita a ripetere le parole emesse, ma le trasforma semanticamente, mantenendo una coerenza grammaticale e sintattica non attribuibile a interferenze naturali o malfunzionamenti strumentali.

Esempio trascritto:

  • Ricercatore (input): “C’è qualcuno?”

  • Risposta eco (output): “Io ero qui prima.”

Altri esempi includono frasi come:

  • “Non ricordo il mio nome.”

  • “Tu mi hai dimenticato.”

  • “Ti vedo.”

Il fenomeno si attiva esclusivamente in assenza di luce solare diretta e sembra essere sensibile alla presenza umana solitaria. In presenza di più individui, l’eco ritorna a un comportamento tradizionale.

3. Strumentazione utilizzata

  • Microfoni omnidirezionali ad alta sensibilità (modello Sennheiser MKH 8020)

  • Registratori a nastro analogico e digitale simultaneo (test incrociati)

  • Analizzatori di spettro in tempo reale

  • Sensori EMF (per rilevamento di interferenze elettromagnetiche)

  • Diario psicologico soggettivo (auto-compilato dai partecipanti)

4. Risultati e anomalie

  • Le registrazioni audio digitali presentano frequenze “fantasma” che non corrispondono a nessuna sorgente nota.

  • Le registrazioni analogiche, paradossalmente, rendono le risposte dell’eco più articolate, come se il mezzo stesso favorisse la “voce” dell’eco.

  • Dopo esposizioni superiori ai 7 minuti, il soggetto umano riferisce sensazioni di de-realizzazione, presenza osservante, ed episodi dissociativi lievi.

  • In due casi, i partecipanti hanno affermato di riconoscere nella voce dell’eco “qualcuno che conoscevano”, ma non sono stati in grado di identificare tale conoscente.

5. Ipotesi interpretative

Le principali ipotesi attualmente in esame sono:

  • Psicoacustica collettiva: ipotesi che l’eco risvegli contenuti inconsci nei soggetti esposti.

  • Riverbero morfico: teoria non confermata secondo cui determinati luoghi possono “registrare” eventi emotivamente intensi.

  • Fenomeno quantistico vocale: interferenze tra coscienza e onde sonore in determinati contesti geomagnetici.

Una teoria non ancora approvata sostiene che il fenomeno non risponda a ciò che viene detto, ma a ciò che viene pensato.

6. Conclusioni e raccomandazioni

Si raccomanda l’interruzione di ogni missione notturna nel perimetro di Val Fòssile. I sintomi psicologici residui in due membri del team (disturbi del sonno, incubi ricorrenti con contenuti vocali, tendenza a parlare da soli in luoghi silenziosi) suggeriscono un possibile effetto a lungo termine.

Nota personale: In data 3 marestre 3025, durante un’esplorazione solitaria, ho registrato un’eco che ha pronunciato il mio nome completo – incluso il secondo, mai divulgato pubblicamente – seguito dalla frase:
“Sarai silenzio e anch’io avrò un volto.”

Sto valutando una pausa dal lavoro sul campo.

Fine rapporto

 


 

Appendice Riservata – Rapporto Integrativo EC-SF/002/25-MNC

Titolo: Rientro a Val Fòssile – Seconda Esposizione
Ricercatore: Dott. Lucius A. Mence
Data della spedizione: 11-04-3025
Data della trascrizione: 19-04-3025
Livello di accesso: Estremamente riservato (Classe 4 – Personale autorizzato)

1. Introduzione

Contro le direttive ricevute dal Consiglio Etico, ho deciso di effettuare una seconda visita solitaria al sito noto come “nucleo attivo” del fenomeno Eco Senza Volto, situato nella zona indicata come 7B-Est. Le ragioni di questa scelta sono di natura personale e scientifica: la mia esposizione precedente ha lasciato effetti cognitivi che non posso più attribuire a suggestione.

Avevo bisogno di sapere se ciò che ho sentito — la voce, il nome, la frase finale — era solo una coincidenza o qualcosa di intenzionale.

2. Cronologia degli eventi

Ore 19:04
Ingresso nella zona 7B-Est. La temperatura esterna è di 4,2°C. Nessuna variazione strumentale significativa nei primi dieci minuti. Inizio la lettura ad alta voce del protocollo di controllo acustico.

Ore 19:11
Durante la lettura della frase “Questa è una prova acustica in ambiente aperto,” l’eco ha restituito:
“Non chiudere gli occhi.”
La mia voce non conteneva queste parole.

Ore 19:15
Il microfono analogico ha smesso di registrare. L’indicatore della bobina è bloccato su un punto fisso. Ho proseguito la registrazione tramite diario vocale manuale. Ho chiesto: “Perché mi stai parlando?”

Risposta dell’eco (chiara, distinta):
“Perché ora mi ricordi.”

Ore 19:19
Interferenza elettromagnetica significativa. Gli strumenti digitali si sono spenti per circa 17 secondi. In quel lasso di tempo, la voce non si è interrotta. Continuava a parlare anche in assenza di input.

Frasi udite (trascritte):

  • “Hai visto la mia ombra.”

  • “Ogni silenzio è una vita che perdi.”

  • “Sono quello che rimane quando non rispondi.”

3. Anomalie rilevate

  • Il mio ritmo cardiaco è aumentato da 72 a 118 bpm senza sforzo fisico.

  • Da quando ho lasciato il sito, la mia voce registrata nelle apparecchiature analogiche non corrisponde più alla mia fonazione naturale: è più bassa, leggermente metallica.

  • Ho perso 2 minuti di memoria. Il diario registra un vuoto tra le 19:25 e le 19:27. Durante quel lasso di tempo, ho continuato a camminare e a parlare, secondo la traccia vocale.
    Le mie parole in quel periodo:
    “Io... io sono… no, io sono... Non è il mio nome. Non è il mio nome.”

4. Considerazioni finali

Non è più possibile considerare L’Eco Senza Volto un semplice fenomeno acustico. I dati raccolti suggeriscono una entità para-linguistica, un’intelligenza disincarnata in grado di interagire con la psiche umana attraverso la ripetizione e la distorsione del linguaggio.

Una voce senza organo fonatorio ma con intenzione cosciente.

Richiesta: Revoca della mia sospensione. Propongo una terza spedizione, con protocollo audio inverso: silenzio assoluto da parte del ricercatore, per verificare se l’eco si attiva autonomamente.

Firmato:
Dott. Lucius A. Mence


COWT14

Apr. 18th, 2025 07:03 pm
 

Settimana: 6

Missione: M5

Prompt: bad ending

Titolo: Il lascito di un eroe

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: formato: articoli di giornale


The Daily City

 


 

thedailycity.com Venerdì, 18 Aprile 2022 News

 


 

UN NUOVO EROE IN CITTÀ


La città ha assistito a un evento che segnerà un nuovo capitolo nella storia della sicurezza urbana. Il misterioso supereroe conosciuto come Lux ha fatto la sua prima apparizione ufficiale ieri pomeriggio, salvando un gruppo di civili intrappolati a seguito del crollo di un edificio nel quartiere di Downtown. Il suo intervento, rapido e preciso, ha sorpreso tutti, dai testimoni fino alle forze dell'ordine, lasciando un segno indelebile nella memoria della comunità.


L’INCIDENTE

L'incidente è avvenuto quando un palazzo di 15 piani, noto per le sue condizioni precarie, è collassato improvvisamente durante l'ora di punta. Il crollo ha coinvolto una zona molto frequentata, con decine di persone che stavano transitando in strada. Il panico è subito esploso, e le squadre di emergenza sono arrivate sul posto dopo alcuni minuti, ma il tempo era già contro di loro. Il bilancio delle vittime sembrava destinato a essere tragico.

Poi, in un attimo di speranza, è apparso Lux.

«Non ho visto mai nulla di simile prima,» ha raccontato Robert B., un pompiere che era sul posto durante l'incidente. «C'erano polvere e detriti ovunque, non si vedeva a più di un metro di distanza. Poi, all'improvviso, una figura ha iniziato a brillare in mezzo alla distruzione, e in pochi secondi si è fatto spazio tra le enormi macerie.»


IL NUOVO EROE

Lux, un uomo che indossa un costume lucente con sfumature argento e oro, sembra avere il potere di manipolare la luce. In un istante, ha creato una barriera protettiva per proteggere le persone rimaste intrappolate dai detriti che continuavano a cadere e ha guidato i civili verso una via di fuga sicura, facendoli uscire rapidamente dalle rovine.


