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Missione: M3
Prompt: 02. La triade: tre persone hanno una relazione, ciascuno con gli altri due
Fandom: Originale
Rating: G
Warning: /
Note: angst
Lasciatemi affondare
Pov Noah
Quante volte si è ripromesso di spostare le chiavi di casa di Jake sul suo portachiavi? Mai che se ne ricordi, accidenti a lui. Che senso ha averle ricevute, se poi se le dimentica sempre e deve comunque suonare al citofono.
“Chi è?”
È la voce di Steph, distorta dal radiofono ma ancora riconoscibilissima nei suoi toni bassi. Deve essere arrivato prima di lui. Ottimo, almeno non ha scomodato Jake dal letto dove sicuramente è ancora rintanato.
“Sono io, Noah”
La porta si apre con uno scatto metallico.
Reggendo in equilibrio meglio che può il vassoio di pasticcini, la borsa dei libri e il casco della moto, sgattaiola dentro e lascia che il rimbombo del portone che si chiude lo accompagni per la tromba delle scale. Arrivato al secondo piano, trova Steph ad aspettarlo sulla porta.
Nonostante non sia lui, in teoria, quello bisognoso di supporto, sembra una pezza strizzata e sbattuta troppe volte. Ha un’ombra di occhiaie sopra il velo di barba non rasata, la felpa slabbrata del “tanto oggi non esco” e i pantaloni della tuta ricuciti, quelli messi alla festa di halloween a tema Apocalypse Now.
“Ciao, dolcezza” si sporge come può per dargli un bacio. Le labbra secche lo graffiano piacevolmente. “Come va?”
“Peggio di venti minuti fa.”
“Uh?”
Steph scuote la testa e lo libera della shopping bag più pesante. “Non sono riuscito a farlo alzare per la colazione. Né per farsi un bagno, o stare insieme sul divano.” Con un sospiro sconsolato, torna nell’appartamento.
Noah lo segue. “Sta tranquillo, ora risolviamo tutto. Le paste di Frankie’s fanno miracoli” le agitò sotto il suo naso, sperando che il buon odore migliorasse anche il suo, di umore. “Alla peggio, prima o poi dovrà andare in bagno, no?”
***
Pov Stephan
Noah posa il vassoio sul tavolo della piccola cucina e si libera della giacca di pelle in un’unica giravolta.
Gli invidia quella carica, spera solo che non venga risucchiata dal vortice nero in quella casa come è successo alla sua negli ultimi venti minuti.
Lo lascia andare a sondare il terreno in camera. Ha ancora sotto il naso l’odore fragrante dello zucchero lavorato e della crema pasticcera, odore che lo porta a scartare il pacco pasticcero, con solo una piccola punta di senso di colpa. Si merita un diplomatico. Ne ha bisogno, se deve tornare di là e fingere che va tutto bene, che c’è un rimedio per tutto, che per risolvere qualsiasi cosa basta volerlo.
Da un morso al dolce, ma l’impasto sembra molto più amaro del solito. Che pessimo fidanzato che è. Tutte le volte che si è sentito grato per Jake e Noah, e ora che può ricambiare, che tocca a lui essere il porto sicuro della situazione… è un fallimento. Un pessimo fidanzato. Incapace di fare altro se non provare a far uscire Jake dal suo bozzolo con dolci paroline e promesse insignificanti. Gli parla a bassa voce, gli dice che lo ama, che farà tutto ciò che vuole, tutto ciò che lo farà stare meglio; e si sente così inutile quando questo non porta a nessuna reazione. Così odia un po’ Jake per ignorarlo. Poi si sente un mostro per averlo pensato, perché vista la situazione il suo fidanzato la sta prendendo anche troppo bene.
Si sente in colpa perfino per il sapore dolce che rimane sulla lingua, una volta mandato giù l’ultimo boccone. Sospira. Toglie l’incarto e sistema il resto della colazione per tre, una vana speranza.
Prova a raggiungere gli altri due, fermandosi a spiare sull’uscio della porta.
Le tapparelle sono abbastanza alte da illuminare la stanza a giorno, ma non fa differenza considerando che il proprietario se ne sta con le coperte tirate fin sopra la testa. Il resto della camera è un macello a cui non è abitato, una noncuranza verso i propri averi che parla - grida - abbandono e dolore.
Noah sta blaterando qualche frase di conforto, come se leggesse dal suo stesso copione.
“Ha le cuffiette” lo interrompe. Quando ha la sua attenzione, accenna con una mano alle proprie orecchie “quelle bluetooth, le ha messe quasi subito quando ho iniziato a parlargli”.
Noah aggrotta la fronte. Disappunto. Poi senso di colpa e rassegnazione. Stesso copione.
Lascia perdere la pantomima e si azzarda a scuotere il monticello di coperte con una mano.
***
Pov Jacob
È arrivato anche Noah. Non che avesse dubbi. Può sentirlo muoversi per la stanza con passi titubanti, un fruscio di stoffa qua e là, qualche oggetto spostato. Non cerca di riordinare, però. Neanche Steph lo ha fatto.
Attacca a parlare e lo costringe a spingersi gli auricolari più a fondo nelle orecchie, finché i bassi e le percussioni non sovrastano il suo fastidioso ciarlare.
No, non è fastidioso. È dolce e preoccupato e pieno d’amore e voglia di strappargli quel peso di dosso e sbriciolarlo fino a renderlo polvere. Vorrebbe solo avere la forza, ora, per permettergli di farlo.
Ma non ce l’ha, e quindi rock anni ottanta a tutto volume, coperte, buio e solitudine a tenerlo insieme. E che smettessero di scuoterlo, per carità, che aveva già abbastanza nausea così.