Settimana: 4
Missione: M3
Prompt: 05. Ogni volta
Fandom: Originale
Rating: T
Warning: /
Note: scritta a 4 mani con 42 shades of unlikely
Missione: M3
Prompt: 05. Ogni volta
Fandom: Originale
Rating: T
Warning: /
Note: scritta a 4 mani con 42 shades of unlikely
Una combinazione sfortunata
1. Curriculum vs puntualità
Pov: Alex
Pov: Alex
Con un tonfo, dovuto più allo zaino che non a sé stesso, Save prese posto nel sedile del passeggero. “Grazie del passaggio. Te ne devo una.”
Alex minimizzò con una mano, più interessato alla novità dei suoi vestiti piuttosto che a un piccolo debito. Era la prima volta che lo vedeva così elegante. La giacca gli faceva le spalle più ampie, mentre il colletto squadrato della camicia, al contrario di quello delle felpe, gli affilava il mento e lo sguardo. Il look alla businessman gli donava, altroché.
“Figurati.” Recuperò il proprio cellulare dal portaoggetti e glielo passò, sbloccato. “Piuttosto, dov’è che ti devo portare? Mettimelo sul navigatore.”
Save glielo restituì, per poi mettersi la cintura e provare a rilassarsi sul sedile. Non gli venne molto bene quest’ultima parte: dava l’impressione di star seduto su delle uova. Alzò una mano per portarsela alla bocca, il pollice palesemente mangiucchiato. Si fermò a metà movimento e la abbassò. Il tempo ad Alex di accendere l’auto, che l’aveva già rialzata.
Sbirciò lo schermo. “Quindici minuti e siamo lì.” Provò a rassicurarlo. Si infilò in strada senza difficoltà.
“Ho appuntamento fra mezz’ora in realtà.” Disse Save dopo qualche momento. Aveva infilato le mani sotto i pantaloni ingessati.
Quella sì che era una notizia. “Caffè?”
Ci sperava. Sia perché non aveva ancora preso la prima dose della giornata, sia per… un altro motivo.
“Magari dopo.” Un sorriso di scuse, tutto labbra in dentro. Adorabile. “Non vorrei fare ritardo, e ora non manderei giù neanche un sorso d’acqua.”
Alex fu preso dalla sua stessa frenesia di muovere la mano. Era troppo azzardare una carezza rassicurante? Una stretta alla spalla, chessò, un buffetto? Dirottò appena in tempo le dita verso l’aria condizionata.
“Andrai alla grande.” Si concesse, nel tono più sicuro di cui era capace.
Svoltò verso il centro, sperando di incontrare poco traffico e tagliare dritto verso il quartiere degli uffici. Per quanto avrebbe voluto passare più tempo con lui, il modo più facile per tranquillizzarlo era lasciarlo il prima possibile davanti al luogo dell’appuntamento. Magari lo avrebbe aspettato per quel caffè.
Un numero inquietante di auto incolonnate lo sorprese all’ennesima svolta. Non inchiodò solo perché era abituato ad andare piano in quelle vie, tutte incroci, semafori e curve a gomito.
Alex assottigliò lo sguardo e si sporse appena in avanti sul sedile. Non erano solo le auto, c’era anche gente per strada, sul marciapiede ma anche sulla carreggiata. E cartelloni. E bandierine in mano, e giubbotti catarifrangenti, e strimpelli di clacson a festa piuttosto che infuriati.
Al suo fianco, Save gemette. La consapevolezza colpì anche lui un secondo più tardi: una manifestazione di qualche tipo, una parata forse.
Agguantò immediatamente il cellulare e beccò il tratto di strada in questione, indistinguibile dagli altri fino a quel momento sulla mappa, diventare arancione per il traffico.
“Molto utile, coglione.” Disse rivolto al cellulare, pigiando con forza sullo schermo.
Chiuse il navigatore e cercò sulla prima pagina di eventi utile quelli programmati per quel giorno. Era segnalata una marcia per i diritti dei lavoratori proprio dove si trovavano ora. Con mezzi mobili, ma principalmente a piedi, quindi lenta. E a favore dell'aumento dello stipendio minimo, quindi con molta affluenza. Erano fregati.
“Quanto ci tieni a questo colloquio?” Chiese chiudendo l’applicazione, senza il coraggio di guardare l’altro in faccia.
Il silenzio fu una risposta sufficiente.