«Non sembrava neppure umano,» ha continuato il paramedico, «era come se stesse trasmutando la luce in energia solida. Una volta che ha sollevato le macerie, ha creato dei corridoi luminosi che ci hanno permesso di raggiungere le persone bloccate senza il rischio di altri crolli.»

Il salvataggio si è svolto in tempi record: in meno di dieci minuti, Lux è riuscito a liberare 12 persone intrappolate, di cui 4 in gravi condizioni. Dopo aver messo in salvo i civili, Lux ha dissipato la sua luce, scomparendo senza lasciare traccia.


LE REAZIONI DEI TESTIMONI

Il commissario Mark Valiant, ha elogiato il suo intervento, ma ha anche sottolineato la necessità di indagini più approfondite. «È un eroe, senza dubbio, ma chi è davvero? Da dove viene? E come ha acquisito questi poteri?»

Ha poi aggiunto: «Abbiamo bisogno di capire meglio cosa sta accadendo in città, ma oggi non possiamo fare altro che ringraziare Lux per aver salvato delle vite.»

Anche i cittadini sono rimasti stupiti dalla sua presenza. Molti lo descrivono come un essere quasi etereo, come se fosse una manifestazione di pura luce. Tuttavia, non sono mancati gli scettici e coloro che si chiedono se i suoi poteri - e le sue intenzioni - siano pericolosi.


UN PROMETTENTE FUTURO 

Per ora, Lux rimane una figura misteriosa. La sua apparizione ieri, tuttavia, sembra essere solo l'inizio di un cambiamento che potrebbe portare a una nuova era di sicurezza nella città.

Sarà interessante vedere come reagiranno le autorità e i criminali, e se Lux continuerà a proteggere questa città. Per ora, i suoi abitanti non possono fare a meno di sentirsi più al sicuro, grazie a un nuovo protettore che ha scelto di vigilare su queste strade.



The Daily City

 


 

thedailycity.com Venerdì, 1° Maggio 2023 News

 


 

SVELATA LA VERA IDENTITÀ DI LUX, L’EROE DELLA CITTÀ


Dopo mesi di speculazioni, voci e mistero, finalmente la vera identità di Lux è stata rivelata. Ieri mattina, intorno alle 5:00, è comparso un articolo sul popolare social media Truth, con argomenti e prove schiaccianti, che ha fatto velocemente il giro di tutto il web. L'uomo che ha salvato centinaia di vite e protetto la città da innumerevoli minacce non è altro che Leonard Steel, un giovane scienziato specializzato in ingegneria biomedica.

Al momento, sebbene il nome sia stato confermato dalle autorità, Lux, l'eroe che ha conquistato la città con la sua capacità di manipolare la luce, ha scelto di mantenere il silenzio stampa e non fare dichiarazioni.


CHI È LUX?

Leonard Steel, 29 anni, è un ricercatore a contratto presso il Marie Montreal Medical Research Center, assunto per lavorare su un progetto di manipolazione del dna da almeno due anni. Nel gennaio del 2022 è stato coinvolto nell’attentato biologico che ha coinvolto il Marie Montreal, uscendone apparentemente illeso. È celibe, vive in un appartamento a Downtown ed è volontario riservista presso la stazione di polizia dello stesso quartiere.

Nonostante il clamore attorno alla sua rivelazione, Steel ha scelto di rimanere lontano dai riflettori. 


IL SILENZIO DI LUX

Nonostante il suo ruolo di salvatore e il suo crescente impatto sulla comunità, Lux ha sempre evitato di rilasciare interviste o dichiarazioni pubbliche. La sua reticenza a comunicare con i media o con le autorità ha solo alimentato il mistero che lo circonda. Questo comportamento ha suscitato sia ammirazione che preoccupazione tra i cittadini e i funzionari locali.

Il commissario di polizia Mark Valiant ha dichiarato: «Sappiamo che Lux sta facendo del bene, ma il fatto che non voglia comunicare con noi ci lascia con molte domande. È un eroe, sì, ma ogni eroe ha bisogno di essere compreso, soprattutto quando si tratta di poteri così straordinari. Speriamo che, ora che la sua identità è stata svelata, possa essere più trasparente.»

Le voci che circolano intorno a quest’uomo suggeriscono che Steel sia stato sempre una persona introversa e che, nonostante la sua straordinaria intelligenza, preferisca l'ombra alla luce dei riflettori. Nonostante ciò, la sua scelta di mantenere il silenzio solleva interrogativi sulla sua motivazione e sul ruolo che intende giocare nel futuro della città.


LA REAZIONE DEI CITTADINI

I cittadini, pur rispettando la sua scelta di non rilasciare dichiarazioni, sono rimasti divisi. Molti lo vedono come un simbolo di speranza, un eroe che ha sacrificato la sua vita normale per il bene della comunità. «Non importa chi sia veramente, quello che conta è quello che fa per noi,» ha dichiarato Sarah R., una residente di Downtown. «Lux è ciò di cui avevamo bisogno, e finché continuerà a proteggerci, non ci importa di sapere di più.»

Tuttavia, c'è chi esprime delle preoccupazioni. «Va bene essere un eroe, ma dobbiamo sapere chi è veramente. Non possiamo avere un vigilante che opera nel silenzio totale,» ha affermato John M., un altro residente. «L'eroismo è una cosa, ma un uomo che ha tali poteri deve essere in grado di spiegare le sue intenzioni. È questo che ci preoccupa.»


UN EROE SFUMATO

Nonostante il mistero che avvolge Lux, il suo intervento tempestivo nelle situazioni di emergenza e la sua capacità di manipolare la luce per proteggere i cittadini continuano a essere apprezzati. Che si tratti di fermare un disastro ambientale o di proteggere i civili in caso di attacco, Lux è sempre apparso nel momento del bisogno, mai una volta tradendo la sua missione.

Leonard Steel, o meglio, Lux, ha scelto di non parlare per ora, e sebbene le sue azioni siano chiare, il suo silenzio alimenta ancora il mistero.



The Daily City

 


 

thedailycity.com Venerdì, 29 Maggio 2023 News

 


 

TRAGEDIA SUPEREROISTICA: LUX UCCISO DOPO LA RIVELAZIONE DELLA SUA IDENTITÀ


Una delle figure più amate e misteriose della città ha incontrato la sua fine. Lux, il supereroe che per mesi ha protetto la città, è stato ucciso ieri pomeriggio in un attacco orchestrato da un gruppo di criminali che avevano giurato vendetta. L’assassinio, avvenuto a pochi passi dal cuore pulsante della città, ha lasciato la comunità in stato di shock e incredulità.


L'ATTACCO 

Lux, la cui identità era stata recentemente svelata come Leonard Steel, è stato sorpreso mentre cercava di intervenire in una situazione di crisi nel centro città. Secondo le testimonianze, un gruppo armato di mercenari, probabilmente legati a cartelli criminali locali, ha teso un agguato al supereroe in una zona poco distante dal quartiere finanziario. Conosciuto per la sua abilità nel manipolare la luce, Lux era riuscito in passato a cavarsela sempre in queste situazioni. Questa volta, invece, non ha potuto schivare l’attacco letale.

I dettagli sono ancora frammentari, ma secondo le prime ricostruzioni Lux sarebbe stato sopraffatto da un'imboscata ben pianificata. Nonostante le sue straordinarie capacità, il supereroe non è riuscito a difendersi completamente dai colpi mortali ed è stato sopraffatto.


LA REAZIONE DELLA CITTÀ

La morte di Lux ha scosso profondamente la città, che fino a poche settimane fa lo considerava un simbolo di speranza e ora si trova a dover fare i conti con un vuoto che sembra impossibile da colmare. I cittadini si sono riversati in piazza per commemorare l'eroe caduto, e le strade sono state riempite da fiori, messaggi di addio e lacrime. «Lux non era solo un supereroe,» ha dichiarato Sarah R., residente del quartiere di Downtown. «Era qualcuno che ci ha fatto sentire al sicuro. È difficile pensare che non ci sia più.»

Le forze dell’ordine sono al lavoro per rintracciare i responsabili dell’attacco, ma molti si chiedono se davvero sia possibile fermare una rete criminale che ha avuto il coraggio di colpire un eroe tanto potente. La morte di Lux ha scatenato anche una serie di interrogativi sul futuro della sicurezza della città e su come reagiranno i criminali ora che uno dei loro più grandi nemici è caduto.


