Apr. 7th, 2025

COWT14

Apr. 7th, 2025 11:38 pm
 

Settimana: 6

Missione: M4

Prompt: Cuore

Titolo: Il meccanico

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Le giornate di pioggia erano solitamente una manna per gli affari: le protesi meccaniche mediocri si arrugginivano con l’umidità, cominciavano a stridere e a fare resistenza, spingendo i proprietari a cercare una buona officina bionica. C’erano molte protesi mediocri in giro. Per un motivo che Eli non si spiegava, la gente preferiva acquistare pezzi prefabbricati dalle grandi catene, spendendo poco sul momento per poi pagare dieci volte tanto le riparazioni durante gli anni, piuttosto che farsi fare una protesi di miglior qualità su misura nelle officine. Meglio per i suoi affari, per carità, però non se lo spiegava.

Non appena le prime gocce avevano cominciato a cadere, aveva acceso i riscaldamenti e i deumidificatori nella stanza e cominciato a sgomberare l’ambiente. Aveva portato dal magazzino più pezzi di ricambio possibile, in leghe di carbonio e di silicio, e tre taniche piene di olio lubrificante. Aveva recuperato anche una nuova fiasca di detergente, pulito gli attrezzi per le parti meccaniche e messo a sterilizzare quelli per le parti biologiche. 

Il primo cliente era entrato qualche minuto dopo, la gamba bionica che cigolava ad ogni passo.

Sei ore dopo, Eli era esausto ma soddisfatto come non gli capitava da un po’. Aveva guadagnato l’equivalente di tre giorni lavorativi normali.

Non accennava a smettere di piovere e, di quel passo, anche l’indomani sarebbe stata una giornata molto redditizia. 

La porta dell’ingresso si aprì per l’ennesima volta, lasciando entrare una folata di vento, gocce di pioggia fino al tappeto davanti il bancone e una figura quasi troppo larga per l’uscio. 

Eli allungò il collo per guardare meglio. 

L’uomo che era appena entrato rabbrividì dentro il suo cappotto fradicio, il cappello gocciolante calato ben bene sulla testa e due enormi lastre di metallo tenute a mo’ di sandwich con le braccia. Ruotò per chiudere la porta e la luce si rifletté sulle lastre.

Eli inspirò bruscamente. Non erano lastre separate, ma ali metalliche. Le piume sembravano incollate le une sulle altre tanto erano ritratte, le giunture accartocciate su sé stesse, i pistoni contratti. L’attaccatura alla schiena risultava invisibile, nascosta sotto il cappotto, ma la lunghezza delle fessure lasciava intuire un’apertura alare notevole.

Conosceva un solo meccanico nel continente in grado di realizzare, adattare e innestare appendici non umane. Un genio, da cui avrebbe tanto voluto poter imparare. L’idea di metter mano ad una delle sue opere gli diede il capogiro.

Si affrettò a raggiungere l’ingresso. “Benvenuto da Ripley&Rosh, problemi con la pioggia?”

Il nuovo cliente gli sorrise mesto, praticamente un’ammissione di colpa. Da vicino sembrava molto più giovane di quanto avesse preventivato, poco più che un ragazzo. 

Gli fece segno di consegnargli il cappotto e poté ammirare un giro completo d’ali, prima di dover distogliere lo sguardo malvolentieri per appendere il soprabito e il cappello zuppi. Ne approfittò anche per portare un asciugamano al ragazzo.

“Grazie,” disse questi, che nel frattempo si era avvicinato ad uno dei radiatori, e lo accettò con sollievo evidente. 

L’asciugamano era troppo piccolo per avvolgerci le spalle, soprattutto visto l’ingombro, ma sufficiente a tamponare il viso e i capelli scuri. Due occhi limpidi come vetro guardarono Eli da sotto il morbido cotone, ricambiando per la prima volta la curiosità.

Erano due occhi notevoli, dovette ammettere con sé stesso. Riuscirono a distrarlo dalle ali. 

“Avrei bisogno di una sostituzione di valvola,” disse il ragazzo, restituendo l’asciugamano. 