Alex rimase a osservare l’ingorgo per alcuni momenti, odiandolo con tutto sé stesso. Già normalmente sarebbe stato fastidioso, in quel momento era una tragedia. Tragedia che sentiva consumarsi alla sua destra, in ondate di disperazione sotto forma di testate al poggia-testa.
Guardò l’ora sul cruscotto. Erano partiti in anticipo. Magari il ritardo non sarebbe stato mostruoso, solo seccante “Il curriculum batte la puntualità.”
Save aveva rinunciato a combattere lo sfogo di mangiarsi le unghie. “Io non assumerei mai qualcuno che si presenta in ritardo al primo colloquio. Non credo neanche che glielo farei fare. Andrei avanti con la mia giornata e sarei infastidito dal disturbo, ma anche grato per il tempo recuperato e per un disperato in meno da valutare.”
“Ok, basta. Questa è chiaramente una situazione di causa di forza maggiore!” Indicò la marcia. Non accennava minimamente a diminuire. “Sai cosa? Fai una foto, così hai la prova.” Disse a Save, incoraggiandolo a tirar fuori il proprio telefono.
Si era infilato lui in quella strada. Se non avesse passato la selezione, avrebbe maledetto la marcia per tutta la sera. E forse anche un po’ sé stesso.
2. Cittadini modello
Pov: Alex
Pov: Alex
“Grazie ancora” Save atterrò sul sedile del passeggero. “Non sapevo proprio che inventarmi questa volta.”
Alex gli prese lo zaino dalle mani e lo lanciò dietro, accanto al suo. “Ti do uno strappo volentieri, andiamo praticamente nella stessa direzione.”
Il polo di scienze matematiche distava appena trecento metri da quello di economia. Se non avessero avuto orari settimanali così diversi, avrebbe proposto da tempo di fare sempre il tragitto insieme.
“Se ricapita, o se hai bisogno anche in altri giorni…” Disse comunque, guardando nello specchietto retrovisore, sopra il cruscotto, il pannello di controllo, ovunque tranne che nella sua direzione.
“Davvero? Oh, ma no, non voglio approfittarne…” Non si poteva dire che lo facesse, in effetti, sebbene non ci sarebbero state obiezioni da parte sua.
“È solo che oggi, con questo sciopero del cazzo” Save tornò a mordicchiarsi un’unghia, un vizio che sperava di mettere da parte come lui sperava di smettere di prendere l’auto per andare al supermercato - non sarebbe mai successo. “E la notifica mi è arrivata solo questa mattina! Quell’app funziona quando e come gli pare, dovrei scrivere all’assistenza.”
“Oppure” disse Alex “ti fai dare un passaggio e togli tutto lo sbattimento di mezzo.”
Voleva prendergli la mano, per farlo smettere di martoriarsi le dita. Gliel’avrebbe tenuta per tutto il tragitto, contro la propria gamba. Lasciata solo per cambiare marcia, o forse neanche allora.
Dovette invece accontentarsi di dargli un colpetto sul dorso, mentre lui gli sorrideva. E di continuare a immaginarsi un tocco fantasma mentre guidava.
Gli lasciò scegliere la musica. Insistette perché regolasse l’aria condizionata a suo piacimento. A vederlo aggrapparsi al sostegno dello sportello, lungo una strada a scorrimento veloce, si sforzò di tenersi sotto i cento. Gli chiese le novità giù a wall street e commentarono per cinque minuti buoni la credenza popolare che quelli di economia se la tirassero. Non era solo una credenza. Se la tiravano. Save era unicamente una felice eccezione.
A qualche chilometro dalla traversa giusta, il via vai delle auto si appesantì. I veicoli cominciarono a rallentare sempre di più e, con il senno di poi, Alex avrebbe dovuto capire che c’era qualcosa che non andava. In quel momento, però, era troppo preso dalla conversazione e da Save.
Si fermarono. Alex spinse lo sguardo più in là che poté. C’erano auto spente del tutto - brutto segno - e un lampeggiante, che svettava più in alto del resto dei veicoli, montato su…
“Porca miseria”
Quel tettuccio bianco non poteva che essere di un’ambulanza. E altre luci, più basse, e poche persone in uniformi per strada. Quello era inequivocabilmente un incidente.
Inserì subito la retromarcia. “Forse riesco…” Non fece in tempo ad accendere qualche freccia, però, che un’altra auto gli bloccò il passaggio, incolonnandosi dietro di loro. “Non potevi aspettare, stronzo? Levati!” Gesticolò furiosamente in mezzo all’abitacolo.
