Settimana: 5
Missione: M1
Prompt: storia a bivi
Titolo: Appuntamento a Hogsmeade
Fandom: Harry Potter
Rating: sfw
Warning: /
Note: (A) è la prima parte del racconto comune, (B) e (C) sono due finali alternativi tra loro
OCs, Léon Bhatia → Grifondoro, Sebastian Doyle → Serpeverde
C’è una piccola NdA anche a fine racconto
(A)
L’aria frizzantina di novembre invogliava a starsene sotto le coperte in Sala Comune, piuttosto che uscire all’aria aperta. Detto questo, neanche una bufera invernale avrebbe impedito a Léon di farsi il suo giro a Hogsmeade.
Adorava Hogwarts, ovviamente, e nel castello si sentiva a casa tanto quanto a Breda, ma gli mancava la libertà di poter uscire quando e come voleva. D’estate, dai suoi, impiegava la maggior parte del suo tempo in lunghe passeggiate vicino al mare. La scuola metteva a disposizione degli studenti lunghi cortili e parchi belli ampi, certo, ma non era la stessa cosa.
Le uniche occasioni per lasciare effettivamente il castello erano le rare gite a Hogsmeade. Léon non vedeva l’ora.
Si era alzato con una facilità insolita quella mattina, anticipando la sveglia. Era balzato giù dal letto, si era vestito con gli abiti con meno pieghe che avesse trovato nell’armadio ed era voltato giù in Sala Grande a fare colazione.
Aveva salutato tutti con aria baldanzosa, guadagnandosi qualche risatina e il biasimo di Sebastian.
Dall’altra parte della sala, al tavolo degli eterni imbronciati, il suo amico aveva scosso la testa al suo saluto esuberante, ma non era riuscito a nascondere bene il sorriso, mentre il resto dei Serpeverde fulminava Léon con lo sguardo per il solo sgarbo di essere felice. Léon li aveva ignorati. Quasi niente avrebbe potuto rovinargli quella giornata.
Fu uno dei primi a presentarsi al portone d’ingresso, con l’autorizzazione firmata in bella vista tra le mani. Consegnata quella al signor Gazza, si mise a sedere sui primi gradini del portico, aspettando la sua compagna.
Linda Portland gli aveva chiesto di uscire insieme non più di due giorni prima e, sebbene non avesse espressamente usato la parola “appuntamento”, aveva ammiccato abbastanza volte da essere esplicita. Per Léon, era stata l’opportunità di mettere la ciliegina sulla torta della giornata.
Attese, guardando sfilare uno dopo l’altro gli studenti eccitati. A cinque minuti dall’orario di partenza, cominciò a preoccuparsi: Linda non era ancora in vista. Alle nove in punto, quando Gazza annunciò la fine della finestra di tempo per le autorizzazioni, un dubbio crudele gli attanagliò lo stomaco. Poteva essere successo qualcosa a Linda. Forse stava male, o era indisposta, o anche solo non si fosse svegliata in tempo… non era suo dovere di potenziale ragazzo andare a controllare?
Però voleva tanto scendere a Hogsmeade. La prossima uscita sarebbe stata prima di Natale, avrebbe dovuto aspettare più di un mese.
Guardò le scale all’interno, ormai vuote. Poi, spostò lo sguardo sui cancelli all’inizio del viale, che gli altri studenti stavano già oltrepassando.
(B) → Léon va a Hogsmeade
(C) → Léon cerca Linda a Hogwarts
(B)
Si sentì un cane, ma la voglia di libertà fu più forte del senso di colpa. Abbandonò i gradini del portico per una breve corsetta verso la strada che portava al villaggio, accodandosi alla folla di studenti.
Non aveva più tanta voglia di festeggiare. Sperava solo che la frenesia delle compere e l’odore di dolci di Mielandia gli rinfrancassero l’umore.
Dopo cinque minuti di camminata solitaria, si sentì affiancare da qualcuno.
“Ti ha dato buca, eh?”
Sebastian gli fece la cortesia di non guardarlo, mentre lo sfotteva. Si limitò a camminargli vicino, lo sguardo puntato in avanti e il naso affondato nella sua sciarpa verde e argento.
“Non è detto,” gli rispose Léon, che invece trovava difficile sollevare gli occhi da terra, “forse le è successo qualcosa.”
“Più probabile che ti abbia dato buca.”
“Sarei dovuto rimanere indietro per controllare.”
“Per controllare che ti abbia effettivamente dato buca?”
Léon gli tirò una gomitata. “Per favore, smettila di dire buca. Si è dichiarata lei, perché dovrebbe farlo?”
Sebastian scrollò le spalle. Aprì bocca per dire qualcosa, probabilmente fargli un elenco di tutti i motivi per cui la ragazza avrebbe potuto ripensarci, ma all’ultimo cambiò idea e la richiuse.
In un altro momento, Léon sarebbe stato orgoglioso dei progressi del suo amico.
“Meglio così, se ci pensi. Non dovrai passare tutta la nostra giornata libera a sedere nella sala da tè di Madama Piediburro,” disse alla fine Sebastian.
