Settimana: 6
Missione: M4
Prompt: Cuore
Titolo: Il meccanico
Fandom: Originale
Rating: sfw
Warning: /
Note: /
Le giornate di pioggia erano solitamente una manna per gli affari: le protesi meccaniche mediocri si arrugginivano con l’umidità, cominciavano a stridere e a fare resistenza, spingendo i proprietari a cercare una buona officina bionica. C’erano molte protesi mediocri in giro. Per un motivo che Eli non si spiegava, la gente preferiva acquistare pezzi prefabbricati dalle grandi catene, spendendo poco sul momento per poi pagare dieci volte tanto le riparazioni durante gli anni, piuttosto che farsi fare una protesi di miglior qualità su misura nelle officine. Meglio per i suoi affari, per carità, però non se lo spiegava.
Non appena le prime gocce avevano cominciato a cadere, aveva acceso i riscaldamenti e i deumidificatori nella stanza e cominciato a sgomberare l’ambiente. Aveva portato dal magazzino più pezzi di ricambio possibile, in leghe di carbonio e di silicio, e tre taniche piene di olio lubrificante. Aveva recuperato anche una nuova fiasca di detergente, pulito gli attrezzi per le parti meccaniche e messo a sterilizzare quelli per le parti biologiche.
Il primo cliente era entrato qualche minuto dopo, la gamba bionica che cigolava ad ogni passo.
Sei ore dopo, Eli era esausto ma soddisfatto come non gli capitava da un po’. Aveva guadagnato l’equivalente di tre giorni lavorativi normali.
Non accennava a smettere di piovere e, di quel passo, anche l’indomani sarebbe stata una giornata molto redditizia.
La porta dell’ingresso si aprì per l’ennesima volta, lasciando entrare una folata di vento, gocce di pioggia fino al tappeto davanti il bancone e una figura quasi troppo larga per l’uscio.
Eli allungò il collo per guardare meglio.
L’uomo che era appena entrato rabbrividì dentro il suo cappotto fradicio, il cappello gocciolante calato ben bene sulla testa e due enormi lastre di metallo tenute a mo’ di sandwich con le braccia. Ruotò per chiudere la porta e la luce si rifletté sulle lastre.
Eli inspirò bruscamente. Non erano lastre separate, ma ali metalliche. Le piume sembravano incollate le une sulle altre tanto erano ritratte, le giunture accartocciate su sé stesse, i pistoni contratti. L’attaccatura alla schiena risultava invisibile, nascosta sotto il cappotto, ma la lunghezza delle fessure lasciava intuire un’apertura alare notevole.
Conosceva un solo meccanico nel continente in grado di realizzare, adattare e innestare appendici non umane. Un genio, da cui avrebbe tanto voluto poter imparare. L’idea di metter mano ad una delle sue opere gli diede il capogiro.
Si affrettò a raggiungere l’ingresso. “Benvenuto da Ripley&Rosh, problemi con la pioggia?”
Il nuovo cliente gli sorrise mesto, praticamente un’ammissione di colpa. Da vicino sembrava molto più giovane di quanto avesse preventivato, poco più che un ragazzo.
Gli fece segno di consegnargli il cappotto e poté ammirare un giro completo d’ali, prima di dover distogliere lo sguardo malvolentieri per appendere il soprabito e il cappello zuppi. Ne approfittò anche per portare un asciugamano al ragazzo.
“Grazie,” disse questi, che nel frattempo si era avvicinato ad uno dei radiatori, e lo accettò con sollievo evidente.
L’asciugamano era troppo piccolo per avvolgerci le spalle, soprattutto visto l’ingombro, ma sufficiente a tamponare il viso e i capelli scuri. Due occhi limpidi come vetro guardarono Eli da sotto il morbido cotone, ricambiando per la prima volta la curiosità.
Erano due occhi notevoli, dovette ammettere con sé stesso. Riuscirono a distrarlo dalle ali.
“Avrei bisogno di una sostituzione di valvola,” disse il ragazzo, restituendo l’asciugamano.
Per quanto fosse una richiesta a dir poco comune, in quel caso stridette nella testa di Eli come la peggiore delle guarnizioni. Qualcosa non portava. Quelle ali erano firmate Officina Noventa. Non erano solo di ottima qualità, erano eccelse. Quell’uomo non poteva avere più di venticinque anni e, anche se le avesse impiantate alla nascita, probabilmente non avrebbero avuto bisogno di manutenzione per altri venticinque anni. Figurarsi una sostituzione completa.
Eli tornò a guardare il suo cliente, stavolta con occhio professionale. Alle ali non serviva proprio nulla e non c’erano altre protesi in vista o intuibili sotto la camicia umida e i pantaloni morbidi di tweed.
“Che tipo di valvola?”
“Una valvola cardiaca.”
Oh.
Gli organi interni non erano impegnativi quanto appendici o arti interspecifici, ma richiedevano comunque un certo livello di abilità. Eli era fiero di annoverarsi tra i pochi in città a padroneggiare quella branca della bionica. Tuttavia un’operazione su un cuore meccanico era… inusuale. I cuori impiantati erano sempre di ottima qualità, costosi e progettati per durare una vita.
Ali divine e un cuore difettoso. Che cliente peculiare gli era capitato.
Eli lo fece accomodare sul lettino, recuperando dei sostegni imbottiti per sistemare le ali in modo che non fossero d’intralcio - semi-aperte e sciolte erano ancora più belle e, cielo, era troppo invadente chiedergli a cose finite di fargliele studiare?