“Lascia stare” Save, a sua volta girato all’indietro, gli indicò altre due auto in arrivo parcheggiarsi a catena. “Siamo in trappola.”
Tornò a guardare avanti con impeto, rimbalzando sul sedile. Zittì la radio; la musica pop che fino a un minuto prima era piacevole, ora gli procurava solo ulteriore fastidio.
“Speriamo non sia troppo grave.” Disse Save. “Un po’, grave, perché faremo sicuramente ritardo a lezione…”
“E sarebbe irritante farlo a causa di un graffio, giusto? Questo macello vale almeno una clavicola rotta, cazzo!”
“Giusto, le clavicole rotte sono dolorose… ma non troppo gravi. Non troppo gravi va bene.” Ragionò per un momento con sé stesso. “Siamo pessime persone. Speriamo che qualcuno si sia fatto male. Siamo pessime persone?”
Fu in quel momento che cominciarono a squillare i clacson.
Alex respirò profondamente. “Finché non scendiamo dall’auto e andiamo a rompere noi qualche clavicola, siamo cittadini modello.”
3. Caffè e ruote bucate
Pov: Alex
Pov: Alex
“Mi sdebiterò, prima o poi. Giuro.”
Save non sembrava ancora aver inteso che per Alex era un piacere averlo nella sua auto. Non sapeva se rallegrarsene o meno.
“Portami un caffè la prossima volta e siamo apposto.” Disse, controllando per l’ennesima volta la strada sullo schermo del navigatore. La prossima volta. Gli era sfuggito senza pensarci e ora si ritrovò a sperarci.
Sì, si disse, sicuramente quella non sarebbe stata l’ultima volta che offriva un passaggio all’amico. Purché non andasse come le precedenti.
“Deca, con mezza bustina di zucchero?” Il sorriso vittorioso di Save gli diceva che era sicuro della risposta. Se ne era ricordato.
“Mi conosci.” Era così piacevole, come se gliene avesse regalato uno in quel momento.
Save prese immediatamente a blaterare di un articolo che gli aveva inviato Emily, una sua compagna di corso, l’altro giorno. Parlava di caffè e di modi di berlo, e di come rivelasse quale tipo di personalità ognuno aveva.
Non riusciva a stare fermo sul sedile, né a smettere di gesticolare o sistemarsi la cintura sulla camicia nera. Sembrava una bibita gassata agitata troppo.
Alex spense la radio, nel silenzioso invito a continuare a parlare. Non perché gli interessasse molto questo sito o questa Emily. Solo, era euforico vederlo in quello stato. Gasava anche lui.
“Ora ha cominciato a guardare male tutti quelli che prendono un orzo alle macchinette. Non riesco più a starle vicino, mi viene troppo da ridere. Però lei dice che finora il sito non ne ha sbagliato neanche uno.”
“Uhm, e io come sono? Decaffeinato sta per super affascinante, vero?”
Save rise. “Non ne ho idea.”
“E tu?” Anche lui ricordava: macchiato - molto macchiato, praticamente caffè-latte - e senza zucchero. Chissà se c’era un qualche test di compatibilità tra caffè, tipo l’oroscopo.
“Non lo so! Non ho controllato, non mi interessa. Però ho ancora il link, te lo giro se vuoi.”
Alex fece spallucce.
Stava per proporre una colazione per il giorno dopo, così da rianimare quel che sarebbe rimasto di loro dopo quella sera, quando un’insolita resistenza del volante chiamò di prepotenza la sua attenzione.
L’auto cominciò a tirare verso sinistra. Sotto i suoi piedi, arrivò l’eco di una vibrazione. Riconosceva i sintomi. Li aveva sperimentati giusto una settimana prima.
“No, no, no, no, no, no.” Accese la freccia e rallentò per accostare a destra, impiegandoci il doppio dello sforzo.
“Cosa succede?” Save lo guardò spalancando gli occhi.
Non gli rispose, se non con lo scuotere della testa.
“No, no, no, dai no, porca miseria, non farmi questo.” Spense l’auto e saltò giù. Non dovette fare molta strada per confermare i suoi timori.
La luce di un lampione vicino bastò a illuminare quell’imprevisto che, Alex ne era sicuro, avrebbe rovinato una serata altrimenti idilliaca. Si chinò a osservare la ruota. Passò una mano sopra la gomma finché non sentì l’aria passare attraverso il foro e solleticargli i polpastrelli. Sentì l’impulso di sbattere la testa contro il parafanghi.