“Non lo avrei fatto in ogni caso.”
Forse sospinto da uno strano senso di compatimento, Sebastian non lo lasciò da solo per tutto il resto del giorno. Percorsero la strada principale di Hogsmeade un numero abbastanza alto di volte da perderne il conto, fermandosi nei negozi che più gradivano o godendosi semplicemente l’aria frizzante nei polmoni.
Erano una coppia che attirava abbastanza l’attenzione, un grifondoro e un serpeverde che conversavano amabilmente senza lanciarsi maledizioni. Se si fermavano abbastanza tempo in un angolo, potevano accorgersi delle occhiate curiose e dei commenti nascosti malamente dietro le mani guantate.
A Léon non importava più ormai, ci era abituato fin dal primo anno. Sebatsian era suo amico. Con mille difetti, certo, e non di rado si scontravano, ma era comunque suo amico. Una situazione insolita, ma non per questo sentiva che fosse sbagliata.
Saccheggiarono Mielandia come se il mondo magico stesse affrontando una carestia di zuccheri, tenendo un cestino in mezzo a entrambi e sgraffignando ogni cosa sembrasse loro appetibile, uno dagli scaffali di destra e l’altro dagli scaffali di sinistra. Quando il cesto cominciò a pesare significativamente, si diressero alla cassa e divisero il conto.
Sì fermarono anche da Mondo Mago, riempiendo la busta con lo stesso trucchetto, stavolta di piccoli oggetti magici più carini che utili e qualche regalo di Natale anticipato.
Da Tomi e Pergamene si presero il loro tempo, valutando un libro dopo l’altro con attenzione e commentando le nuove uscite.
Ad un certo punto, Sebastian insistette per entrare da Stratchy & Sons da solo. Non si prese neanche la briga di inventare una scusa ridicola, semplicemente gli disse “Va ai Tre Manici di Scopa e prendi un tavolo, ordina della burrobirra. Io ti raggiungo fra cinque minuti” con tono perentorio e spinse Léon lontano dal negozio, verso il pub.
Léon passò quei cinque minuti di attesa ridacchiando e fantasticando sul regalo che Sebastian doveva stargli comprando. Il suo compleanno, infondo, era molto vicino. Il suo amico aveva buon gusto in fatto di vestiti. La sciarpa che gli aveva regalato al primo anno era ancora la più morbida che possedesse.
Pensando ad un soffice paio di guanti, con una burrobirra in mano, aspettando il suo amico con l’assoluta certezza che, in questo caso, non avrebbe ricevuto buca, si rese conto che il suo umore era di nuovo lievitato fino alle stelle. La giornata era andata alla grande.
Sebastian entrò non più di cinque minuti più tardi, come promesso, nascondendo discretamente un pacchetto dietro la schiena. Si sedette al suo fianco e lo sfidò con lo sguardo a fare qualche commento.
Léon non diede peso né al probabile regalo, né a tutti gli studenti curiosi che li circondavano. Si slanciò verso Sebastian, gettandogli le braccia al collo.
Con lo spigolo del tavolo tra di loro e dovendo rimanere seduti, la posizione non era delle più comode. Sebastian, poi, era diventato una statua, non sembrava neanche che respirasse più. Niente di tutto ciò importava a Léon, che strinse più che potè il suo amico, sussurrandogli un “grazie per oggi” direttamente tra le pieghe della sciarpa.
Ci vollero qualche minuto in più e delle lente carezze la schiena, sotto il mantello, ma alla fine Sebastian si sciolse nella sua stretta, accettando l’abbraccio. Ricambiò persino, cingendogli a sua volta i fianchi con le mani. Léon sapeva che, se non fossero stati in pubblico, sarebbe potuto rimanere così per tutto il tempo che voleva.
Sebastian aveva un debole per il contatto fisico.
Purtroppo, al primo studente che allungò il proprio tragitto per passare loro vicino, Sebastian si agitò nella stretta fino a scioglierla, riacquistando una postura dignitosa sulla sedia.
“Tu avresti fatto lo stesso,” disse a bassa voce, per poi afferrare il bicchiere di burrobirra ancora intatto e mandar giù un sorso generoso.
Léon lo lasciò dissetarsi, bevendo a sua volta. A consumazione terminata, decise che voleva quella privacy che permetteva al suo amico di lasciarsi andare, così lo incitò ad alzarsi e lo guidò fuori dal pub.
Il cielo grigio di nuvole stava velocemente scurendosi, doveva mancare poco al tramonto.
“Voglio fare un ultimo giro prima di tornare a Hogwarts,” disse, distribuendo bene le buste degli acquisti tra le mani.
Sebastian non si oppose ad un’ultima passeggiata, anche quando fu chiaro che Léon non aveva intenzione di entrare in nessun negozio, ma solo di camminare verso vie sempre più vuote.
