![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Settimana: 3 e mezzo
Missione: M1
Prompt: 010. Malinconia, 006. In cima, 001. Brucomela, 009. Lacci delle scarpe, 004. Carta assorbente, 017. Acqua fresca, 014. Senza tregua
Titolo: Tutte le volte che mi hai baciato
Fandom: Originale
Rating: T
Warning: /
Note: /
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Missione: M1
Prompt: 010. Malinconia, 006. In cima, 001. Brucomela, 009. Lacci delle scarpe, 004. Carta assorbente, 017. Acqua fresca, 014. Senza tregua
Titolo: Tutte le volte che mi hai baciato
Fandom: Originale
Rating: T
Warning: /
Note: /
1.
Scappai dall’aula come le avessero dato fuoco. Zaino gettato su una spalla, giubbotto sottobraccio, percorsi il corridoio e le scale che mi avrebbero portato fuori dall’edificio con passo spedito, finché le porte del polo di Economia non si chiusero dietro la mia schiena.
Rilascia un sospiro tremulo. Fu una pessima idea. Sentii il groppo che mi ostruiva la gola salire ad appesantirmi il cervello, man a mano che realizzavo cosa era successo e tutte le sue conseguenze. Il tempo sprecato, la fatica, il calendario da riprogrammare… e che spasso sarebbe stato doverlo dire a James.
Lui mi aspettava nel parcheggio dell’ateneo, appoggiato alla sua auto, cellulare in mano e sopracciglia splendidamente aggrottate. Non si accorse di me finché non mi fermai ad un passo da lui, fino a fargli ombra sullo schermo.
<Finalmente.> Disse e puntò la sua attenzione su di me. <Com’è andata?>
Mi era scappata una lacrima? Magari no, ma forse il labbro mi aveva tremato. Leggermente. O forse avevo il viso talmente pregno di delusione che a James bastò uno sguardo per indovinare.
<Male, direi.>
Fottutamente. Erano tre mesi che preparava quell’esame.
<Cosa ti ha chiesto?>
<Io… te lo dico a casa.>
James non insisté, segno che dovevo fargli davvero pena in quel momento. Non m’importava, volevo solo mettere più distanza tra me e quel maledetto posto.
§
<... E ha anche detto che dovrei proprio cambiare metodo, che “Analisi finanziaria e piani aziendali” ha bisogno di un approccio più sistematico, non si può approssimare.>
Mi strinsi il braccio di James intorno al petto. Volevo affondare nella bolla fatta dal suo corpo e dal morbido divano della sala comune dell’appartamento e rimanerci per sempre.
James mi offrì un biscotto all’anice e un meno confortante <Non dargli retta, è solo un vecchio ammuffito e represso.>
<Quel vecchio ammuffito e represso mette i voti. E boccia.> E aveva bocciato anche me.
Diamine, ero convinto che sarei passato, magari non con il massimo ma ce l’avrei fatta. Avevo invitato James. Volevo portarlo a festeggiare, dopo. Diamine, che figura.
Sospirai per l’ennesima volta e mugugnai per avere un altro biscotto.
<Sono finiti.>
Non era proprio la mia giornata.
Lasciai alzare James solo perché pensavo sarebbe andato a prendermene un altro pacco; lui invece mi tirò a sedere e tentò anche di farmi alzare in piedi.
<No, non ne ho voglia.> Dissi. Fosse dipeso da me, sarei rimasto lì a crogiolarmi nella mia malinconia fino a sera.
James mi guardava male dall’alto della sua posizione, come se avesse voluto mettermi dei carboni ardenti sotto al sedere. Scorgevo una vaga somiglianza con il professor Zaidi.
<Resta qui con me, per favore.>
Interruppe la mia supplica con una bella stretta ai capelli, che mi fece strizzare gli occhi. Quando li riaprii, me lo ritrovai ad un palmo dal naso. Poi neanche a quello. Il tocco delle sue labbra fu leggerissimo, fugace, un battito di ciglia.
<Alzati.> Disse James. Sciolse la presa sui miei capelli e le dita scivolarono via in una carezza. <Seguimi.>
Si allontanò senza aspettarmi. Solo dopo averlo visto sparire oltre la porta, realizzai che era stato il nostro primo bacio. E lo rincorsi.
2.
James mi aveva portato al parco divertimenti fuori città. Era chiaramente il suo modo per tirarmi su di morale, considerato che sapeva quanto mi piacesse e che io sapevo quanto poco lo tollerasse lui.
Facemmo tutto il tragitto in silenzio, James pensando a dio solo sapeva cosa e io a riguardarmi il film mentale del nostro primo bacio. Arrivati a Space Land, avevo fatto una curiosa scoperta: era possibile “consumare” un ricordo. Avevo rivisto talmente tante volte quello in particolare da averlo distorto, imbrattato di fantasie e reso irriconoscibile.