Tornò invece da Save, che lo aspettava con la portiera aperta e l’aria più preoccupata di prima.
“Abbiamo bucato.” Si tolse subito quel peso di dosso. La cosa non fece subito presa dell'amico, così specificò: “ruota a terra.”
Ed ecco accendersi la lampadina. “Oh. Hai quella di scorta? Su tutte le auto c’è quella di scorta, giusto?”
Certo. Peccato che non più di una settimana prima, l’avesse usata per sostituire quella anteriore destra, scoppiata quando parcheggiando si era accostato troppo al marciapiede. Non aveva fatto in tempo a recuperarne un’altra di scorta.
Sospirò. Si sporse sopra Save per raggiungere il tasto del triangolo di avvertenza e il proprio cellulare. In un altro momento avrebbe indugiato in quella posizione, magari azzardato uno sguardo in basso per scoprire com’era la vista da lì, magari azzardato anche una finta caduta. Ora non ne aveva la forza morale.
“Devo chiamare un carro attrezzi. Scrivi a Luca che faremo ritardo. Anzi, meglio se ci vengono a prendere.”
4. Aggiungi un posto nell’auto
Pov: Alex
Pov: Alex
“Graz-”
“Non dirlo neanche. Per carità.” Alex gli aprì la portiera, accettando di buon grado la leva del freno a mano infilata in un fianco.
La prima cosa che entrò in auto fu un vassoio di cartone con due tazze di polistirolo. Lo afferrò, permettendo a Save di entrare a sua volta e sedersi, e prese la sua.
“Grazie del caffè.” Deca, con un po’ di zucchero, come piaceva a lui. Lo finì in tre sorsi.
Anche Save prese un sorso del suo, per poi indicargli lo specchietto retrovisore. “La prossima volta ti porto anche un peperoncino da appendere. Ne ho visti alcuni dal tabaccaio, di quelli per scacciare il malocchio.” Prese un altro sorso contemplativo. “Forse più di uno.”
Alex toccò la stringa in ferro della chiave. Si diede anche un’aggiustatina in mezzo alle gambe, giusto per essere sicuri.
Save finì anche il suo caffè e si riprese il cartone per permettergli di accendere l’auto. “Ho controllato il bollettino dell’autostrada, non ci sono né incidenti né lavori in corso al momento.”
“Splendido.” Studiò il quadro delle spie in cerca del più flebile lampeggio rosso. “Io ho fatto il check-up all’auto dieci giorni fa. Se qualcosa non va, li spenno.”
“Ottimo.”
Sembrava il momento ideale per mettersi in marcia.
“Allora andiamo.”
“Andiamo.”
Fece andare su di giri il motore e partì.
Si lasciarono presto i quartieri cittadini alle spalle, poi la periferia con i suoi appartamenti a schiera e le rotonde enormi. A ogni chilometro macinato, Alex sentiva la tensione dei muscoli lasciarlo un poco alla volta. Anche Save, al suo fianco, era visibilmente più rilassato man a mano che il tempo passava.
Dopo più di un’ora di autostrada, un senso di vittoria bizzarro e infantile lo spinse ad esclamare di gioia.
Save rise e il sorriso non lo abbandonò più.
L’auto e il tragitto divennero solo un pensiero di sottofondo. Lasciò vagare libera la mente, alla giornata che li aspettava, a tutte le occasioni che avrebbe avuto per stare con l’altro ragazzo. Forse, forse quella volta gli avrebbe finalmente chiesto di uscire. Forse era la volta buona. Sentiva di poterlo fare, quel giorno.
Era un ottimo giorno. Il cielo sereno, i colori vividi della primavera fuori dai finestrini, le colline ondulate che accompagnavano lo sguardo. Perfino il grigiume dell’asfalto sembrava più allegro e non rovinava l’insieme.
I cartelli blu e verdi si alternavano come fiori sui campi e una macchia inaspettata, marrone, comparve sotto a uno di essi, ad occupare una piazzola di sosta.
Il cervello di Alex ci mise più del dovuto a processare l’immagine, così fuori contesto. La verità colpì duramente e gli fece pigiare il piede sul freno. Non mise neanche la freccia, sterzò bruscamente sulla piazzola di sosta, beccandosi i clacson infuriati della vettura dietro e il grido allarmato di Save.
“Oddio! Ma che cazzo-” Aveva il respiro affiatato e teneva entrambe le mani sul cruscotto. Se non avesse avuto la cintura allacciata, ci avrebbe lasciato i denti.