“Posso darti del tu?” Chiese. Sarebbe stato un intervento lungo e intimo, meglio togliersi d’impiccio le formalità.
“Certo. Posso fare altrettanto?”
Eli annuì con un sorriso e gli chiese il nome.
“Mi chiamo Vincent.”
“Bene, Vincent, quando sei pronto slacciati pure la camicia.”
Vincent non perse un secondo di tempo, portando le dita sui bottoni con una calma efficienza che suggerì ad Eli o una totale assenza di pudore o una certa familiarità con quel tipo di procedure. Nel secondo caso, non lasciava presagire niente di buono sul suo cuore.
I lembi della camicia finirono a svolazzare oltre i bordi del lettino, mentre un petto tonico e pallido si svelò ai suoi occhi. Dalle clavicole all’ombelico era un’unica distesa uniforme di pelle chiara, ad eccezione di un piccola area grande quanto un palmo, a sinistra dello sterno. Lì, una placca di carbonio si innestava sul tessuto vivo in modo brusco, circondata da una rete di micro-cicatrici.
Eli lavò le mani con l’alcool e ne avvicinò una alla placca. “Posso?” Chiese e, una volta ricevuto il permesso, saggiò con la punta delle dita il punto di innesto. Bastava una lieve pressione per sentire delle aderenze. Un lavoro mediocre, dunque.
Puntò tutte le luci sul petto di Vincent ma, prima di aprire il guscio di carbonio, si rivolse ancora una volta al ragazzo.
“Sto per cominciare e per un po’ nessuno dei due potrà andare da nessuna parte. Sei comodo? Posso darti delle coperte, se hai freddo. Vorrei che rimanessi il più rilassato possibile, posso mettere della musica o darti qualcosa da stringere tra le mani se può aiutarti.”
Il viso di Vincent si aprì in un’espressione sorpresa. Sorrise, un po’ incerto, come incerto fu il “sono apposto, grazie” con cui gli rispose. Poi arrossì un poco e con tono più fermo aggiunse: “della musica sarebbe fantastica”.
Eli recuperò uno dei suoi dischi preferiti per lavorare, una serie di sinfonie dal ritmo pacato e senza virtuosismi, e lo fece girare, impostando un volume basso.
Tornò alla sua postazione cominciò a cercare la cerniera per aprire il guscio.
“Malattia cardiaca o incidente?” Chiese, mentre scorreva le fibre di carbonio. Trovata la giunzione, applicò pressione finché la chiusura ermetica non cedette e la placca si aprì. Controllò Vincent.
Aveva chiuso gli occhi, ma sembrava abbastanza rilassato. Si prese del tempo per rispondere.
“Entrambi, in un certo senso,” disse infine. Poi, più titubante, “i miei genitori credevano nel potere della prevenzione.”
Eli non commentò. Ciò che stava vedendo lo preoccupava e andava contro qualsiasi concetto di “prevenzione” avesse mai preso in considerazione.
Al di là della placca, in una piccola cella dalle pareti squadrate, un cuore artificiale pulsava a ritmo della pioggia battente. Era grande meno di un pugno, aveva le sfumature cromate dell’ossidazione e le sue piccole pompe scattavano con un po’ troppa rigidità per i gusti di Eli.
Dopo un check-up generale della pressione e del flusso, osservò meglio le valvole. La tricuspide era chiaramente allentata, non si chiudeva bene, causando una perdita di spinta di almeno il quaranta percento. Ricostruirla avrebbe richiesto molto più tempo che non sostituirla.
Non era solo quello il problema, però. Lo stato generale delle giunture lasciava molto a desiderare, con abrasioni sui punti di contatto più ampi e incrostazioni saline tra i tubi. Contò almeno sei bulloni che avevano bisogno di un’avvitata, altri sei di cuscinetti nuovi e un paio di pannelli estensibili dovevano essere ricalibrati. Quel cuore era stanco, per non dire obsoleto - per non dire malandato.
“La tua faccia mi fa preoccupare, mec.” Vincent provò a sorridere, ma stavolta non gli uscì un granché. Si lasciò sfuggire dei piccoli scatti alle ali e alle dita. “C’è qualcosa che non va?”
Eli si affrettò a rassicurarlo. “Nulla che non sia in grado di aggiustare. C’è solo un po’ più di lavoro del previsto.”
Gli strinse una mano con la propria. Vincent era giovane e aveva un cuore che era una vergogna per qualsiasi meccanico. Come fosse finito con un tale rottame, Eli non avrebbe saputo dirlo e non era sicuro di volerlo sapere. L’ultima cosa che voleva era caricarlo di ulteriori pesi.
“Posso sostituire la valvola subito e senza fermare il cuore. Vorrei anche fare qualche altra sostituzione, con il tuo permesso, e ricalibrare il ritmo di spinta.” Fece una pausa, valutando se aggiungere l’ultimo pensiero che gli frullava in testa. “Vincent, voglio essere sincero: questo cuore andrebbe sostituito.”
Vincent sospirò. “Non è così facile. Non me lo posso permettere ora.”
“Ci sono dei contributi statali per-”
“Non posso accedere a quel tipo di aiuto.”
Non aggiunse altro. Eli non chiese. Era solo un ragazzo con un cuore malandato.
Gli strinse nuovamente la mano. Vincent contraccambiò la stretta, guardandolo come se lo stesse tirando a riva.
“Andrà tutto bene. Per ora, aggiustiamo questo cuore. Dopo, discuteremo di un piano più a lungo termine.”
Ed Eli si sarebbe assicurato che un piano effettivamente ci fosse.