IL FUTURO SENZA LUX

La morte di Lux segna la fine di un'era. Con la sua scomparsa, la città si trova a dover fare i conti con la realtà di un mondo senza il suo più grande protettore. Le forze dell'ordine sono sotto pressione per garantire che la sua morte non diventi il punto di partenza per una nuova ondata di violenza, mentre i cittadini si interrogano su chi sarà in grado di raccogliere il suo lascito.

I suoi alleati, sebbene ancora scossi dalla tragedia, giurano di continuare a difendere la città e di onorare il suo sacrificio. È innegabile, però, che la scomparsa di Lux abbia lasciato una ferita che non guarirà tanto presto.


COWT14

Apr. 18th, 2025 04:55 pm
 

Settimana: 6

Missione: M3

Prompt: Il giardino segreto

Titolo: Il Giardino

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: tematica del suicidio

Note: /


La folla di protestanti è scarna ma agitata, impugna i cartelloni come fossero spade di cellulosa e sembra pronta ad assaltare gli uffici della B.R.A.I.N. Eden attraversa la strada appena li vede, preferendo un percorso con meno guai a uno più veloce. Le loro voci si sentono persino dall’altra parte della carreggiata, sopra le auto che sfrecciano le corsie.

É una protesta ridicola. Quelle persone sono ridicole, ingenue e pericolose. La loro richiesta di limitare la realtà virtuale è oltre il ridicolo, nel 2189.

Sì è morto un altro uomo, Eden ne è consapevole. Era su tutti i notiziari. Un triste impiegato come lui, che preferiva così tanto passare il tempo nel suo Giardino piuttosto che nella vita fisica da dimenticarsi di uscire, mangiare, bere. Morto senza sapere di star morendo, con l’anima già nel proprio paradiso personale. 

E quindi? 

Non si può biasimare la gente per preferire una realtà simulata perfetta a una fisica che fa schifo. La soluzione dovrebbe essere migliorare la quotidianità fuori dalla rete, non tagliare il tempo permesso nei Giardini, o i Giardini stessi. Senza Giardini in cui rifugiarsi, molte più persone si ammazzerebbero. 

Eden si ammazzerebbe.

Corre a casa con ancora più spinta del solito, non vede l’ora di godersi i momenti di pace che si è guadagnato con il turno massacrante del giorno. Il rumore della protesta scompare alle sue spalle. Mentre percorre le strade con la memoria del corpo, la sua mente è già più serena.

A casa mangia, beve, usa il bagno pensando all’uomo morto, ma se ne dimentica una volta che la sua sopravvivenza fino alla mattina successiva è garantita. Imposta la sveglia per il prossimo turno - alle cinque del mattino. Dà istruzioni perché la connessione e i dispositivi neurali si spengano quando le sue onde cerebrali saranno confermate in fase NREM.

Infine, si stende sul letto e indossa i patch neurali. Chiude gli occhi. Avverte il pizzicorio ormai familiare delle sinapsi stimolate. Un momento più tardi è nel suo Giardino.

Il Giardino è ormai l’unico posto dove si senta sicuro, felice. Inviolabile da qualunque estraneo, plasmabile a suo piacimento. Non è solo una realtà virtuale, è un sogno che si avvera. 

Eden pensa alla spiaggia, alla baia di Newport dove è cresciuto e apre gli occhi sull’alba che sorge dalle onde del mare. L’odore salino è prepotente, come il rumore delle onde e dei gabbiani. La sabbia tra le dita dei piedi è ruvida e calda.

Cammina con i raggi del sole che gli scaldano la pelle e il vento che gioca tra i suoi capelli. Ad attenderlo più avanti c’è un quadrato di cuscini circondato da tende bianche. Un violino appoggiato in un angolo e l’ultimo spartito su cui sta lavorando. 

Si lascia cadere sui cuscini, ci si rotola un po’ sopra, apprezzandone la morbidezza e la freschezza sulla pelle. Profumano di fiori esotici e sandalo. 

Pensandoci meglio, non ha ancora voglia di suonare. Quel giaciglio è troppo comodo. Si sente un gatto soddisfatto, e non sarebbe male averne uno da coccolare in quel momento. 

Ha già un folto pelo arancione tra le dita quando pensa - un amante sarebbe ancora meglio… e sotto la mano non ha più pelliccia morbida, ma pelle liscia e glabra, arrendevole al suo tocco.

Ora è troppo pigro per del sesso, però. Magari un massaggio. 

In un momento è a pancia in giù, il viso immerso nei cuscini, delle dita sapienti che premono sulle sue spalle in tutti i punti giusti. Probabilmente si addormenta così, minuti o ore dopo. Il suo ultimo pensiero è che non rinuncerebbe al suo Giardino per niente al mondo.


COWT14

Apr. 18th, 2025 04:54 pm
 

Settimana: 6

Missione: M3

Prompt: La porta tra i mondi

Titolo: La Porta

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


È un giorno qualunque di primavera, in un paese qualunque in mezzo alla campagna. Nel bel mezzo di una piazza, appare una porta. Una porta. Niente cornice, nessun muro, nessuna spiegazione. Solo una porta di legno scuro, alta, fredda al tatto. Con la maniglia in ottone, la chiave della serratura sigillata.

Non si sposta. Non si apre se la si forza. Non reagisce. Non fa nulla.

All’inizio la gente ci passa accanto perplessa ma senza fermarsi, pensa a una trovata artistica o a una protesta, un’accusa silenziosa a dio solo sa cosa. Qualche passante annoiato si avvicina, prova a toccarla. Qualcuno scatta una foto, fa un post sui social.

Poi arrivano i media, il governo, i filosofi, i cospirazionisti, la Chiesa. I meme.

La porta diventa virale, poi diventa tabù. Nessuno è in grado di dare una spiegazione.

Le autorità la recintano e la dichiarano "potenzialmente pericolosa". Una sfilza di segnali allarmanti compare sulla piazza, insieme a scienziati e attrezzature ingombranti. Arrivano, fanno rumore e se ne vanno come sono arrivati, insoddisfatti.

Le religioni la proclamano segno divino, oppure satanico. Correnti diverse si schierano da una parte e dall’altra, raccogliendo fedeli come margherite.

I politici si dividono: alcuni vogliono aprirla, altri vogliono distruggerla, altri ci fanno sopra campagne. Nessuno ha idea di che cosa sta parlando, ma per nessuno è una necessità saperlo per parlare.

Alla fine, le persone comuni smettono di farci caso, come fosse un semaforo rotto. La porta diventa parte della piazza e la vita continua.

§

È un giorno qualunque d’autunno, in una piazza come ce ne sono tante nel mondo. Un ragazzino gioca con la palla, la calcia da una parte all’altra divertendosi a inseguirla. Usa la porta e il lampione più vicino come pali di una rete. Fa gol. Fa gol. Fa gol. Quando prende il palo, si avvicina per recuperare la palla.

La palla è finita dietro la porta. 

Si aggrappa alla maniglia per dondolarsi da una parte, affacciandosi oltre il legno, cercando la sua palla.

La maniglia gira con un click e la porta si apre.

Il ragazzino si sbilancia e si sporge oltre l’uscio. Scompare. 

Pochi lo notano. Nessuno corre per tentare di acciuffarlo. Trattengono il fiato mentre la porta si richiude.

La voce si sparge. Il paese è di nuovo in subbuglio. La gente torna ad interessarsi alla porta, a cercare di aprirla. Tornano i segnali di pericolo, i pellegrinaggi religiosi, i comizi politici.

Ma la porta non si riapre.

§

È un giorno qualunque in un luogo che non ha stagioni. Che forse non è neanche un luogo, non se lo si intende circoscritto. È più una porta, che conduce in molti posti.

Un ragazzo apre e chiude la porta. La oltrepassa, si volta, chiude e apre e la oltrepassa di nuovo. Ci passa dentro così tante volte da perdere il conto, ma non si ferma finché non è soddisfatto. Finché il mondo in cui entra non è quello che sta cercando.

Mette piede in una piazza, come ce ne sono tante in quel mondo. Tutto, dai lampioni e le panchine scrostati, agli anziani passanti annoiati, alla palla da calcio sgonfia abbandonata su un’aiuola, gli parla di un paese di campagna. Tutto gli sembra familiare.

Sorride e chiude la porta dietro di sé. 