Una punta di mortificazione lo punzecchiò, ma la macchia continuava ad occupare la maggior parte dei suoi pensieri e, ora, dello specchietto retrovisore.
La indicò con un dito. “Quello lì è un cane?”
“...Cosa?”
Si girò sul sedile. La indicò di nuovo, finché Save non seguì la direzione con gli occhi.
Sul margine della carreggiata, accucciato contro il guard rail, un cagnolone aveva alzato la testa per osservarli a sua volta. Non se l’era immaginato, era proprio un cane.
Scese dall’auto e si avvicinò.
La bestiolina non si mosse se non per riabbassare la testa sulle zampe anteriori. Non era di razza, per quanto ne sapesse di lui. Aveva il pelo lungo del colore della sabbia bagnata e una coda folta che sembrava uno spolverino.
Provò a offrirgli una mano. “Ciao bello.”
Il cane non gli toglieva gli occhi di dosso e non accennò minimamente dell’interesse.
“Usa questo”
Save era dietro di lui, con in mano dei cracker sbriciolati.
Appena se ne riempì la mano, il cane fu molto più interessato a fare la sua conoscenza. Spazzolò le briciole con due avide leccate. Doveva essere affamato. Dio, da quant’è che se ne stava lì?
“Abbiamo dell’acqua?”
Save tornò all’auto senza una parola di nuovo da lui con una bottiglietta semipiena. Gli versò un po’ d’acqua nelle mani a coppa e ne approfittò per accarezzare l’animale.
“Non ha il collare.”
“Potrebbe avere il microchip. Non sembra randagio.”
No, non lo sembrava. Era un po’ impolverato, ma pulito per il resto.
Tutti i timori di Alex si consolidarono. “Non è ancora estate. È a malapena primavera, cazzo!”
Save gli riempì ancora le mani, serio in volto come poche altre volte lo aveva visto. “Lo portiamo con noi?”
“Al Lab Day?”
“Cerco il veterinario più vicino mentre siamo in strada.”
Accettabile. D’altronde, lasciarlo lì non era un’opzione.
Alex si fece riempire le mani per la terza volta. “Faremo ritardo. Di nuovo.”
Save alzò le spalle, con le sue ancora immerse nel pelo del cane. “Almeno questa volta è per una buona causa.”
5. A occhi chiusi
Pov: Save
Non poteva più mentire a sé stesso, quei tragitti in auto con Alex stavano cominciando a minare la sua stabilità mentale.
Succedeva sempre qualcosa che lo costringeva a stare per ore intere, seduto a fianco a lui, soli nello spazio ristretto dell’abitacolo.
E molto più della preoccupazione di bucare appuntamenti, come poi regolarmente accadeva, ad agitarlo era la vicinanza con Alex.
Farfalle nello stomaco non iniziava nemmeno a spiegare il suo problema.
“Ammettilo, ti piace,” mormorò tra sé e sé.
Un uggiolio gli fece abbassare la testa.“Non ti ci mettere anche te, Mirtilla.”
Gli occhi color nocciola della cagnolina si fissarono su di lui. Lo stesso sguardo fiducioso e nudo di Alex; averla attorno ai piedi tutto il tempo aggravava solo il suo problema.
Tirò su il polsino della felpa per controllare un’altra volta l’orologio. Alex era in ritardo. Perlomeno oggi non avevano un orario da rispettare, la loro meta era il laghetto artificiale nascosto in mezzo alle colline, poco fuori città. La scusa era far correre un po’ la Mirtilla in mezzo al verde. L’idea del picnic era venuta ad Alex.
“Così stiamo fuori un po’ di più.”
Si era proposto lui di preparare i panini, cercando di appianare almeno una piccola percentuale dell’enorme debito di passaggi che aveva accumulato con Alex. Anche se lui sembrava sempre troppo contento di scarrozzarlo qua e là, incurante dei continui contrattempi in cui incappavano quando erano assieme. E sempre Alex gli aveva confessato, ridendo, che gli capitavano solo quando era con lui.
Forse aveva tendenze masochiste. Provò ad immaginarselo legato e imbavagliato, alla mercé di una valchiria con la frusta, e scosse la testa.
Non gli tornava.
E allora?
Intanto si stava facendo tardi, e l’esodo della domenica iniziava a diventare una possibilità reale. Alex doveva essere così abituato a quel genere di inconvenienti quando era con lui, da andarseli a cercare volontariamente quando non ci si ritrovava bloccato per caso.
