Spin-off di "Il rumore della felicità"
Oliver solitamente non si masturbava. Sapeva benissimo che la sua media settimanale era inferiore a quella dei suoi coetanei. Il problema non era la mancanza di eccitazione, no, fantasticava più che volentieri su un bel culo o una bocca bagnata; il problema era la difficoltà per arrivare all’orgasmo. Faticava, dio se faticava, perfino da solo doveva aspettare di essere dell’umore giusto e prendersi del tempo e impegnarsi.
La maggior parte delle volte si dava una toccatina e cinque minuti dopo lasciava stare. Altre neanche ci provava: canticchiava mentalmente una canzone di Madonna e via, fastidio risolto.
L’argomento era anche spuntato fuori una sera con Erik, l’ultimo di una serie imbarazzante. Gli aveva offerto un passaggio dopo un lavoro - come cavolo gli era venuto in mente? La gelosia gli aveva rosicchiato lo stomaco per tutto il pomeriggio - e Erik era entrato in auto con una nuvola temporalesca sopra la testa.
Alla sua domanda su cosa fosse successo, aveva rotto il tabù di non parlare dei clienti, a cui solitamente era molto attento, confidandosi con lui. Il clown del giorno, tale represso che era il fratello della ragazza che lo pagava per fingersi il suo fidanzato, si era masturbato guardandolo, nascosto dal tavolo. Ne era sorta una lite di tutto rispetto tra lui, la sorella e il povero Erik che non sapeva di star lavorando doppio al prezzo di uno.
Oliver aveva cercato di addolcire i suoi lineamenti seccati dirottando un po’ la conversazione, magari su qualcosa di altrettanto piccante ma compiacente a Erik. Ed era caduto nella sua stessa rete.
<Vuoi dire che non riesci a venire o che non ti piace quando lo fai da solo? Perché non c’è nulla di male. L’orgasmo non è tutto.>
La nuvoletta temporalesca si era spostata sopra Oliver in men che non si dica. <Stiamo facendo una seduta psichiatrica?>
Erik aveva subito ammorbidito il tono, avvicinandosi in cerca di coccole. <No, certo. E’ solo che se riesco tranquillamente a farti venire io… Non vedo perché non possa riuscirci anche tu.>
“Tranquillamente” era un eufemismo, ma Oliver si era perfino stancato di farglielo notare, o farlo notare a sé stesso.
Poi Erik aveva rovinato tutto chiedendogli di poterlo guardare mentre si masturbava.
<E pensi che così sarà più facile per me venire?>
<Sì.>
No.
Al ché Erik aveva cominciato a sciorinare una imbarazzantissima lista di tocchi, movimenti, combinazioni che, a suo detto, lo facevano impazzire quando li provava su di lui, istruendolo su come darsi piacere. Oliver avrebbe riso fino a casa, se non fosse stato tanto concentrato ad evitare l’autocombustione.
Aveva fatto un tentativo, però, un po’ per curiosità, un po’ per compiacere Erik. Aveva scelto un pomeriggio calmo per sé e pieno di impegni per la sua famiglia, così da tenerli adeguatamente fuori dai piedi. Aveva comprato un lubrificante consigliato da Erik, aveva indossato qualcosa che lo facesse sentire bello, sempre sotto consiglio di Erik, e aveva messo un porno sul laptop.
Con un respiro profondo, si era deciso a iniziare a toccarsi.
Si era fermato subito. Aveva cominciato come avrebbe cominciato la prima voce della lista delle pulizie, un compito non troppo entusiasmante ma che andava fatto.
Si girò a pancia in sotto e seppellì la faccia nel cuscino. Strinse i capelli della nuca tra le dita finché sotto le palpebre non comparvero, in ordine, Brad Pitt, Henry Cavill e Erik. Cominciò a muovere i fianchi sul copriletto.
Armeggiò con il lubrificante, lasciò perdere il video porno quasi subito e allontanò la fretta, l’insicurezza, la frustrazione dalla sua mente. Aveva tempo. Era solo. Tutto ciò che desiderava, doveva solo immaginarlo.
Fu bello, per quindici minuti fu bello e per qualche secondo smise persino di pensare. non aveva mente, era solo un ammasso di carne, brividi e piacere. L’euforia gli infiammò le terminazioni nervose, mentre sentiva, senza ombra di dubbio, l’orgasmo montare.
Il campanello suonò. Mathilda, il cane di sua nonna, abbaiò. <Oliver!> chiamò sua madre, da lontano.
Oliver spinse tutto fuori, rumori e respiro.
il campanello suonò di nuovo, più a lungo. Mathilda non smetteva di abbaiare. <Oliver!> ripeté sua madre. <Vienimi ad aprire! Ho dimenticato le chiavi!>
Era peggio che non venire. Era peggio di dover smettere per noia.
Il campanello continuava a suonare. Oliver percepì distintamente ogni grammo di forza che gli ci volle per smettere di fare quello che stava facendo e correre a lavarsi le mani, ed era tanta forza, avrebbe dovuto essere fiero di sé. Magari sarebbe bastata perfino per non urlare contro sua madre.
Il suo interesse per l'autoerotismo morì quel giorno.