Era mattina tardi, quasi ora di pranzo, e il parco scoppiava di famigliole in gita, adolescenti elettrizzati e coppiette affettuose. James camminava come se avesse l’orticaria alle chiappe e schivava ogni passante attento a non fissarlo negli occhi.
Lo portai sulla ruota panoramica, una delle attrazioni meno frequentate a quell’ora, spedendolo a procurarci il pranzo mentre io mi occupavo di fare la fila. Ci riservammo una cabina tutta per noi e, nel tempo che occorse per arrivare in cima, divorammo i sandwich.
James prese a guardare il panorama appena la cabina si fermò. Avevamo una discreta vista da lassù e le campagne di Granville meritavano di essere guardate in giornate particolarmente terse come quella. Rivolsi mentalmente scusa alla campagna. Avevo occhi solo per James.
Gli era rimasta un po’ di maionese all’angolo di bocca e non riuscivo a concentrarmi su nient’altro. Quella bocca, quelle labbra. Non ricordavo più bene come fossero, le avevo “consumate”.
<Ehi.> Lo chiamai in un sussurro. Eppure eravamo soli. <Quello che hai fatto prima…> James puntò i suoi occhi scuri su di me e sapeva benissimo di cosa stavo parlando. <... Puoi rifarlo?>
Non attesi una risposta per alzarmi dalla seduta e raggiungerlo dalla parte opposta della cabina. James mi baciò proprio quando lasciammo la cima e per tutta la discesa.
3.
La giornata stava scalando velocemente la classifica delle mie migliori, nonostante l’esame non superato. L’euforia doveva avermi dato alla testa a un certo punto, perché proposi di salire sul brucomela. Non so bene perché, sta di fatto che posai gli occhi su quel gioco per bambini e improvvisamente mi immaginai il mio cinico e stoico James sul treno-bruco, entrare e uscire dalla mela, circondato da bambini ridenti, ed era qualcosa che dovevo vedere nella vita.
Mi ci vollero tutte le mie capacità di persuasione. Dovetti usare un mix di suppliche e minacce imbarazzanti, condito da una buona dose di disperazione da esame fallito e alla fine lo presi per esasperazione.
James sbuffò in fila, sbuffò alla cassa sotto le occhiate derisorie del bigliettaio, sbuffò salendo sul brucomela e mi acciaccò un piede con lo sportello della carrozza. Fulminò con lo sguardo ogni bambino che osò additarlo al proprio accompagnatore e riprese a sbuffare come una locomotiva appena il treno partì. Era uno spasso.
Sbuffò finché non entrammo nella mela e approfittai del buio per baciarlo. A quel punto mi diede un morso.
4.
Lasciammo il parco divertimenti verso le cinque, dopo aver provato la maggior parte delle attrazioni e aver gettato la spugna per quelle sopra la mezz’ora di attesa. Ritornare al parcheggio fu abbastanza impegnativo, camminando controcorrente. Nelle ultime ore del pomeriggio l’affluenza sembrava aumentata e per passare dai cancelli d’entrata dovemmo quasi sgomitare.
James inspirò profondamente appena comparvero le prime strisce bianche, sorrise persino e sentii di nuovo il bisogno di strappargli quel sorriso dalle labbra con le mie. Ricambiai, al settimo cielo, James mi scrutò da capo a piedi.
Si fermò improvvisamente. Si piegò sulle ginocchia, allungando le mani verso le mie scarpe, così mi accorsi di avere i lacci sciolti.
Mi impensieriva il fatto che ci fossimo fermati proprio in mezzo alla strada, poi mi accorsi di come si fosse posizionato James e i miei pensieri subirono una brusca svolta. Era in ginocchio ai miei piedi, la testa a un palmo, no, a tre dita dal cavallo dei pantaloni. Concentrato com’era ad allacciarmi le scarpe, non se ne era accorto. Le sue ciocche corvine mi invitavano a infilarci una mano attraverso. Non lo feci, non mi mossi, non respirai.
James strinse l’ultimo nodo e sollevò lo sguardo. Si bloccò anche lui. Il suo viso prese fuoco. Ero sicuro di essere arrossito anch’io, tanto sentivo scottare le guance.
Quando mi sentivo in imbarazzo, mi veniva da ridere, quando ci si sentiva lui, si chiudeva a riccio e scappava e così finimmo a rincorrerci per il parcheggio del parco, James che batteva in ritirata verso la sua auto e io che gli correvo dietro ridacchiando senza fiato.
Saliti in macchina, gli bloccai la mano sulla leva del cambio prima che potesse mettere in moto.
<Scusa, scusami.> Non sapevo per cosa esattamente mi stavo scusando, ma volevo un bacio. Ancora ridacchiavo e cercai la sua bocca con la mia.