Ancora un enigma. Dopo tanto tempo che si conoscevano.
Era sempre stato convinto che gli automobilisti odiassero le code, ma ad Alex, dopo una prima, giustificata incazzatura, sembrava non importare mai. Anzi, si metteva a chiacchierare per ingannare il tempo, gli toccava una spalla, gli toglieva di bocca le dita perché non se le rosicchiasse troppo.
Gli faceva correre rivoli di sudore lungo la schiena.
All’orizzonte comparve la macchia rossa dell’auto di Alex. Accostò di sbieco nel passo carrabile, mancando per un pelo un paracarro.
“Scusa, scusa, non ho sentito la sveglia.” Alex uscì di corsa dalla macchina, gesticolando come un matto. “Ho saltato la colazione mi sono precipitato qui.” Sorrise. “Prima di arrivare almeno un caffè me lo devi concedere.”
Mirtilla gli andò incontro, gli annusó la mano, poi inizio a slinguazzarla tutta. Alex fece una risatina sommessa e le stropicciò il muso. ”Hey, birbante.” La sua voce era molto tenera, lui se lo immaginò che gli parlava con quel tono e le orecchie gli diventarono caldissime.
“Andiamo che è già tardi, poi aumenta il traffico e ci troviamo in coda come al solito.” Abbassò lo sguardo, tormentandosi una pellicina. Perché doveva sempre farsi male a quel modo? E non si riferiva alla gocciolina di sangue all’angolo dell’unghia.
“Che ti frega, non abbiamo orario per una volta.” Alex si accovacciò e Mirtilla gli mise le zampe addosso, cercando di leccargli la faccia. Lui si tirò indietro ridendo. “Stai buona, birbante.”
“Preferirei passare la giornata al lago piuttosto che in coda.” Gli uscì troppo secco, ma Alex lo guardò da sotto in su con un sorriso colpevole.
“Perché hai sempre ragione?” Alex si tirò in piedi e aprí lo sportello posteriore; sul sedile era stesa una coperta rossa. Prese in braccio la canina, issandola dentro. “Sali, Mirtilla. La riconosci questa macchina? Andiamo a fare una bella gita, così puoi correre un po’.”
Mirtilla fece un uggiolio preoccupato e gli sfiorò il naso con la punta del muso.
“Ma no birbante, andiamo solo a prendere un po’ d’aria buona. Poi torni alla tua bella casetta con Save.” Alex alzò lo sguardo verso di lui. “Non ti potrò mai ringraziare abbastanza di aver deciso di adottarla. Non potevo pensare che finisse in un canile. Vero, birbante?” Mirtilla gli diede un paio di colpetti alla mano e si stese sulla coperta.
“Ma figurati, anzi un po’ di compagnia fa bene anche a me.” Anche se avrebbe preferito un coinquilino umano. Pensó con desiderio a un letto con le lenzuola stropicciate, braccia calde attorno alla vita, due tazze sul tavolo della cucina, inondata dal sole del mattino.
La faccia gli andò a fuoco. Scivoló nel posto passeggero a testa bassa, fingendo di aggiustare meglio lo zaino sul fondo dell’auto per preservare i panini.
Alex si accomodò a fianco a lui, accese l’auto con una sgasata rumorosa e gli rivolse un sorriso da ragazzino in gita. “Si va allora! Destinazione Lago Viola.”
Il suo entusiasmo era contagioso, gli sorrise di rimando. “Sai la strada?”
Alex annuì, immettendosi in carreggiata. “Ogni tanto ci si vado anche con i miei. Mi piace, m'è sempre piaciuto.”
Il silenzio che segui sembrò durare tantissimo. D’istinto inizio a rosicchiarsi l’unghia del pollice cercando disperatamente un argomento. Ma aveva la testa vuota.
Effetto Alex lo chiamava.
“Metto un po’ di musica?" Chiese Alex alla fine.
Deglutì. Andava sempre così, mai che riuscisse a tirar fuori un argomento di conversazione decente.
“Come vuoi,” rispose piano.
Alex gli allungò il telefono sbloccato. “Scegli tu.”
Di male in peggio. “Sei sicuro?”
Alex rise. “Troppa responsabilità?”
“No, è che...“
Alex rise di nuovo. “Cosa vorresti ascoltare?”
La tua voce, pensò, rimanendo ostinatamente zitto.
“Save? Tutto bene?”
