Missione: M2
Prompt: Divergenza
Titolo: Formiche ai piedi di un elefante
Fandom: My Hero Academia
Rating: sfw
Warning: /
Note: OC
[...] Lago di Shizuoka, Musutafu. È appena arrivata la conferma dell’attacco in corso alla diga sul lato sud. Il gruppo ostile non è stato ancora identificato, ma testimoni oculari hanno avvistato almeno mezza dozzina di supercattivi mai visti cooperare prima d’ora. Tra questi, spiccano i famigerati Bye-Bites e Victor. Le forze dell’ordine sono sul posto e si stanno occupando dell’evacuazione dei civili, mentre le agenzie di heroes hanno inviato i loro migliori professionisti per respingere l’attacco e preservare l’integrità della diga. Purtroppo si temono danni alla struttura e, per scongiurare un possibile disastro, il sindaco e il Consiglio per la Pubblica Sicurezza stanno valutando proprio in questo momento di richiedere l’intervento dell’esercito. Per ulteriori dettagli, l’inviato sul campo Taneo Tokuda. [...]
[...] Siamo all’ingresso del parco, alle nostre spalle si vede chiaramente la diga e i combattimenti che imperversano ormai da quasi un’ora. La centrale idroelettrica è stata la prima ad essere presa di mira. Tutto il personale della struttura è ormai stato evacuato, grazie a una manovra magistrale degli eroi e delle forze dell’ordine che hanno liberato anche chi era stato preso in ostaggio. Ora la preoccupazione maggiore è quella di un cedimento della diga stessa. I villains, infatti, hanno concentrato i loro attacchi e aumentato la potenza di fuoco. Sappiamo che Little Giant sta arrivando come supporto, ma sembra che anche i nemici abbiano chiamato i rinforzi: Domino è apparso non più di cinque minuti fa e sta mettendo in seria difficoltà i veterani. Eccolo! Ecco Little Giant, mentre cresce e si pone a difesa della diga. Nonostante sia un novellino, ha già dimostrato un promettente… [...]
Little Giant sapeva bene che ogni metro guadagnato in altezza era una tacca sulla scala del dolore che avrebbe sperimentato più tardi. Nel migliore dei casi, lo attendeva una serata di immobilità forzata e cena a base di analgesici.
Sospirò lievemente attraverso la maschera. Ne avrebbe fatto volentieri a meno. I dolori della crescita sono tragici quando cresci e ti rimpicciolisci di dieci metri nel giro di poche ore.
Eppure non c’era niente che si potesse fare: al momento, Musutafu aveva bisogno che fosse alto più di un ponte, gambe e braccia come pilastri, massiccio e inamovibile quanto una montagna.
Si spinse qualche passo più avanti, fino a toccare le pareti della diga. Sotto i suoi piedi sfilarono transenne accartocciate come fogli di giornale, aiuole sradicate e blocchi di cemento irregolari. Anche qualche essere umano, ma si costrinse a non soffermarsi su di loro, identificarli, aiutarli. Aveva un compito, e non era quello.
Qualche metro in più. I muscoli tiravano mentre si allungavano insieme al tessuto del costume. Dodici metri. Ancora un po’. Alzò la testa al cielo, le vertebre scricchiolarono. Forse riusciva ad arrivare a quindici.
“Continua così, piccoletto!”
Kamui Woods, o meglio zio Shin, gli passò sotto il braccio, fluttuando aggrappato a uno dei suoi rampicanti. Si aggrappò alla sua mano, dandogli delle pacche incoraggianti su un polpastrello che Little Giant non riuscì a percepire.
Era difficile conciliare l’immagine del casalingo appassionato di giardinaggio, le unghie sempre sporche di terra e la felpa impolverata, con quella del supereroe che si trovava davanti. Non fosse stato per il tono incoraggiante e familiare, se lo sarebbe scrollato di dosso come una zanzara. Invece, ricambiò il saluto.
“Ce la fai a crescere ancora un po’?” Suo zio gli indicò la passerella che orlava il bordo superficiale della diga. Anche alzando le braccia non sarebbe arrivato a toccarlo. “Dai che ce la fai.”