COWT14

Apr. 18th, 2025 04:53 pm
 

Settimana: 6

Missione: M3

Prompt: Il castello abbandonato

Titolo: Un tesoro inaspettato

Fandom: Genshin Impact

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Nonostante fosse ormai disabitato, l’atmosfera che aleggiava sopra il Covo di Terrore Alato era ancora cupa, grigia come ferro ossidato. Le antiche rovine sussurravano al vento, e ogni passo faceva scricchiolare le pietre sotto le scarpe. Non era meta per turisti e neanche per avventurieri poco “intrepidi”.

Quindi era perfetto per Bennett, ovviamente.

Era stato il primo a darsi volontario per quella missione di ricognizione e ora quasi saltellava scendendo tra i blocchi di pietra muschiati. Lo zaino gli ballava sulle spalle e una palla di fuoco magica oscillava nella sua mano. 

Dietro di lui, Razor camminava silenzioso, occhi attenti e orecchie tese, naso all’insù. Non era stato di molte parole da quando erano entrati nelle rovine del castello abbandonato. Anzi, si faceva più cupo di stanza in stanza.

“Odore… vecchio. Umido. Ma qualcosa... vivo,” disse appena salirono al piano più alto.

Bennett si fermò sull’ultimo gradino della scalinata. “Vivo? Tipo... mostro? O tipo scoiattolo? Perché c’è una bella differenza tra i due.”

Razor non rispose subito. Si avvicinò a una colonna mezza crollata, annusò l’aria. “Non scoiattolo. Non mostro. Diverso. Strano.”

Bennett si avvicinò a sua volta alle colonne, rivolgendo lo sguardo al soffitto in cerca di qualche indizio.

Un “attento!” Gridato dal suo compagno di viaggio fu tutto il preavviso che ricevette, prima che il terreno sotto i suoi piedi cedesse. 

Con un fragore improvviso, il pavimento si aprì come la bocca di una creatura sdentata, le pietre si sgretolarono e caddero verso il basso e Bennett cadde con loro. L’urlo che gli uscì dalla bocca si spezzò con il suo respiro, quando atterrò ben prima di quanto si aspettasse. La caduta non era durata neanche un secondo.

“Sto bene!” Istintivamente disse, ancor prima di catalogare i danni riportati. Strano, non sentiva di essersi fatto troppo male.

Razor si sporse nel buco, il suo viso incappucciato che si stagliava sullo sfondo del tetto della torre. “Bennett?”

“Sono atterrato su qualcosa di morbido!” Bennett tastò meglio ciò che lo circondava. “Sembrano... piume?”

Razor aggrottò le sopracciglia, poi saltò giù senza esitazione. Al contrario di Bennett, atterrò con agilità al suo fianco, appoggiandosi ad una mano e annusando subito l’aria.

La stanza in cui erano finiti sembrava una soffitta con delle feritoie su un lato, poco illuminata ma calda rispetto al resto del castello, umido e freddo. Era bassa, probabilmente avrebbero sfiorato il tetto con la testa se si fossero alzati in piedi. Era anche vuota, eccezion fatta per un nido al centro del pavimento. Un nido enorme, annerito dal fuoco, pieno di piume e-

“È un uovo!” Esclamò Bennett, strabuzzando gli occhi.

“Rotto,” aggiunse Razor. 

Sì, l’uovo era spaccato e aperto, fumante.

I due ragazzi si avvicinarono.

In mezzo ai frammenti, c’era una creatura minuscola, tremante, con un becco troppo grande e le ali spennacchiate. Un pulcino, grosso quanto una gallina adulta ma non altrettanto piumoso. 

“Oh, wow,” sussurrò Bennett, con ancora gli occhi pieni di meraviglia. “È… è carino. E un po’ inquietante. Ma soprattutto carino.”

Il pulcino lo guardò. Sbatté le ali, sbilanciandosi da un lato. Poi starnutì, facendo uscire una fiammella dal becco, e tornò dritto.

Bennett ridacchiò. “Okay, già mi piace.”

Razor si chinò, facendosi spazio tra i frammenti di guscio e le piume sparse tra i rami secchi, annusando di nuovo l’aria.

Il pulcino fece un piccolo verso rauco. 

“Abbandonata,” disse Razor, praticamente sussurrando, “nato dal fuoco… ma solo.”

A Bennett si strinse lo stomaco. Sentì il bisogno impellente di stringere il pulcino tra le braccia, così lo fece, sollevandolo con delicatezza. 

A contatto con la sua pelle, il pulcino emetteva calore quanto una fornace, ma Bennett non se ne lamentò. Anzi, sorrise. “Allora non siamo poi così diversi, eh? Anche io sono nato con un sacco di sfortuna, ma ho trovato una famiglia.”

Razor annuì. “Famiglia… scelta. Non sangue.”

Il pulcino si accoccolò tra le braccia di Bennett, perdendo qualche piuma ma smettendo di tremare. 


COWT14

Apr. 12th, 2025 09:35 am
 

Settimana: 6

Missione: M2

Prompt: 11. I was driving through the misty rain

just searching for a mystery train

bopping through the wild blue

trying to make a connection with you

This is Radio Nowhere

is there anybody alive out there?

(Radio Nowhere – Bruce Springsteen)

Titolo: Radio Nowhere

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


La pioggia cadeva da ore. Era una pioggia sottile, fastidiosa, che rimaneva sospesa in aria e dava l’idea di muoversi dentro un banco di nebbia. Obbligava Matthew a procedere lentamente, per evitare di andare fuori percorso.

L’auto avanzava lungo i binari arrugginiti, i fari sfioravano le pozzanghere. Tutta la carrozzeria vibrava per il terreno accidentato. 

Era difficile mantenere la concentrazione sulla strada, come avrebbe dovuto fare, piuttosto che lasciarla vagare sulle possibili implicazioni dell’avvistamento del giorno prima. 

Aveva visto un treno. Funzionante. Lento, sporco, ma reale. Era passato in quella direzione, avvolto nella nebbia, come un fantasma ostinato. Non era riuscito a raggiungerlo, sul momento, ma ora seguiva le sue tracce.

Sul sedile del passeggero, la sua radio portatile, modificata, con fili e manopole saldati a mano, saltellò per un dosso più alto dei precedenti. Era quasi ora della trasmissione, ma Matthew non voleva fermarsi e perdere altro terreno. 

Provò a maneggiare la radio con una mano sola, l’altra sul volante. Ci volle ancora più concentrazione e dovette rallentare un altro po’, ma riuscì a connettersi alla sua stazione e a portarsi il microfono davanti alla bocca.


Click.


"Questa è Radio Nowhere.

C’è qualcuno di vivo là fuori?"


Aspettò qualche secondo. Lo faceva sempre. Poi continuava:


"Oggi ho seguito i binari verso nord. Ho passato tre piccole stazioni abbandonate. Nessun segno di vita. La pioggia non smette. Il treno... forse era solo un’illusione, ma voglio crederci. Se qualcuno ascolta, rispondete. Domani arriverò all’aeroporto di Marlowe. Fine trasmissione."


Click.


Le onde restavano mute. Sempre mute. Ma ogni giorno lui ritentava, come un rito, come un mantra. Non c’era molta speranza di ricevere risposta, ma se non altro lo aiutava a rimanere sano di mente. Una specie di diario, che forse un giorno qualcuno avrebbe ascoltato - o forse no, forse era l’ultimo uomo rimasto sulla terra.


Giorni dopo


L’aereo era un Cessna sfigurato, trovato in un hangar miracolosamente intatto. 

Matthew aveva imparato a volare molti anni prima, quasi per gioco, da uno zio pilota con la fissa per i motori degli aerei e abbastanza geniale da averne brevettato uno. 

Ora era atterrato su una pista di volo consumata, con carrelli elevatori lasciati allo sbaraglio, circondata da alberi morti. Il cielo era grigio e immobile, come in attesa di qualcosa.

Eppure il volo era stato infruttuoso.

Si era spinto fino alla costa, fino al mare aperto persino, nella speranza di trovare qualcosa.

Matthew scese, sistemò l’antenna piegata, accese la radio e si sedette sul carrello dell’aereo.


Click.


"Questa è Radio Nowhere.

C’è qualcuno di vivo là fuori?"


Una pausa. Il vento passava tra le lamiere.


"Ho volato per novantatré minuti, sopra al porto di Marlowe e dintorni. Nessun segnale. Nessun fuoco acceso. Ma il mondo visto da sopra... sembra meno morto, da lassù. O forse mi sto solo abituando al silenzio. Sono all’aeroporto di Marlowe. Rimarrò qui due giorni. C’è un po’ di carburante, un tetto, lattine di cibo. Se mi senti, rispondi. Qualsiasi cosa. Anche solo un rumore."


