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Missione: M3
Prompt: 04. La U: due persone hanno una relazione, ciascuno dei due ha una relazione anche con un'altra persona
Fandom: Originale
Rating: T
Warning: prostituzione
Note: /
Oro e pomice
Daron si ripresentò davanti alla porta della camera di Ciel dieci minuti dopo averla chiusa alle proprie spalle, imbarazzato. L’altro ragazzo Ne fu comprensibilmente sorpreso.
“Ho dimenticato la mia chiave qui.” Disse e indicò la scrivania dove era quasi certo di averla lasciata.
Se ne era reso conto quando aveva incrociato Enma lungo il corridoio, che scendeva con la propria in mano per andare a lasciarla all’ingresso.
E infatti eccola lì, tra un tagliacarte e una pila di manoscritti, luccicante alla luce del sole morente. La prese in mano. I dentelli arrotondati si erano fatti familiari nella sua presa, così come la consistenza levigata della pomice. Si rispecchiava molto in quella pietra piena di venatura e sfumature grigio cenere. Meno affilata dell’argento, più soffice del ferro, ma con lo stesso nucleo resiliente.
Aggiustò gli occhielli del fiocchetto e si assicurò che tutti i lacci con le perline tenessero bene i loro nodi. Magari prima di scendere sarebbe passato in camera propria per aggiungere una spruzzata di profumo, non ne era rimasta che una debole traccia, per lo più di agrumi freschi. Meditava da qualche giorno di aggiungere anche un pizzico di olio d’argan, come quello che usava per i capelli. Ciel lo adorava e credeva che anche ai clienti sarebbe piaciuto.
Le braccia di lui lo avvolsero da dietro e il viso andò ad immergersi tra i ricci sulla sua nuca, lì dove il calore rendeva il profumo più forte. Un’ombra di un bacio vorace, lo sfiorare di denti che prometteva di divorarlo.
“Pensavo fossi tornato per il bis.”
Le mani avevano preso a muoversi indolenti sul suo corpo, carezze leggere che però sapevano dove toccarlo, dove gli piaceva di più. La sorpresa era sparita velocemente, sostituita da una fame palpabile.
“Mi piacerebbe” Daron si appoggiò al petto che lo sorreggeva, debole alle sue lusinghe, “ma sono quasi certo che questa sera Nikolai verrà a trovarmi. Che cosa dovrei dirgli, se non riuscirò neanche a camminare dritto?”
La chiave gli venne sottratta dalle mani. Con un abile gioco di mano, Ciel la sostituì con la sua.
Era l’unica d’oro tra tutte. Nessun altro usava quel materiale, e non solo per il suo costo. L’oro fissava uno standard di per sé, sbatteva in faccia ai modesti la sua irraggiungibilità e ricordava ai più ricchi che maneggiavano un tesoro elitario, non alla portata di tutti. Ci voleva una certa sicurezza, tutt’altro che frivola, per ammantarsi del metallo dei re.
E Ciel quella sicurezza ce l’aveva. Lo dichiarava apertamente ogni volta che posava la chiave giù all’ingresso, spessa e pesante tra tanti monili fini ed eleganti. La sua era semplice, senza fronzoli non necessari. Senza nastri. Senza pietre preziose. Intarsiata con un motivo di uccelli ad ali spiegate e tanto bastava ad attirare lo sguardo.
Daron adorava sentire quei motivi sotto i polpastrelli, accarezzarli finché non spiccavano il volo.
“Come se dovessi camminare molto.” Disse Ciel, e non aveva tutti i torti. “E poi potresti dirgli semplicemente la verità, quella che io direi a Alicent: che sei stato con me.”
Non era così semplice, e lo sapeva. “Nikolai e Alicent sono molto comprensivi, ma sono comunque clienti. Un conto è sapere che ci frequentiamo e lasciarci le stesse serate libere, un conto e sbatterglielo in faccia ad ogni occasione. Non possiamo rischiare di indispettirli.”
Trovò la forza di staccarsi dal suo abbraccio. La chiave d’oro rimase nella sua mano, l’altra la porto alla sua guancia per lasciarvi un buffetto di scuse.
Ciel sospirò come se stesse scendendo a patti con la più amara delle concessioni. Non era serio - non riusciva a nascondere davvero il sorriso - ma gli fece comunque provare voglia di tornare nel suo abbraccio.
“D’accordo. Ma, per la cronaca, avrei tanto voluto quel bis.” Disse.
Non gli restituì la chiave e Daron non la chiese indietro. Lo seguì fuori dalla porta e insieme si diressero al piano inferiore, unendosi alla fiumana di ragazzi e ragazze che si rendevano disponibili per la serata. una volta arrivati nell’ingresso affrescato, lasciarono ognuno la chiave dell’altro sul tavolo al centro e rimasero a ciondolare per qualche momento, ognuno immerso nei propri pensieri.
Fu istintivo per Daron cercare il compagno sulla parete. Lo avevano dipinto sulla parete al lato sud, supino come se si fosse appena svegliato. Ariel, una delle ragazze, aveva una mano distrattamente appoggiata sulla sua spalla e il suo vestito di intangibile chiffon si allungava fino a coprire anche la nudità di Ciel. I suoi occhi trapassavano la parete e la seconda dimensione. Ricordava quanto l’artista avesse faticato a trovare i pigmenti giusti per replicare quel miscuglio di colori nocciola, verde e ambra.
Alicent aveva detto “Dì al pittore di lasciar perdere, solo Madre Natura è capace di realizzare tali bellezze.”
Daron tendeva a concordare con lei, quando si parlava di Ciel.
“Lei verrà questa notte?” Chiese, strappandolo dalla contemplazione del nuovo vestito di Kaya.
“Probabile, se non la tratterrano in tribunale.”
“Falle i miei saluti.”
Ciel annuì e gli fece segno di incamminarsi. Mancava poco al primo rintocco della sera. Era ora di prepararsi a dovere. Di farsi belli quanto le loro chiavi.