Il buonsenso gli urlava di no. Superati i quindici metri non si parlava più di dolori della crescita, ma di tortura medievale su un tavolo di stiramento. Ne avrebbe risentito per giorni.
Qualcosa gli toccò la caviglia. Lo sentì appena, ma un rapido sguardo in basso bastò per trovare una volante della polizia schiantata sul suo piede. La battaglia a terra continuava a imperversare e da lassù non era in grado di capire chi stesse vincendo.
Anche Kamui Woods si riscosse e, puntati i piedi sul suo polso, si diede una spinta sufficiente per tornare dove c’era più bisogno di lui.
Little Giant fece ciò che sapeva fare meglio. Crebbe ancora un po’, ancora un po’, forza, un centimetro alla volta ed ecco che sono gigante.
Abbracciò la diga come una mosca sul parabrezza. Per i primi tre secondi, pensò di poter fare la differenza. Ci credette, davvero.
Quando era in quella forma, un elefante tra le formiche, una parte di lui non poteva fare a meno di sentirsi onnipotente. Era una parte piccola, meschina e infantile, che si premurava di tenere in un angolino con la faccia al muro, ma a volte sfuggiva al suo controllo e gridava euforica. Guarda quanto siamo grandi, gridava. Potremmo fare di tutto, gridava. Chi mai potrebbe fermarci?
Poi i tre secondi di mania di onnipotenza passarono e la parte razionale prese il sopravvento. Era attaccato ad una cavolo di diga gigantesca, a tenere chissà quanti milioni di metri cubi d’acqua al loro posto. Sentiva tutti quei milioni di metri cubi d’acqua spingere sotto l’orecchio, al di là dello strato di cemento che ora sembrava sottile quanto una lastra di vetro. Prima di poterselo impedire, tremò. Se la diga avesse ceduto… Cosa mai avrebbe potuto fare lui con i suoi quasi venti metri?
Si girò schiena al muro e l’azzurro del cielo gli ferì gli occhi. Era una bella giornata, come non se ne vedevano da un po’. Se aguzzava gli occhi, poteva vedere gli elicotteri della stampa svolazzare a debita distanza e Musutafu, oltre il parco e la campagna, uno strano animale d’acciaio che assisteva immobile e preoccupato.
La cosa migliore che poteva fare per la diga, decise, era uno scudo. Letteralmente.
Diede due pacche incoraggianti alla struttura. “Mi raccomando, non mollare,” le disse, premurandosi di tenere il volume della voce al minimo. Poi si gettò con una mano su una carica di esplosivi con cui un tirapiedi si stava divertendo da matti, spedendola a detonare in aria molto più a valle.
Alla sua sinistra partirono dei razzi verso una colonna portante. Slittò con la schiena e cercò di pararne più che potè. Più della metà degli spuntoni andò a conficcarsi nella sua gamba e nel suo fianco. Masticò un’imprecazione tra i denti. Non conosceva il tizio mascherato già occupato ad armare un’altra carica, ma fu più che felice di calpestarlo sotto il piede.
Qualcosa gli passò vicino all’orecchio, mancandolo per un soffio. Un buco annerito profondo mezzo metro svettava dove un attimo prima c’era la sua testa. Un altro tizio mascherato, di certo non un collega, agitava le braccia su una pedana sopraelevata e alle sue spalle un blocco di calcestruzzo rinforzato prese a fluttuare in aria. Stava caricando il prossimo colpo.
Little Giant scattò di lato, la memoria muscolare che prendeva il sopravvento di fronte a una minaccia imminente. Poi la ragione scalzò l’istinto e lo tirò lì dov’era prima. Il telecineta non lo aveva mancato la prima volta: mirava alla diga. Avrebbe di nuovo mirato alla diga.
Il suo compito era proteggerla.
Non fece in tempo ad alzare le mani per schermarsi. Il blocco di terra lo colpì al centro della fronte, mandandolo a sbattere con la nuca sulla parete alle sue spalle. Il cervello gli rimbalzò dentro la testa come una pallina da ping-pong e per poco non finì con il sedere a terra, troppo disorientato per badare a cose come l’equilibrio.