Per quanto fosse una richiesta a dir poco comune, in quel caso stridette nella testa di Eli come la peggiore delle guarnizioni. Qualcosa non portava. Quelle ali erano firmate Officina Noventa. Non erano solo di ottima qualità, erano eccelse. Quell’uomo non poteva avere più di venticinque anni e, anche se le avesse impiantate alla nascita, probabilmente non avrebbero avuto bisogno di manutenzione per altri venticinque anni. Figurarsi una sostituzione completa. 

Eli tornò a guardare il suo cliente, stavolta con occhio professionale. Alle ali non serviva proprio nulla e non c’erano altre protesi in vista o intuibili sotto la camicia umida e i pantaloni morbidi di tweed.

“Che tipo di valvola?” 

“Una valvola cardiaca.”

Oh.

Gli organi interni non erano impegnativi quanto appendici o arti interspecifici, ma richiedevano comunque un certo livello di abilità. Eli era fiero di annoverarsi tra i pochi in città a padroneggiare quella branca della bionica. Tuttavia un’operazione su un cuore meccanico era… inusuale. I cuori impiantati erano sempre di ottima qualità, costosi e progettati per durare una vita.

Ali divine e un cuore difettoso. Che cliente peculiare gli era capitato.

Eli lo fece accomodare sul lettino, recuperando dei sostegni imbottiti per sistemare le ali in modo che non fossero d’intralcio - semi-aperte e sciolte erano ancora più belle e, cielo, era troppo invadente chiedergli a cose finite di fargliele studiare?

“Posso darti del tu?” Chiese. Sarebbe stato un intervento lungo e intimo, meglio togliersi d’impiccio le formalità.

“Certo. Posso fare altrettanto?”

Eli annuì con un sorriso e gli chiese il nome.

“Mi chiamo Vincent.”

“Bene, Vincent, quando sei pronto slacciati pure la camicia.”

Vincent non perse un secondo di tempo, portando le dita sui bottoni con una calma efficienza che suggerì ad Eli o una totale assenza di pudore o una certa familiarità con quel tipo di procedure. Nel secondo caso, non lasciava presagire niente di buono sul suo cuore.

I lembi della camicia finirono a svolazzare oltre i bordi del lettino, mentre un petto tonico e pallido si svelò ai suoi occhi. Dalle clavicole all’ombelico era un’unica distesa uniforme di pelle chiara, ad eccezione di un piccola area grande quanto un palmo, a sinistra dello sterno. Lì, una placca di carbonio si innestava sul tessuto vivo in modo brusco, circondata da una rete di micro-cicatrici.

Eli lavò le mani con l’alcool e ne avvicinò una alla placca. “Posso?” Chiese e, una volta ricevuto il permesso, saggiò con la punta delle dita il punto di innesto. Bastava una lieve pressione per sentire delle aderenze. Un lavoro mediocre, dunque.

Puntò tutte le luci sul petto di Vincent ma, prima di aprire il guscio di carbonio, si rivolse ancora una volta al ragazzo.

“Sto per cominciare e per un po’ nessuno dei due potrà andare da nessuna parte. Sei comodo? Posso darti delle coperte, se hai freddo. Vorrei che rimanessi il più rilassato possibile, posso mettere della musica o darti qualcosa da stringere tra le mani se può aiutarti.”

Il viso di Vincent si aprì in un’espressione sorpresa. Sorrise, un po’ incerto, come incerto fu il “sono apposto, grazie” con cui gli rispose. Poi arrossì un poco e con tono più fermo aggiunse: “della musica sarebbe fantastica”.

Eli recuperò uno dei suoi dischi preferiti per lavorare, una serie di sinfonie dal ritmo pacato e senza virtuosismi, e lo fece girare, impostando un volume basso.

Tornò alla sua postazione cominciò a cercare la cerniera per aprire il guscio.

“Malattia cardiaca o incidente?” Chiese, mentre scorreva le fibre di carbonio. Trovata la giunzione, applicò pressione finché la chiusura ermetica non cedette e la placca si aprì. Controllò Vincent.