Click.


Rimase lì, con la radio accesa vicino al petto. 

La pioggia si era fermata il giorno prima. Ora non c’era che rumore di vento. Il vento, il suo respiro e il suono statico di una radio inascoltata.


COWT14

Apr. 12th, 2025 08:53 am
 

Settimana: 6

Missione: M1

Prompt: 1° o 2° persona, chiaroveggente

Titolo: La palla di vetro

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


C’era una crepa sulla palla di vetro. Andava da polo a polo, frastagliata quanto le Mille Cime ed era profonda abbastanza da dare vita ad una ragnatela di microfratture verso l’interno della sfera. Era… era l’aspetto che probabilmente avrebbe avuto la mia testa quando Leandro lo avrebbe scoperto. Era un disastro, un disastro di proporzioni epiche.

Passi e voci in corridoio mi fecero sobbalzare e gettare sulla palla di vetro per nasconderla. Nessuno entrò nel salone, ma l’istinto di coprire il misfatto non se ne andò. 

Cercai nei dintorni un panno o un foulard. Sull’attaccapanni vicino alla porta, tra i mantelli, stava appeso uno scialle dalla trama stellata, sottile ma ampio. Corsi ad agguantarlo e ci avvolsi la sfera più volte, finché non fu più possibile vederne la superficie.

Vagliai velocemente le possibilità. Di portarla a Leandro e confessare non se ne parlava, mi avrebbero espulso dal corso di Chiaroveggenza senza pensarci due volte. Non sapevo come riparare la palla di vetro, o se esistesse un modo per ripararla. Costava più di quanto guadagnassi in un anno, non sarei mai riuscita a sostituirla prima che se ne accorgessero. Non mi restava altra scelta che sbarazzarmene e fingere ignoranza.

Con la sfera stretta al petto con una mano, seminascosta anche dalla manica larga, uscii dalla sala e presi la strada verso il magazzino. Ad ogni persona che sentivo avvicinarsi, cambiavo percorso, nel terrore di incontrare qualcuno di mia conoscenza o peggio, Leandro. Ci impiegai il doppio del tempo necessario, ma appena arrivata mi chiusi nella sezione dedicata alle palle di vetro.

Tolsi lo scialle dalla sfera e la spinsi in fondo ad uno scaffale, molto in fondo, con il lato crepato rivolto verso il legno. Afferrai un’altra palla e sgattaiolai via prima che qualcuno potesse vedermi. 

Con un po’ di fortuna, sarei riuscita a mettere la nuova sfera sulla scrivania di Leandro senza che nessuno si accorgesse dello scambio. D’altronde, se fossi stata fortunata, la prima palla di vetro non si sarebbe rotta in quel modo.

Leandro era già arrivato. Stava rovistando nella libreria della sala con trasporto, spostando libri su libri con così poca delicatezza che, se lo avessi fatto io, mi avrebbe preso a male parole. Dava le spalle alla porta. Non sembrò accorgersi del mio ingresso.

La scrivania era a pochi passi, il cuscino vuoto letteralmente a portata di braccio. Per prima cosa ci misi sopra la palla di vetro e un po’ mi tranquillizzai a non sentirne più il peso sulle braccia. Solo un po’.

“Buongiorno, maestro,” salutai.

“Dov’è quella maledetta palla di vetro?” Leandro non perse tempo in convenevoli, non girandosi nemmeno per constatare la mia presenza. “L’ho lasciata qua prima di partire, sono sicuro!”

Respirai profondamente per tenere i nervi sotto controllo. La palla era al suo posto. Leandro sembrava sufficientemente frenetico. 

Guardai meglio la sua scrivania: era ricolma di cianfrusaglie, il tonico ancora intoccato nella sua tazza. Potevo tentare?

“La palla di vetro è qua, maestro. Sulla scrivania.” 

Leandro si voltò così velocemente che temetti sarebbe inciampato.

Indicai il cuscino. Lo sguardo allucinato che ricevetti non me lo sarei dimenticata finché campavo. Dovetti infilzarmi con le unghie i palmi delle mani per non ridere.

“Come è andato il viaggio?”

Non ricevetti risposta. 

Leandro si gettò sulla scrivania come una gazza ladra, prese la palla in mano e se la rigirò tra le dita in tutte le direzioni.

Mi si bloccò un po’ il respiro da qualche parte lungo la trachea. Riuscii a tornare a respirare, tranquillizzarmi, vivere solo quando Leandro la mise giù, stendendo il viso nell’espressione che faceva quando era nel torto e minimizzava.


COWT14

Apr. 11th, 2025 11:14 am
 

Settimana: 6

Missione: M1

Prompt: 1° o 2° persona, chiaroveggente

Titolo: Un insolito posto di lavoro

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Lessi l’indirizzo sul post-it. Guardai l’edificio di fronte a me. Lessi di nuovo il post-it. Guardai l’edificio, i numeri civici sulle colonne all’ingresso, la targa con l’indirizzo della via all’angolo di strada appena superato. Controllai anche google maps, se avessi inserito l’indirizzo correttamente. Tornai a guardare l’edificio, il post-it, l’edificio.

Un palazzone di quelli classici, imponenti e regali, che alle grandi aziende piaceva rimodernare e usare come sede centrale. Già attraverso le finestre e le porte girevoli all’ingresso si potevano intravedere uffici ultramoderni e una hall che trasudava “finanza” da ogni quadratino d’intonaco. 

Nella top ten dei posti dove non avrei cercato una chiaroveggente, quello era sicuramente tra i primi tre, forse persino più in alto del palazzo del governo. 

Eppure l’indirizzo sembrava corretto.

Tentai un primo approccio vago, ciondolando davanti l’ingresso. La guardia - l’usciere? il pinguino? - mi squadrò subito come un insetto indesiderato nell’orto. I jeans strappati e la felpa larga non dovevano avergli fatto una buona impressione, abituato come doveva essere alle camicie e ai tailleur.

Entrai solo per evitare di rimanere sotto quello sguardo indagatore più a lungo del necessario.

Nella hall c’erano tappeti, divanetti dall’aria costosa, lampadari di cristallo in stile art déco e una scalinata in marmo a dir poco eccessiva. C’erano anche una fila di receptionist dietro un lungo bancone che mi guardavano con il punto interrogativo negli occhi.

Mi avvicinai ad una di loro, provando un sorriso educato. 

“Buongiorno,” dissi, “è questa-” per fortuna notai in tempo il nome dell’azienda scritto a caratteri cubitali dietro la signorina e mi corressi, “ho un appuntamento con Diana Altea.” 

Ero pronto a sentirmi dire di aver sbagliato posto, girare i tacchi e uscire, invece la receptionist annuì, smanettò sulla tastiera per qualche secondo e annuì di nuovo.

“Prenda l’ascensore da quella parte,” indicò un lato della hall, da dove cominciava un corridoio, “salga all’ottavo piano. L’ufficio della signora Diana si trova sul lato nord, corridoio B.”

Ringraziai, ancora perplesso di essere nel posto giusto, e seguii le istruzioni. Le occhiatacce continuarono per tutto il tragitto, praticamente ogni persona che incrociai si fece la mia stessa domanda: “Cosa ci facevo lì?” Ma nessuno mi fermò.

Vagai nel corridoio fino a trovare apparentemente la giusta targa. Lessi il nome inciso sulla lastra di vetro opaco. Guardai l’ufficio. Era il più grande del piano, faceva angolo. Lessi di nuovo la targa.

Sarei rimasto ad interrogarmi lì fuori per altri dieci minuti, scosso dal dubbio viscerale di bussare o meno, se nonché la porta si spalancò per lasciare affacciare una donna.

Era alta nei suoi tacchi, elegante in un tailleur color crema e stupenda con i lunghi capelli mossi lasciati liberi sulle spalle. Era ben diversa dalla prima e ultima volta in cui l’avevo vista, rannicchiata sull’ambulanza e avvolta da una coperta anti-panico.

“Jo, sei in ritardo,” disse Diana e mi tirò dentro all’ufficio per un braccio.

Farfugliai un saluto, forse anche una mezza spiegazione, mentre ancora tentavo di accostare le due immagini che avevo di lei.

Diana si sedette sulla poltrona girevole dietro l’ampia scrivania di vetro, facendomi segno di accomodarmi su una poltroncina di fronte a lei. Spostò documenti, faldoni e tastiera per lasciare dello spazio libero sul tavolo tra di noi, poi aprì un cassetto e ne tirò fuori un mazzo di carte. Lo appoggiò sulla scrivania.