“Sì sì, scusami ma sono un po’ sfasato. Mirtilla deve ancora abituarsi alla nuova casa e dorme davvero poco.” Mirtilla aveva passato tutta la notte ad entrare e uscire dalla sua nuova cuccia imbottita. Ma comunque lui non sarebbe riuscito a chiudere occhio, al pensiero della gita di oggi.
“Ma no, mi spiace.” La faccia di Alex si oscurò. “Ora mi sento in colpa. È che i miei hanno posto il veto totale a un cane. Figurati, te la vedi mia madre con Mirtilla a piede libero?”
Gli venne da ridere al pensiero di Enza che scansava la cagnolina dal velluto giallo uovo. “Ci credo. Comunque sono fiducioso che migliorerà. E lei è così carina che le perdono tutto.”
Poi, per Alex farebbe ben altro.
“Sei davvero gentile.” Alex svoltò, seguendo per la superstrada. “Alle volte ti invidio che puoi farti la tua vita, anche se non dev’essere semplice.”
“Ha i suoi alti e bassi.” Ammise studiandosi i polpastrelli. Pensó alla camera libera che teneva sempre chiusa. Sarebbe stata perfetta.
Non avrebbe mai avuto il coraggio di proporlo ad Alex.
Il flusso dei veicoli iniziò ad aumentare. Guardò Alex, sconsolato.
Lui rise. “Dai, è solo un semaforo. Sii fiducioso. Abbiamo passato di peggio.”
Si sbagliava.
Rallentarono progressivamente fino a procedere a passo d’uomo.
“Ma allora è una maledizione.” Alex aggrottò le sopracciglia. “Ok, per la superstrada non ci vuole tanto, poi lì dovrebbe migliorare.” Allungò la mano nella sua direzione; lui lo guardò senza capire.
“Cosa?”
“Il telefono.”
Lo stava ancora stringendo in mano. “Scusa.”
Le dita di Alex sfiorarono le sue mentre si riprendeva lo smartphone. Sussultò.
Per fortuna Alex non si accorse di niente. Lo sbloccò ed aprì il navigatore, poi gli fece scivolare lo schermo sotto gli occhi. La strada era tutta rossa. “Tempo di percorrenza: un’ora.” Gemette. “Ed è tutta colpa mia. Mi spiace.”
“Per il lago?”
“No, per la superstrada. Tutti hanno avuto la nostra idea.”
“Beh, la giornata invitava.” Allungò una mano per accarezzargli il braccio ma si bloccò a mezz’aria. Cosa stava facendo? “Comunque non ti preoccupare, può succedere. Arriveremo solo un po’ più tardi.”
Ma Alex si era già caricato di tutta la responsabilità. “Povera Mirtilla. E povero te che mi devi sopportare.”
Gli venne da ridere. “Pensavo avessimo appurato che sono io la causa di questi contrattempi. Troppe coincidenze, no? ”
Anche Alex rise. “Sì, diciamo che il calcolo probabilistico non è a tuo favore." Sollevò un dito con aria scherzosa "Però almeno ho qualcuno di piacevole con cui trascorrere l’attesa. Pensa se c’era Emily al tuo posto.”
Si guardarono negli occhi per un attimo ed iniziarono a sbellicarsi.
“Sono un cretino,” disse Alex alla fine. Controllò la situazione davanti a loro e la faccia gli si illuminò.
Dio era troppo carino.
E lui era fregato. Fregato.
“Guarda!” La faccia di Alex era estatica, mentre gli indicava un parcheggio libero proprio di fronte a un bar. “È perfetto. Prendiamo questo caffè, aspettiamo che la coda scemi un po’ e poi ripartiamo." La pancia gli brontolò rumorosamente. “Scusa ma se non mangio appena sveglio…“ Gli diventarono le guance rosse.
“Stai male.” Lo interruppe. “Dai, parcheggia. Non vorrei averti sulla coscienza.”
“Io ti adoro” esclamò Alex ridendo. Si guardarono ancora. Il sorriso di Alex lo fece sciogliere. Sapeva che era detto così per dire, ma suonava davvero bene.
§
“Niente cani qui.” La barista secca, protesa oltre il banco, li guardò male. “Sono allergica.”
“Niente cani qui.” La barista secca, protesa oltre il banco, li guardò male. “Sono allergica.”
Si bloccarono sulla porta. Si guardarono delusi. Mirtilla uggioló tristemente ma la donna li guardò peggio.