Aveva chiuso gli occhi, ma sembrava abbastanza rilassato. Si prese del tempo per rispondere.

“Entrambi, in un certo senso,” disse infine. Poi, più titubante, “i miei genitori credevano nel potere della prevenzione.”

Eli non commentò. Ciò che stava vedendo lo preoccupava e andava contro qualsiasi concetto di “prevenzione” avesse mai preso in considerazione. 

Al di là della placca, in una piccola cella dalle pareti squadrate, un cuore artificiale pulsava a ritmo della pioggia battente. Era grande meno di un pugno, aveva le sfumature cromate dell’ossidazione e le sue piccole pompe scattavano con un po’ troppa rigidità per i gusti di Eli. 

Dopo un check-up generale della pressione e del flusso, osservò meglio le valvole. La tricuspide era chiaramente allentata, non si chiudeva bene, causando una perdita di spinta di almeno il quaranta percento. Ricostruirla avrebbe richiesto molto più tempo che non sostituirla.

Non era solo quello il problema, però. Lo stato generale delle giunture lasciava molto a desiderare, con abrasioni sui punti di contatto più ampi e incrostazioni saline tra i tubi. Contò almeno sei bulloni che avevano bisogno di un’avvitata, altri sei di cuscinetti nuovi e un paio di pannelli estensibili dovevano essere ricalibrati. Quel cuore era stanco, per non dire obsoleto - per non dire malandato.

“La tua faccia mi fa preoccupare, mec.” Vincent provò a sorridere, ma stavolta non gli uscì un granché. Si lasciò sfuggire dei piccoli scatti alle ali e alle dita. “C’è qualcosa che non va?”

Eli si affrettò a rassicurarlo. “Nulla che non sia in grado di aggiustare. C’è solo un po’ più di lavoro del previsto.” 

Gli strinse una mano con la propria. Vincent era giovane e aveva un cuore che era una vergogna per qualsiasi meccanico. Come fosse finito con un tale rottame, Eli non avrebbe saputo dirlo e non era sicuro di volerlo sapere. L’ultima cosa che voleva era caricarlo di ulteriori pesi.

“Posso sostituire la valvola subito e senza fermare il cuore. Vorrei anche fare qualche altra sostituzione, con il tuo permesso, e ricalibrare il ritmo di spinta.” Fece una pausa, valutando se aggiungere l’ultimo pensiero che gli frullava in testa. “Vincent, voglio essere sincero: questo cuore andrebbe sostituito.”

Vincent sospirò. “Non è così facile. Non me lo posso permettere ora.”

“Ci sono dei contributi statali per-”

“Non posso accedere a quel tipo di aiuto.” 

Non aggiunse altro. Eli non chiese. Era solo un ragazzo con un cuore malandato.

Gli strinse nuovamente la mano. Vincent contraccambiò la stretta, guardandolo come se lo stesse tirando a riva. 

“Andrà tutto bene. Per ora, aggiustiamo questo cuore. Dopo, discuteremo di un piano più a lungo termine.” 

Ed Eli si sarebbe assicurato che un piano effettivamente ci fosse.


COWT14

Apr. 7th, 2025 11:39 pm
 

Settimana: 6

Missione: M2

Prompt: 01. An old man by a sea shore at the end of day

gazes the horizon with sea winds in his face

Tempest-tossed island, seasons all the same

anchorage unpainted and a ship without a name

(The Islander – Nightwish)

Titolo: La nave senza nome

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Un’altra tempesta è appena finita, lasciando dietro di sé un cielo terso di un azzurro cangiante e la terra satura come una spugna. Il terreno è più scivoloso, quasi melmoso, e rende la camminata verso la spiaggia particolarmente rischiosa per Arthur. 

L’uomo osserva la strada dalla finestra. La collina dove si trova la sua casa è ammantata di sottili fili d’erba tutto l’anno, che si fanno più radi man a mano che scendono verso la spiaggia, per lasciare spazio alla sabbia. Le stradine che la circondano sono sottili ferite bianche su un tappeto verde chiaro e ricordano le scie di spuma sulla superficie del mare. All’orizzonte, le nuvole cariche di pioggia sono ancora visibili, anche se si stanno allontanando verso il mare aperto.