Erano carte usurate dall’utilizzo, in uno stile arzigogolato e dai colori intensi, scuri. In quel luogo, stonava tanto quanto me.

“Facciamo in fretta, ho un meeting fra dieci minuti.”

Certo, un meeting. 

“Che lavoro hai detto che fai?”

Diana mi guardò male, intimandomi con un gesto secco di sedermi, così da cominciare la lettura.

Cinque minuti dopo, uscii dall’ufficio più confuso di come ci ero entrato, con un nuovo appuntamento per approfondire la questione: a detta di Diana, le carte non si erano mai state così poco chiare prima e voleva andare in fondo alla questione. Non ero sicuro di volere la stessa cosa. Le prove che ero stato morto in passato cominciavano ad accumularsi e non avrei potuto chiamarle coincidenze o errori ancora per molto.


COWT14

Apr. 11th, 2025 11:14 am
 

Settimana: 6

Missione: M3

Prompt: Il trono vuoto

Titolo: Il trono vuoto

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


La Regina di Spade era morta e Ombra si sarebbe quasi aspettato che il suo trono andasse in pezzi con lei. 

Non aveva potuto assistere di persona alla rovina della grande condottiera, sfortunatamente, ma gli avevano detto che era stata epica. Una trappola magistrale, in cui era caduta con tutta l’armatura. Si era dovuto accontentare dei resoconti di Non-ti-scordar-di-me e dei racconti pomposi degli strilloni nelle piazze. 

Neanche Fey aveva potuto assistere, e quindi raccontargli dell’accaduto. Una piccola parte di lui, quella che ancora teneva alle persone, ne era felice: assistere alla morte di un genitore a cui si vuole bene non è una ferita che guarisce. Non che torturarsi perché non gli si è stato vicino nei suoi ultimi momenti sia meglio.

Il trono nella sala principale è ancora al suo posto, seppur vuoto. Lucido e affilato, con l’alto schienale argentato e la struttura in cristallo. Nessun cuscino, un sovrano non deve essere morbido e non deve esserlo neanche il suo trono, come alla piaceva ricordare. 

Ah, come se la durezza di un re si misurasse da quanti cuscini mettesse sotto il sedere. 

Ombra sorrise tra sé, avvicinandosi alla piattaforma sopraelevata. Quella mostruosità di seduta, algida e scomoda, tutta cristallo lucente e riflessi metallici, gli stava particolarmente antipatica. Non riusciva a decidere se preferisse vederla in frantumi in favore di un nuovo trono, o sedercisi sopra così com’era, lo spirito della Regina di Spade fatto sedia, per far rigirare nella tomba la vecchia strega.

“Vuoi provare a sedertici anche tu?”

Ombra girò la testa di scatto verso l’origine di quella voce. L’aveva riconosciuta. Anche non l’avesse fatto, le sue ombre non lo avevano avvertito del pericolo perché evidentemente non ce n’era nessuno. 

Fey era seduto a terra dietro l’ultima colonna della navata principale, nascosto nella sua ombra. Dalla posa, al timbro della voce, alle linee tirate del viso, tutto in lui urlava un’amarezza che stonava con il suo aspetto regale.

Gesticolò verso il trono vuoto. “Da stamattina almeno cinque alfieri lo hanno fatto. Mezzanotte ci è rimasto talmente tanto che ho pensato si fosse addormentato.”

Ombra si avvicinò abbastanza da ricatalogare i tratti del viso da stanchi a disperati. “Te ne stai nascosto sperando di cogliere in flagrante tutti i traditori?”

Fey sbuffò una risata triste. “Se la lealtà si misurasse solo su questo, le prigioni sarebbero traboccanti e io regnerei su una Sogno vuota.” Gesticolò di nuovo verso il trono, continuando però a dargli le spalle. “Dimmi il nome di una sola persona in questa città che non vorrebbe sedere lì sopra.”

Ombra allungò una mano per accarezzargli i ciuffi di capelli che gli scendevano sulla fronte, poi la pelle delle tempie e infine scese su una guancia.

“Lo sto guardando ora.” 

Fey allontanò la testa come se la sua mano scottasse. 

“Una volta incoronato ufficialmente, potrò finalmente realizzare i miei progetti,” disse, come probabilmente si ripeteva da quando era finito il periodo di lutto.

Ombra non concesse la grazia di illudersi ancora. “Hai già provato a sedertici?”

Non ottenne risposta, ma non ce ne fu bisogno.

Non aspettò che trovasse una scappatoia, lo afferrò per entrambe le mani e lo fece alzare. Lo accompagnò fino al trono, vincendo la sua reticenza con lievi carezze sul dorso delle mani e una presa che non ammetteva repliche. Per convincerlo a sedersi, dovette momentaneamente distrarlo con un bacio.

“Visto? Non è stato così difficile,” disse alla fine, osservando il suo pupillo.

Fey sedeva su quel trono come fosse fatto di aghi appuntiti e stonava con il suo stile quanto una farfalla su una ragnatela. Sembrava pronto a saltare giù in qualsiasi momento.

Ombra tornò ad accarezzargli il viso, più per impedire che scappasse via che per altro. “Sta tranquillo, ci procureremo qualche cuscino. Ti ci abituerai in fretta.”

Non sembrava proprio, ma per sua fortuna non avrebbe dovuto farlo.


COWT14

Apr. 7th, 2025 11:40 pm
 

Settimana: 6

Missione: M2

Prompt: 05. Un sacchetto di plastica

tiene i nostri due costumi bagnati

ce li siamo dimenticati

nella macchina che è rimasta sotto al sole per tutta l’estate

ad ottobre li ho ritrovati

(La tana del granchio – Bresh)

Titolo: Conchiglie senza perle

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Era il primo di ottobre e Andrea sarebbe dovuto rientrare già da due settimane. Due settimane di scuola saltate. Due settimane a trascinare l’estate. Due settimane di cielo ingrigito, stanco, come se anche lui avesse bisogno di una pausa. 

Andrea infilò la chiave nella serratura della vecchia punto grigia, parcheggiata in un angolo del giardino da giugno. L’aveva usata per arrivare alla baia e da allora non l’aveva più toccata. Non gli era servita: c’erano le biciclette, le barche, le camminate a piedi nudi sulla sabbia. 

Quando aprì lo sportello, una zaffata d’aria stantia gli fece arricciare il naso e chiudere gli occhi per un momento. Quando li riaprì, un sacchetto di plastica chiuso sul sedile del passeggero catturò subito la sua attenzione. 

Gli fece lo stesso effetto di calpestare un riccio di mare. 

Attraverso la plastica semitrasparente si intuivano già i colori, ma sciolse comunque il nodo per vedere all’interno.

Due costumi da bagno. Il suo, a righe blu. E quello rosso di Luca.

Fu come premere play su un lettore di videocassette. Ricordò il pomeriggio in cui erano andati alla cala alla fine degli stabilimenti balneari, quella che si raggiunge solo dalla cima della scogliera, scivolando sulle rocce. Avevano riso, si erano spinti in acqua, avevano fatto a gara a chi tratteneva il respiro più a lungo. 

E c’era stato un momento. Un secondo, forse meno, in cui si erano guardati con una verità nuda addosso. Non si erano baciati. Non avevano detto niente. Ma Andrea sapeva, da allora, che Luca lo aveva capito. Si erano riconosciuti, due conchiglie senza perle in un paese che non sapeva che farsene di loro.

Poi erano tornati. Avevano lasciato i costumi in macchina, infilati in quel sacchetto, promettendosi "li laviamo domani". 

Luca era ripartito due giorni dopo.

"È stata un’estate bellissima," aveva scritto, e nient’altro. 

Andrea prese il sacchetto tra le mani, lo rigirò tra le dita. I costumi erano morbidi, quasi umidi e avevano l’odore di mare. Li strinse al petto per un attimo. Gli venne da ridere, poi quasi da piangere. 

Se quel momento non era il perfetto riassunto della sua estate.

Richiuse il sacchetto, lo gettò sui sedili posteriori e si mise al volante. Avviò il motore.

La macchina tossì un po’.

Andrea uscì dal vialetto lentamente, con il finestrino abbassato e il vento che gli scuoteva capelli e vestiti addosso. Si sentiva in balia di un uragano. Mise su una canzone lenta.

