Lo Starbucks era identico agli altri cinque che aveva visitato quel giorno. Perfino la clientela gli sembrava uguale: lo stesso business-man che entrava di fretta, ordinava quattro caffè doppi da portar via e lasciava la mancia senza guardare in faccia il barista; lo stesso gruppetto di studenti immerso nei propri studi ad un tavolo, con gli occhi fissi su uno schermo o sulla pagina di un libro; la stessa coppia di amiche che non sanno come spendere un pomeriggio libero se non con una tazza di cioccolata calda o un milkshake ai frutti di bosco.
Daniel sentì una fitta di scoraggiamento pungolargli il cuore. Portò una mano a sfregarsi sopra le costole, quella stessa mano che osservava ogni volta che aveva bisogno di una spinta. La guardò anche ora. Le linee del palmo facevano da righe alla scritta che tormentava i suoi sogni e che un giorno, sperava, lo avrebbe condotto dalla sua anima gemella.
Strinse il pugno. Aveva qualcuno da trovare e se fosse stato necessario entrare in tutti gli Starbucks del paese, lo avrebbe fatto.
Il campanello appeso alla porta trillò quando lui l’aprì e il familiare odore di caffè tostato investì Daniel in un caldo benvenuto. Il barista dietro il bancone, un ragazzo allampanato con i riccioli castani e occhiali dalla montatura sottile, lo salutò subito con un “Benvenuto da Starbucks, cosa prende?”
La frase a lui più familiare di tutte, quella che impregnava i suoi sogni e le sue speranze, quella tatuata sul palmo della sua mano. Le prime parole che la sua anima gemella gli avrebbe rivolto.
Il suo cuore, inguaribile ottimista, batté più forte. Daniel avrebbe tanto voluto non credere che questa volta sarebbe stata quella giusta, ma non poteva farci niente: una parte di lui si illudeva ad ogni nuovo barista e rimaneva puntualmente ferita quando si rivelava un flop.
Puntò spedito verso il barista. Inutile tergiversare, via il dente, via il dolore. Appena fu a portata delle sue orecchie e sue soltanto, scandì: “Sei tu?”
Il barista, Ian diceva la sua targhetta al petto, lo osservò confuso. Daniel vide la domanda “Ti conosco?” formarsi sulle sue labbra, prima che gli mettesse il palmo davanti agli occhi. A quel punto gli occhi gli si spalancarono di comprensione.
Daniel attese trattenendo il fiato. Ian sembrava una brava persona. Era carino, con l’ombra di qualche lentiggine sul naso e quell’aria da intellettuale mancato. Belle labbra, da baciare.
Ian, però, strinse le labbra in un sorriso mesto, di certo non quello che gli avrebbe rivolto se avesse appena trovato la metà mancante della sua vita. Il cuore di Daniel si contorse come un gattino bagnato.
“Spiacente amico, io sto aspettando che qualcuno ordini un latte macchiato doppio, extra cacao, extra schiuma.”
La delusione gli piovve addosso nonostante tutto, nonostante la prudenza e l’allenamento, nonostante ormai avrebbe dovuto esserci abituato. Ritirò la mano, abbassò lo sguardo.
"Un frappuccino." Pigolò. Non era solito ordinare qualcosa dopo l’ennesimo buco nell’acqua, non aveva così tanti soldi da buttar via, ma adesso ne sentiva il bisogno fisico. O così, o sarebbe scoppiato a piangere di frustrazione di fronte al barista, ordinandogli di chiamare a raccolta tutti i suoi colleghi.
Ian gli mise sotto il mento la sua ordinazione, più un altro piattino con un donut sopra.
"Offre la casa."
Daniel affondò i denti nella ciambella e il suo gusto dolce fu un balsamo per l’anima spezzata.
Ian ancora indugiava di fronte a lui, guardandosi intorno con le belle labbra tirate. Si chinò per appoggiare i gomiti sul bancone, come avrebbe fatto per parlare con un amico.
“Non te ne è capitato uno facile, eh?”
Poteva dirlo forte. Quanti Starbucks c’erano in città? E nella regione? E quanti dipendenti? Dio, chi gli diceva che si trovassero nello stesso stato? Daniel si rituffò sul suo donut.
“Non lo troverò mai.” Si lasciò sfuggire, in un picco di sconforto. Lasciò perdere la ciambella, optando per un sorso caldo di frappuccino.
“Ma no, ma no, vedrai che lo troverai. Non ti arrendere.” Ian battè due manate sul bancone, poi si accorse dello sguardo assottigliato di un collega con una fila di clienti davanti. Lo lasciò con “Buona fortuna.” e corse alla cassa.
Daniel finì il suo frappuccino, cercando dentro di sé la forza a cui si era sempre appellato. Doveva guardare i lati positivi: un candidato in meno, il cerchio si stringeva. In più, ora aveva un delizioso frappuccino e un donut a scaldargli la pancia.
Sì, era stanco. Ma l’alternativa qual era? Mollare tutto? Rinunciare alla sua anima gemella? Era un fallimento che non avrebbe accettato.
Si allontanò dal bancone, andando a pagare. Ian gli offrì davvero lo spuntino e così Daniel gli lasciò una bella mancia nel barattolo. Augurò buona fortuna anche a lui.
Per quel giorno ne aveva avuto abbastanza, decise. Il giorno dopo si sarebbe rimboccato le maniche. Ce l’avrebbe fatta.