Decide che farà il giro largo. Impiegherà più tempo e si stancherà di più, ma almeno non rischierà di scivolare e trovarsi a terra. È sicuro che non riuscirebbe più a rialzarsi.

Prende il cappello, cerca di annodarsi la sciarpa e lascia perdere quando non riesce a sollevare abbastanza le braccia per un secondo giro intorno al capo. Recupera il bastone da passeggio, il suo preferito, quello con la punta larga e gli sticker a forma di conchiglie attaccate sull’asta. Prima di uscire, lancia uno sguardo alle cornici attaccate alle pareti. 

Non gli restano che cornici, ormai.

Appena mette piede fuori dalla porta, il vento della sera lo saluta con un entusiasmo evitabile, schiaffeggiandogli la faccia. Porta con sé l'odore dell’oceano e il canto dei gabbiani che bazzicano giù al porto.

Arthur cammina fino alla spiaggia, il bastone che affonda nel terreno morbido, i tratti sdrucciolevoli che lo costringono a piccoli passi. Quando finalmente affonda i piedi nella sabbia è un sollievo.

Si dirige verso la sedia che ha portato laggiù due o tre anni fa - non ricorda di preciso quando, le stagioni gli sembrano tutte uguali ormai, costellate da tempeste. La seduta scricchiola tanto quanto lui, ma regge ancora.

Il sole ha iniziato a tramontare proprio in quel momento, ed è facile da guardare persino per i suoi occhi stanchi. Il cielo comincia a dipingersi di colori spettacolari, ancora in grado di sorprenderlo.

Persino la carezza del vento è più sopportabile, Arthur lascia che gli scompigli i capelli e giochi con la sua sciarpa.

Solo dopo qualche minuto di pacifica contemplazione, si accorge che quella sera c’è qualcosa di diverso. È il mare: è calmo come vetro, come non lo è mai dopo una tempesta.

E dopo il mare, si accorge anche di un’altra stranezza. Una nave all’orizzonte. Non è grande, ma distinta, elegante, bianca come le piume dei gabbiani. Non ha vele, avanza lenta, punta dritta sulla riva. 

Quando è abbastanza vicina da superare la prima barriera di scogli, vira e mostra ad Arthur il fianco. Sulla prua, nessun nome inciso, nessuna bandiera. 

Arthur si alza in piedi, sentendo il cuore battere come non succedeva da anni. Qualcosa dentro di sé cambia. 

Qualcosa lo pervade da capo a piedi. Non è paura. È come riconoscere una vecchia canzone dimenticata, o l’odore di casa dopo un lungo viaggio.

Non c’è nessuno a bordo. Nessun volto, nessuna voce, ma Arthur sa. Quella nave è per lui.

Sorride, guarda un’ultima volta il tramonto; poi si avvicina lentamente alla riva. 

Il vento gli spettina i capelli grigi, gli asciuga gli occhi lucidi.

Il suo bastone affonda nella sabbia bagnata e lì rimane, incagliato. Arthur non perde tempo a tirarlo via, lascia la presa e procede da solo, l’acqua già alle ginocchia.

Un passo ed è alla cintola.

Un altro passo e gli arriva alle spalle.

La nave sembra improvvisamente molto più vicina. Arthur allunga una mano e, appena sente il legno solido sotto le dita, si lascia andare al mare.


COWT14

Apr. 7th, 2025 11:40 pm
 

Settimana: 6

Missione: M2

Prompt: 05. Un sacchetto di plastica

tiene i nostri due costumi bagnati

ce li siamo dimenticati

nella macchina che è rimasta sotto al sole per tutta l’estate

ad ottobre li ho ritrovati

(La tana del granchio – Bresh)

Titolo: Conchiglie senza perle

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Era il primo di ottobre e Andrea sarebbe dovuto rientrare già da due settimane. Due settimane di scuola saltate. Due settimane a trascinare l’estate. Due settimane di cielo ingrigito, stanco, come se anche lui avesse bisogno di una pausa. 