Sullo specchietto retrovisore poteva continuare a vedere il sacchetto. Non importò quante curve prese ad una velocità sconsiderata, quello non scomparve e lo accompagnò fino in città.


 6 ottobre

Messaggio da: Luca 🌊
Ore 22:46

“Ehi... scusa il silenzio. Ci ho messo un po’ a capire se era nostalgia o qualcosa di più. Ma ogni volta che penso a quest’estate, finisco sempre nello stesso punto: noi due, la cala, il silenzio dopo le risate. Quello sguardo. Sai quale.

Il mio costume è ancora nella tua macchina, vero? Il tuo pure. Mi piace pensarli lì, uno accanto all’altro. Mi sa che li abbiamo dimenticati apposta.”

 Ore 22:49

“Comunque…
Se ti va, potremmo vederci. Anche solo per parlare.
Oppure per tuffarci di nuovo, anche se fa freddo.”

Dimmi tu.”

 6 ottobre

Messaggio da: Andrea 🌙
Ore 23:02

“Ho letto il tuo messaggio tre volte prima di riuscire a scriverti. Il costume è ancora lì. Ogni tanto li guardo…”

 Ore 23:04

“Anche io ci ho pensato tanto. Lo sguardo, sì… quello me lo ricordo. Non ho mai smesso di tornarci.”

 Ore 23:05

“Se vuoi venire, io ci sono.
Anche se fa freddo.
Anche solo per parlare.”

 Ore 23:10

“Domani sera vado giù al mare. Porto i costumi.
Se arrivi, li mettiamo.
Se non arrivi, li tengo con me ancora un po’.”

COWT14

Apr. 7th, 2025 11:39 pm
 

Settimana: 6

Missione: M2

Prompt: 01. An old man by a sea shore at the end of day

gazes the horizon with sea winds in his face

Tempest-tossed island, seasons all the same

anchorage unpainted and a ship without a name

(The Islander – Nightwish)

Titolo: La nave senza nome

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Un’altra tempesta è appena finita, lasciando dietro di sé un cielo terso di un azzurro cangiante e la terra satura come una spugna. Il terreno è più scivoloso, quasi melmoso, e rende la camminata verso la spiaggia particolarmente rischiosa per Arthur. 

L’uomo osserva la strada dalla finestra. La collina dove si trova la sua casa è ammantata di sottili fili d’erba tutto l’anno, che si fanno più radi man a mano che scendono verso la spiaggia, per lasciare spazio alla sabbia. Le stradine che la circondano sono sottili ferite bianche su un tappeto verde chiaro e ricordano le scie di spuma sulla superficie del mare. All’orizzonte, le nuvole cariche di pioggia sono ancora visibili, anche se si stanno allontanando verso il mare aperto.

Decide che farà il giro largo. Impiegherà più tempo e si stancherà di più, ma almeno non rischierà di scivolare e trovarsi a terra. È sicuro che non riuscirebbe più a rialzarsi.

Prende il cappello, cerca di annodarsi la sciarpa e lascia perdere quando non riesce a sollevare abbastanza le braccia per un secondo giro intorno al capo. Recupera il bastone da passeggio, il suo preferito, quello con la punta larga e gli sticker a forma di conchiglie attaccate sull’asta. Prima di uscire, lancia uno sguardo alle cornici attaccate alle pareti. 

Non gli restano che cornici, ormai.

Appena mette piede fuori dalla porta, il vento della sera lo saluta con un entusiasmo evitabile, schiaffeggiandogli la faccia. Porta con sé l'odore dell’oceano e il canto dei gabbiani che bazzicano giù al porto.

Arthur cammina fino alla spiaggia, il bastone che affonda nel terreno morbido, i tratti sdrucciolevoli che lo costringono a piccoli passi. Quando finalmente affonda i piedi nella sabbia è un sollievo.

Si dirige verso la sedia che ha portato laggiù due o tre anni fa - non ricorda di preciso quando, le stagioni gli sembrano tutte uguali ormai, costellate da tempeste. La seduta scricchiola tanto quanto lui, ma regge ancora.

Il sole ha iniziato a tramontare proprio in quel momento, ed è facile da guardare persino per i suoi occhi stanchi. Il cielo comincia a dipingersi di colori spettacolari, ancora in grado di sorprenderlo.

Persino la carezza del vento è più sopportabile, Arthur lascia che gli scompigli i capelli e giochi con la sua sciarpa.

Solo dopo qualche minuto di pacifica contemplazione, si accorge che quella sera c’è qualcosa di diverso. È il mare: è calmo come vetro, come non lo è mai dopo una tempesta.

E dopo il mare, si accorge anche di un’altra stranezza. Una nave all’orizzonte. Non è grande, ma distinta, elegante, bianca come le piume dei gabbiani. Non ha vele, avanza lenta, punta dritta sulla riva. 

Quando è abbastanza vicina da superare la prima barriera di scogli, vira e mostra ad Arthur il fianco. Sulla prua, nessun nome inciso, nessuna bandiera. 

Arthur si alza in piedi, sentendo il cuore battere come non succedeva da anni. Qualcosa dentro di sé cambia. 

Qualcosa lo pervade da capo a piedi. Non è paura. È come riconoscere una vecchia canzone dimenticata, o l’odore di casa dopo un lungo viaggio.

Non c’è nessuno a bordo. Nessun volto, nessuna voce, ma Arthur sa. Quella nave è per lui.

Sorride, guarda un’ultima volta il tramonto; poi si avvicina lentamente alla riva. 

Il vento gli spettina i capelli grigi, gli asciuga gli occhi lucidi.

Il suo bastone affonda nella sabbia bagnata e lì rimane, incagliato. Arthur non perde tempo a tirarlo via, lascia la presa e procede da solo, l’acqua già alle ginocchia.

Un passo ed è alla cintola.

Un altro passo e gli arriva alle spalle.

La nave sembra improvvisamente molto più vicina. Arthur allunga una mano e, appena sente il legno solido sotto le dita, si lascia andare al mare.


COWT14

Apr. 7th, 2025 11:38 pm
 

Settimana: 6

Missione: M4

Prompt: Cuore

Titolo: Il meccanico

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Le giornate di pioggia erano solitamente una manna per gli affari: le protesi meccaniche mediocri si arrugginivano con l’umidità, cominciavano a stridere e a fare resistenza, spingendo i proprietari a cercare una buona officina bionica. C’erano molte protesi mediocri in giro. Per un motivo che Eli non si spiegava, la gente preferiva acquistare pezzi prefabbricati dalle grandi catene, spendendo poco sul momento per poi pagare dieci volte tanto le riparazioni durante gli anni, piuttosto che farsi fare una protesi di miglior qualità su misura nelle officine. Meglio per i suoi affari, per carità, però non se lo spiegava.

Non appena le prime gocce avevano cominciato a cadere, aveva acceso i riscaldamenti e i deumidificatori nella stanza e cominciato a sgomberare l’ambiente. Aveva portato dal magazzino più pezzi di ricambio possibile, in leghe di carbonio e di silicio, e tre taniche piene di olio lubrificante. Aveva recuperato anche una nuova fiasca di detergente, pulito gli attrezzi per le parti meccaniche e messo a sterilizzare quelli per le parti biologiche. 

Il primo cliente era entrato qualche minuto dopo, la gamba bionica che cigolava ad ogni passo.

Sei ore dopo, Eli era esausto ma soddisfatto come non gli capitava da un po’. Aveva guadagnato l’equivalente di tre giorni lavorativi normali.

Non accennava a smettere di piovere e, di quel passo, anche l’indomani sarebbe stata una giornata molto redditizia. 

La porta dell’ingresso si aprì per l’ennesima volta, lasciando entrare una folata di vento, gocce di pioggia fino al tappeto davanti il bancone e una figura quasi troppo larga per l’uscio. 

Eli allungò il collo per guardare meglio. 

L’uomo che era appena entrato rabbrividì dentro il suo cappotto fradicio, il cappello gocciolante calato ben bene sulla testa e due enormi lastre di metallo tenute a mo’ di sandwich con le braccia. Ruotò per chiudere la porta e la luce si rifletté sulle lastre.

Eli inspirò bruscamente. Non erano lastre separate, ma ali metalliche. Le piume sembravano incollate le une sulle altre tanto erano ritratte, le giunture accartocciate su sé stesse, i pistoni contratti. L’attaccatura alla schiena risultava invisibile, nascosta sotto il cappotto, ma la lunghezza delle fessure lasciava intuire un’apertura alare notevole.