<Sei un idiota.> disse James, ma non mi lasciò insoddisfatto.
5.
A casa, l’allegria si smorzò quando ritrovammo Emma e Billy, i nostri coinquilini, e dovetti rispondere alle loro domande sull’esame della mattina. Stavano già facendo cena con del ramen istantaneo sul divano e mi guardarono da sopra i cuscini con commiserazione. James mi chiamò in cucina e comunicò a gran voce che avremmo mangiato nella sua stanza.
<Di cosa hai voglia?> Gli domandai, raggiungendolo ai fornelli.
James si diresse verso il frigo e mi rubò un bacio nel tragitto. Profondo, bagnato, un qualcosa di nuovo rispetto ai precedenti. Lo strinsi a me prendendolo per i fianchi. Poi si staccò e andò a recuperare una caraffa d’acqua.
<Di cosa hai voglia?> Ripetei. Magari questa volta avrebbe risposto. Oppure, ancora meglio, avrebbe replicato la performance precedente.
<Credo di aver visto del prosciutto in frigo.> disse James, mentre puntava il melone abbandonato nel lavandino come una palla all’angolo di un campo da calcio.
Il melone gli sfuggì di mano, rotolando verso il bordo del ripiano e, dato che non avevo smesso un momento di osservarlo, me ne accorsi prima che potesse cadere. Mi lanciai a prenderlo, orgoglioso dei miei riflessi, almeno finché non sentii il rumore della caraffa che si infrangeva a terra.
<Porca miseria!> Dovevo averla urtata con l’altro braccio.
Emma e Billy si affacciarono spaventati alla cucina e James li cacciò con un gesto della mano. I pezzi di vetro erano arrivati in ogni angolo, così come gli schizzi d’acqua.
<Carta assorbente.> James la indicò.
Arretrai con attenzione per prenderla, dopodiché mi accorsi con orrore che James si era messo a raccogliere i vetri a mani nude e sempre a mani nude li teneva in bilico su un palmo.
<Ci sono i guanti sotto il lavandino! Ti prendo un sacchetto.>
<Fermo lì! Sei praticamente scalzo.> Mi guardai i piedi, i miei sandali erano più spessi dei suoi. <Srotola la carta e poggiala dove è bagnato. Non! Premere.>
Incredibilmente, quello a tagliarsi un dito fui io. Guardavo James giocare a genga con i pezzi di vetro e raccogliendo una palla di carta assorbente bagnata urtai una scheggia. Non me ne lamentai troppo, era un misero taglietto e James si ficcò il dito in bocca, prima di avvolgerlo in un pezzetto di carta.
6.
Sapevamo entrambi che quella sera avrei dormito nella camera di James. Non ci accordammo a parole, ma io lo sapevo e sapevo che James sapeva. Stessa silenziosa intesa per la doccia, ero sicuro che ci saremmo lavati insieme tanto quanto che il sole sorgesse a est.
Nel piccolo bagno in comune era difficile lavarsi i denti in due, figurarsi spogliarsi. Con la scusa del poco spazio, James toccò ogni striscia di pelle man a mano che la scoprivo, finché non fui coperto solo di brividi. Io fui più sbrigativo: gli sfilai maglia e pantaloni senza badare al come e perché, desideroso solo di stringerlo a me.
L’acqua fresca ci appiattiva i capelli sulla fronte e si intrufolava in ogni stretta, in ogni bacio. Era inebriante. La bocca di James mi scaldava la gola, il collo, le labbra e poi arrivava l’acqua a spegnere l’incendio. Caldo, freddo, caldo. Avevo i nervi a fior di pelle.
Non fosse stato per la bolletta dell’acqua, sarei rimasto in quel momento per tutta la notte.
7.
James era prepotente anche a letto. Prevedibile. Lui diceva “Girati, metti le mani qui, stringimi, baciami” e tu dovevi seguirlo. Le sue mani mi guidavano verso i punti più sensibili, senza se e senza ma. Il cuoio capelluto mi pizzicava tanto stringevano le sue dita.
Mi baciò finché non fu soddisfatto, finché non vibrai come una corda di violino per lui. Lui che si tendeva allo stesso modo e arricciava il naso quando il piacere era troppo da contenere e aveva gli occhi più languidi che avessi mai visto. Non si fermò neanche allora, non volle fermarsi e a me non passò neanche per l’anticamera del cervello di chiederglielo.
Facemmo l’amore con la foga di chi ha perso tempo, senza tregua. All’alba i polsi ci facevano male e le cosce non ci reggevano neanche a gattoni. Condividevamo lo stesso spazio, in un letto troppo piccolo, lo stesso respiro, lo stesso battito. Dormire sembrava uno spreco, così rimanemmo svegli a bearci del reciproco calore.