Andrea infilò la chiave nella serratura della vecchia punto grigia, parcheggiata in un angolo del giardino da giugno. L’aveva usata per arrivare alla baia e da allora non l’aveva più toccata. Non gli era servita: c’erano le biciclette, le barche, le camminate a piedi nudi sulla sabbia. 

Quando aprì lo sportello, una zaffata d’aria stantia gli fece arricciare il naso e chiudere gli occhi per un momento. Quando li riaprì, un sacchetto di plastica chiuso sul sedile del passeggero catturò subito la sua attenzione. 

Gli fece lo stesso effetto di calpestare un riccio di mare. 

Attraverso la plastica semitrasparente si intuivano già i colori, ma sciolse comunque il nodo per vedere all’interno.

Due costumi da bagno. Il suo, a righe blu. E quello rosso di Luca.

Fu come premere play su un lettore di videocassette. Ricordò il pomeriggio in cui erano andati alla cala alla fine degli stabilimenti balneari, quella che si raggiunge solo dalla cima della scogliera, scivolando sulle rocce. Avevano riso, si erano spinti in acqua, avevano fatto a gara a chi tratteneva il respiro più a lungo. 

E c’era stato un momento. Un secondo, forse meno, in cui si erano guardati con una verità nuda addosso. Non si erano baciati. Non avevano detto niente. Ma Andrea sapeva, da allora, che Luca lo aveva capito. Si erano riconosciuti, due conchiglie senza perle in un paese che non sapeva che farsene di loro.

Poi erano tornati. Avevano lasciato i costumi in macchina, infilati in quel sacchetto, promettendosi "li laviamo domani". 

Luca era ripartito due giorni dopo.

"È stata un’estate bellissima," aveva scritto, e nient’altro. 

Andrea prese il sacchetto tra le mani, lo rigirò tra le dita. I costumi erano morbidi, quasi umidi e avevano l’odore di mare. Li strinse al petto per un attimo. Gli venne da ridere, poi quasi da piangere. 

Se quel momento non era il perfetto riassunto della sua estate.

Richiuse il sacchetto, lo gettò sui sedili posteriori e si mise al volante. Avviò il motore.

La macchina tossì un po’.

Andrea uscì dal vialetto lentamente, con il finestrino abbassato e il vento che gli scuoteva capelli e vestiti addosso. Si sentiva in balia di un uragano. Mise su una canzone lenta.

Sullo specchietto retrovisore poteva continuare a vedere il sacchetto. Non importò quante curve prese ad una velocità sconsiderata, quello non scomparve e lo accompagnò fino in città.


 6 ottobre

Messaggio da: Luca 🌊
Ore 22:46

“Ehi... scusa il silenzio. Ci ho messo un po’ a capire se era nostalgia o qualcosa di più. Ma ogni volta che penso a quest’estate, finisco sempre nello stesso punto: noi due, la cala, il silenzio dopo le risate. Quello sguardo. Sai quale.

Il mio costume è ancora nella tua macchina, vero? Il tuo pure. Mi piace pensarli lì, uno accanto all’altro. Mi sa che li abbiamo dimenticati apposta.”

 Ore 22:49

“Comunque…
Se ti va, potremmo vederci. Anche solo per parlare.
Oppure per tuffarci di nuovo, anche se fa freddo.”

Dimmi tu.”

 6 ottobre

Messaggio da: Andrea 🌙
Ore 23:02

“Ho letto il tuo messaggio tre volte prima di riuscire a scriverti. Il costume è ancora lì. Ogni tanto li guardo…”

 Ore 23:04

“Anche io ci ho pensato tanto. Lo sguardo, sì… quello me lo ricordo. Non ho mai smesso di tornarci.”

 Ore 23:05

“Se vuoi venire, io ci sono.
Anche se fa freddo.
Anche solo per parlare.”

 Ore 23:10

“Domani sera vado giù al mare. Porto i costumi.
Se arrivi, li mettiamo.
Se non arrivi, li tengo con me ancora un po’.”

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