Conosceva un solo meccanico nel continente in grado di realizzare, adattare e innestare appendici non umane. Un genio, da cui avrebbe tanto voluto poter imparare. L’idea di metter mano ad una delle sue opere gli diede il capogiro.

Si affrettò a raggiungere l’ingresso. “Benvenuto da Ripley&Rosh, problemi con la pioggia?”

Il nuovo cliente gli sorrise mesto, praticamente un’ammissione di colpa. Da vicino sembrava molto più giovane di quanto avesse preventivato, poco più che un ragazzo. 

Gli fece segno di consegnargli il cappotto e poté ammirare un giro completo d’ali, prima di dover distogliere lo sguardo malvolentieri per appendere il soprabito e il cappello zuppi. Ne approfittò anche per portare un asciugamano al ragazzo.

“Grazie,” disse questi, che nel frattempo si era avvicinato ad uno dei radiatori, e lo accettò con sollievo evidente. 

L’asciugamano era troppo piccolo per avvolgerci le spalle, soprattutto visto l’ingombro, ma sufficiente a tamponare il viso e i capelli scuri. Due occhi limpidi come vetro guardarono Eli da sotto il morbido cotone, ricambiando per la prima volta la curiosità.

Erano due occhi notevoli, dovette ammettere con sé stesso. Riuscirono a distrarlo dalle ali. 

“Avrei bisogno di una sostituzione di valvola,” disse il ragazzo, restituendo l’asciugamano. 

Per quanto fosse una richiesta a dir poco comune, in quel caso stridette nella testa di Eli come la peggiore delle guarnizioni. Qualcosa non portava. Quelle ali erano firmate Officina Noventa. Non erano solo di ottima qualità, erano eccelse. Quell’uomo non poteva avere più di venticinque anni e, anche se le avesse impiantate alla nascita, probabilmente non avrebbero avuto bisogno di manutenzione per altri venticinque anni. Figurarsi una sostituzione completa. 

Eli tornò a guardare il suo cliente, stavolta con occhio professionale. Alle ali non serviva proprio nulla e non c’erano altre protesi in vista o intuibili sotto la camicia umida e i pantaloni morbidi di tweed.

“Che tipo di valvola?” 

“Una valvola cardiaca.”

Oh.

Gli organi interni non erano impegnativi quanto appendici o arti interspecifici, ma richiedevano comunque un certo livello di abilità. Eli era fiero di annoverarsi tra i pochi in città a padroneggiare quella branca della bionica. Tuttavia un’operazione su un cuore meccanico era… inusuale. I cuori impiantati erano sempre di ottima qualità, costosi e progettati per durare una vita.

Ali divine e un cuore difettoso. Che cliente peculiare gli era capitato.

Eli lo fece accomodare sul lettino, recuperando dei sostegni imbottiti per sistemare le ali in modo che non fossero d’intralcio - semi-aperte e sciolte erano ancora più belle e, cielo, era troppo invadente chiedergli a cose finite di fargliele studiare?

“Posso darti del tu?” Chiese. Sarebbe stato un intervento lungo e intimo, meglio togliersi d’impiccio le formalità.

“Certo. Posso fare altrettanto?”

Eli annuì con un sorriso e gli chiese il nome.

“Mi chiamo Vincent.”

“Bene, Vincent, quando sei pronto slacciati pure la camicia.”

Vincent non perse un secondo di tempo, portando le dita sui bottoni con una calma efficienza che suggerì ad Eli o una totale assenza di pudore o una certa familiarità con quel tipo di procedure. Nel secondo caso, non lasciava presagire niente di buono sul suo cuore.

I lembi della camicia finirono a svolazzare oltre i bordi del lettino, mentre un petto tonico e pallido si svelò ai suoi occhi. Dalle clavicole all’ombelico era un’unica distesa uniforme di pelle chiara, ad eccezione di un piccola area grande quanto un palmo, a sinistra dello sterno. Lì, una placca di carbonio si innestava sul tessuto vivo in modo brusco, circondata da una rete di micro-cicatrici.

Eli lavò le mani con l’alcool e ne avvicinò una alla placca. “Posso?” Chiese e, una volta ricevuto il permesso, saggiò con la punta delle dita il punto di innesto. Bastava una lieve pressione per sentire delle aderenze. Un lavoro mediocre, dunque.

Puntò tutte le luci sul petto di Vincent ma, prima di aprire il guscio di carbonio, si rivolse ancora una volta al ragazzo.

“Sto per cominciare e per un po’ nessuno dei due potrà andare da nessuna parte. Sei comodo? Posso darti delle coperte, se hai freddo. Vorrei che rimanessi il più rilassato possibile, posso mettere della musica o darti qualcosa da stringere tra le mani se può aiutarti.”

Il viso di Vincent si aprì in un’espressione sorpresa. Sorrise, un po’ incerto, come incerto fu il “sono apposto, grazie” con cui gli rispose. Poi arrossì un poco e con tono più fermo aggiunse: “della musica sarebbe fantastica”.

Eli recuperò uno dei suoi dischi preferiti per lavorare, una serie di sinfonie dal ritmo pacato e senza virtuosismi, e lo fece girare, impostando un volume basso.

Tornò alla sua postazione cominciò a cercare la cerniera per aprire il guscio.

“Malattia cardiaca o incidente?” Chiese, mentre scorreva le fibre di carbonio. Trovata la giunzione, applicò pressione finché la chiusura ermetica non cedette e la placca si aprì. Controllò Vincent.

Aveva chiuso gli occhi, ma sembrava abbastanza rilassato. Si prese del tempo per rispondere.

“Entrambi, in un certo senso,” disse infine. Poi, più titubante, “i miei genitori credevano nel potere della prevenzione.”

Eli non commentò. Ciò che stava vedendo lo preoccupava e andava contro qualsiasi concetto di “prevenzione” avesse mai preso in considerazione. 

Al di là della placca, in una piccola cella dalle pareti squadrate, un cuore artificiale pulsava a ritmo della pioggia battente. Era grande meno di un pugno, aveva le sfumature cromate dell’ossidazione e le sue piccole pompe scattavano con un po’ troppa rigidità per i gusti di Eli. 

Dopo un check-up generale della pressione e del flusso, osservò meglio le valvole. La tricuspide era chiaramente allentata, non si chiudeva bene, causando una perdita di spinta di almeno il quaranta percento. Ricostruirla avrebbe richiesto molto più tempo che non sostituirla.

Non era solo quello il problema, però. Lo stato generale delle giunture lasciava molto a desiderare, con abrasioni sui punti di contatto più ampi e incrostazioni saline tra i tubi. Contò almeno sei bulloni che avevano bisogno di un’avvitata, altri sei di cuscinetti nuovi e un paio di pannelli estensibili dovevano essere ricalibrati. Quel cuore era stanco, per non dire obsoleto - per non dire malandato.

“La tua faccia mi fa preoccupare, mec.” Vincent provò a sorridere, ma stavolta non gli uscì un granché. Si lasciò sfuggire dei piccoli scatti alle ali e alle dita. “C’è qualcosa che non va?”

Eli si affrettò a rassicurarlo. “Nulla che non sia in grado di aggiustare. C’è solo un po’ più di lavoro del previsto.” 

Gli strinse una mano con la propria. Vincent era giovane e aveva un cuore che era una vergogna per qualsiasi meccanico. Come fosse finito con un tale rottame, Eli non avrebbe saputo dirlo e non era sicuro di volerlo sapere. L’ultima cosa che voleva era caricarlo di ulteriori pesi.

“Posso sostituire la valvola subito e senza fermare il cuore. Vorrei anche fare qualche altra sostituzione, con il tuo permesso, e ricalibrare il ritmo di spinta.” Fece una pausa, valutando se aggiungere l’ultimo pensiero che gli frullava in testa. “Vincent, voglio essere sincero: questo cuore andrebbe sostituito.”

Vincent sospirò. “Non è così facile. Non me lo posso permettere ora.”

“Ci sono dei contributi statali per-”

“Non posso accedere a quel tipo di aiuto.” 

Non aggiunse altro. Eli non chiese. Era solo un ragazzo con un cuore malandato.

Gli strinse nuovamente la mano. Vincent contraccambiò la stretta, guardandolo come se lo stesse tirando a riva. 

“Andrà tutto bene. Per ora, aggiustiamo questo cuore. Dopo, discuteremo di un piano più a lungo termine.” 

Ed Eli si sarebbe assicurato che un piano effettivamente ci fosse.


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