Si toccò la testa cauto, chiudendo gli occhi. Sperava che dopo un bel respiro profondo avrebbe smesso di vederci doppio. Il tessuto elastico non si era lacerato, grazie al cielo, ma sentiva già formarsi un bernoccolo della grandezza di una palla da demolizione, sia davanti che dietro.
Riaprì gli occhi quando il pensiero di un altro attacco si fece strada tra le trame del dolore. Qualcuno, fortunatamente, aveva preso le sue parti, concedendogli di riprendere fiato per un attimo.
Kamui Woods spedì il telecineta oltre la balaustra della piattaforma sopraelevata con un calcio ben assestato.
Il villain riuscì a rallentare la propria caduta con chissà quale trucco mentale, ma niente potè quando Kamui Woods gli piombò sulla schiena a piedi pari, fiondandosi con i suoi rampicanti. Schiena fratturata, sicuramente.
Little Giant fissò il proprio sguardo sul piccolo cratere appena nato per ritrovare la stabilità e, probabilmente, fu solo per questo che notò il movimento delle rocce. Lo notò prima di tutti, prima persino di suo zio, il più vicino, già rivolto verso un’altra battaglia.
Il telecineta - impolverato, dalla tuta sfilacciata e strappata, ma incredibilmente, inspiegabilmente illeso - sbucò fuori dalle macerie con le mani protese verso Kamui Woods come artigli. Little Giant aveva già aperto la sua, deciso a schiacciare quella zanzara fastidiosa prima che potesse fare altri danni. Lo mancò, o meglio, gli sfuggì tra le dita, ma almeno lo allontanò da zio Shin.
Il telecineta si fermò sopra un’altra auto ribaltata, le spalle che si muovevano frenetiche su e giù mentre riprendeva fiato. Il costume che portava sembrava una camicia di forza, piena di cinghie e lacci ma di colore nero, attraverso cui si era fatto strada con le unghie e con i denti. Si guardò attorno.
L’edificio principale della centrale elettrica era in fiamme, ma i vigili del fuoco erano già lì a cercare di contenere i danni e una linea schierata di supereroi spediva indietro chiunque provasse a sorpassarli. I fuochi degli scontri si stavano ormai spegnendo, lasciando feriti da ambo le parti, pochi prigionieri e molti codardi fuggiaschi. La diga ancora torreggiava su tutti loro, inamovibile.
Il villain la guardò, poi tornò a guardare loro. Poi dietro di sé.
Little Giant seppe cosa stava per fare. Si staccò dalla diga e la terra tremò quando vi cadde in ginocchio. Allungò ancora una volta le mani, la loro ombra immensa che si proiettava sul terreno.
“No! Fermo!” Gridò zio Shin.
Il telecineta pazzo si era voltato e correva verso le scale all’entrata del parcheggio sotterraneo. Una nube di polvere si sollevò improvvisamente dai suoi passi e lo avvolse come una nebbia. Little Giant vi immerse le dita e le strinse… sul nulla. La nebbia diventò subito fitta. Agitò la mano cercando di toccare qualcosa, ma della figura scura non c’era più traccia. Ringhiò e non batté il pugno a terra solo perché consapevole dei danni che avrebbe causato alla strada. Parecchia frustrazione, parecchi danni.
Zio Shin gli volò davanti. “Stai bene, piccoletto?” Poi, al suo cenno affermativo, “lascialo andare, lo rintraccerà la squadra verde. Andiamo ad aiutare al centro di comando”.
La battaglia era terminata. Dei criminali, chi non era fuggito era in catene all’entrata del parco, circondato da volanti della polizia e furgoni attrezzati per il trasporto. La centrale idroelettrica non era più in fiamme, anche se chiaramente danneggiata. Perfino a lui, che di ingegneria si intendeva quanto di cucina etnica, bastò uno sguardo per capire che non avrebbe ripreso a funzionare tanto presto. La diga, però, era ancora al suo posto, solo un po’ ammaccata.
Le rivolse un ultimo sguardo. Si sentì piccolo. Mai gli era capitato, in quella forma. Piccolo, circondato, impotente. Ritornare a misura d’uomo fu quasi un trauma.