“Aspettatemi fuori, ci penso io.” Alex gli passò il guinzaglio di Mirtilla ed entrò nel bar. Di lui vedeva solo la nuca, i capelli castani scompigliati. Parlamentò un pochino con la barista; la faccia della donna si ammorbidì a poco a poco e iniziò a trafficare alla macchinetta del caffè. Imbustò cose in un sacchetto. Alla fine, quando Alex si spostò alla cassa, sorrideva. Il fascinoso potere di Alex non aveva limiti, a quanto pareva.
Gli aprì la porta, così che non dovesse fare il giocoliere con i bicchieri di carta nelle mani.
Si sedettero su un muretto lì vicino, ridendo come due imbecilli. Il sole strappava riflessi d’oro dai capelli castani di Alex. Sarebbe morto per affondare le dita nelle ciocche che gli spiovevamo sul viso e spazzargliele via dalla fronte.
“Ecco il tuo caffellatte. Niente zucchero.” Alex gli porse il bicchiere con un sorriso.
“Ti sei ricordato.”
“Infatti non ti ho preso nemmeno la palettina. Però una brioches sì. Con la marmellata di fragole.”
Occhieggió nel sacchetto e il cuore gli fece un tuffo. “Sono le mie preferite. Non si trovano quasi mai. Come lo sapevi?”
Alex alzò le spalle, prendendo un morso del suo pain-au-chocolat. “Forse me l’hai detto te?” Farfuglió con la bocca piena. “Comunque mi ispiravano.”
Poteva significare qualcosa. Oppure lui era solo un illuso. Addentó a sua volta la brioche. Era così buona che gli vennero le lacrime agli occhi. La mandò giù con un sorso di caffellatte.
“Alla fine hai conquistato pure quella tipa orribile.” Gli venne da dire.
“Oltre a chi?” Alex fece un sorrisetto malandrino e si sporse a togliergli una briciola dall’angolo della bocca. Ondate di caldo e freddo lo percorsero tutto, se non fosse stato seduto gli sarebbe caduto ai piedi.
“M-ma. Tutti ti vogliono bene, Alex. Non conosco nessuno a cui stai antipatico.” Un rivolino di sudore gli coló lungo la schiena.
“E tu?” Incalzò Alex.
Si senti la faccia calda. Maledizione.
“I-io?” Stava farfugliando. Si odió con tutte le forze. “Ma che dici? Siamo amici da un sacco.”
“Ma mi vuoi bene?”
Dove voleva arrivare? “Certo che sì, sei sempre super gentile e mi accompagni dappertutto.”
Alex azzannò ancora il suo dolcetto, studiandolo con aria strana. “E basta?”
“Ma certo che no.” All’improvviso gli tornò la voce. “Io ti voglio bene perché sì.” Perché sei troppo carino per essere legale. Ma non poteva dirglielo, giusto? “Ho preso con me Mirtilla, perché ti voglio bene. E perché tutte le volta che la guardo penso a te.”
Alex gli spalancò gli occhi addosso.
Cosa aveva appena detto? Si mise una mano sulla bocca traditrice, ma era già troppo tardi.
"Continua, ti prego." Disse Alex sottovoce.
“Io-Io... Mi piace stare in tua compagnia, sei una delle poche persone che non mi considera uno svalvolato. Mi sembra che con te mi posso rilassare.”
Un sorriso molto tenero incurvò le labbra di Alex. “Sono onorato. E comunque sei uno svalvolato ed è proprio per quello che mi piaci.”
Aspetta.
Si guardarono. Alex fece una risatina nervosa. “Beh che c’è?”
“Niente,” rispose lui con la voce che gli tremava. Bevve un sorso di caffellatte perché aveva la bocca più arida di un deserto.
Si guardarono ancora. In realtà non riuscivano smettere di guardarsi fisso. Alzò la mano per scostare i capelli dalla fronte di Alex e per la prima volta nella vita riuscì a non bloccarsi a metà.
Alex sorrise quando glieli fermò dietro ad un orecchio. “Ma quindi?” Aveva la voce molto bassa. Finalmente allo scoperto, gli occhi di Alex erano fondi, scuri come caffè nero e profumato
“Sì,” disse lui. Non sapeva esattamente a cosa, ma con Alex gli andava bene tutto in fin dei conti. Alex si protese verso di lui, lasciandogli agio di completare il resto del tragitto. Le campane del paradiso gli suonarono in testa quando le loro labbra si sfiorarono.
Chiuse gli occhi.