Léon condusse entrambi sulla strada che portava alla stamberga più infame d’Inghilterra, fermandosi molto prima che il bosco lasciasse spazio ad una radura desolata. L’anno precedente aveva scoperto una catasta di legna a pochi passi dal sentiero, apparentemente dimenticata. I tronchi tagliati e impilati in una piramide incompleta erano un’ottima panchina su cui accomodarsi, sebbene po’ umida.
Si sistemò usando il mantello come trapunta e fece cenno a Sebastian di fare altrettanto. Quando anche lui si sedette, lo tirò per una manciata di stoffa finché non fu abbastanza vicino da farsi abbracciare di nuovo.
“Oggi sei particolarmente appiccicoso, vedo.”
“Ti piace, so che ti piace, non fingere il contrario.”
Sebastian non lo negò. Anzi, si rilassò di più nella sua stretta, appoggiandogli la testa su una spalla. Poi, inaspettatamente, disse: “Mi dispiace che quella ragazza ti abbia dato buca.”
Il ritorno di Linda e del suo ipotetico - probabile - fiasco prese Léon in contropiede. Si rendeva conto ora che non pensava alla ragazza da quella mattina, non ci aveva pensato per tutta la giornata. Se Sebastian non l’avesse nominata, probabilmente se ne sarebbe dimenticato e basta.
Il suo silenzio pensieroso fece voltare il suo amico a guardarlo.
Sebastian aveva un’espressione difficile da interpretare, molto seria, e con gli occhi scandagliò il suo viso come alla ricerca di qualcosa.
“Ti piaceva davvero quella Linda?” Chiese.
Léon rispose come avrebbe risposto a sè stesso. “Era carina. Mi ha fatto piacere quando mi ha chiesto di uscire. Ma era solo una ragazza carina che mi ha chiesto di uscire, non la conoscevo prima.” Scrollò le spalle. “Mi passerà presto.”
Apparentemente soddisfatto della risposta, Sebastian tornò a poggiare la testa su di lui, le mani strette al suo mantello.
Un dubbio diverso si insinuò nella mente di Léon, scalzando di prepotenza le riflessioni su Linda. Provò a figurarsi lei tra le sue braccia in quel momento, nell’esatta posizione di Sebastian. Non perché la volesse, no, ma perché si rese conto di quanto intima fosse effettivamente la situazione.
Seduto un tronco più in basso di lui, di profilo, Sebastian lo usava come schienale e, dal modo in cui era stravaccato, Léon doveva essere la poltrona più comoda del mondo. Da parte sua, gli faceva piacere avere quel peso addosso e le mani alla giusta altezza per circondargli la schiena e accarezzargli i capelli sulla nuca. Da quando li aveva tagliati corti ai lati e dietro la testa, passare le dita in quelle zone ogni volta che erano a portata di mano era diventato un tic irresistibile.
Léon spostò i polpastrelli dalla nuca alla linea della mandibola, sollevandogli appena la testa.
A guardarlo così da vicino, era facile notare la forma dei suoi occhi, il rossore sulle guance intirizzite dal vento e le labbra screpolate.
Sebastian aprì leggermente la bocca per farci passare un respiro particolarmente impegnativo. La punta dei denti bianchi fece capolino tra le labbra e oh, ok, gli era appena venuta un’idea niente affatto male.
Léon abbassò il proprio viso, andandogli incontro, lentamente. Si fermò a metà strada. Sebastian ancora si specchiava nei suoi occhi, respirava sempre più pesantemente e rimaneva immobile con un impegno sinceramente ammirevole. Riprese la sua discesa.
Il primo bacio fu un bussare timido, il secondo un invito. Al terzo, si fermò abbastanza da riconoscere il sapore sulla bocca di Sebastian, burrobirra e fildimenta. Lenì le sue labbra screpolate con un tocco di lingua.
Sebastian perse il controllo al quinto bacio, quando Léon aggiunse un morsetto. Si scosse dalla sua immobilità e gli afferrò la testa tra le mani, rispondendo con entusiasmo.
Non è che fu difficile separarsi, è che appena lo fecero Léon non trovò una sola ragione valida per non ricominciare subito. Baciò il suo amico ancora e ancora e ancora, finché il lampioni di Hogsmeade si accesero oltre il bosco e l’aria frizzantina divenne feroce.
Un brivido di freddo lo scosse, nonostante il mantello pesante. Prese le mani di Sebastian tra le sue e le trovò gelide. Era il momento di fare ritorno al castello.
(C)
Gli costò ogni briciolo di volontà, ma diede la spalle al parco e tornò dentro al castello.
Si diresse subito alla Sala Comune dei corvonero, salendo i gradini della torre con passo pesante. Di fronte all’indovinello si accorse che, con la maggior parte degli studenti in gita, aspettare che qualche corvonero passasse di lì avrebbe potuto richiedere anche delle ore.
Poteva ascoltare l’indovinello e provare a risolverlo? Ma non era un corvonero. E se i corvonero erano intelligenti anche solo la metà di quello che si diceva, l’indovinello avrebbe riguardato qualcosa che solo un corvonero poteva sapere.
Scartò l’opzione dell’indovinello. Si avvicinò, invece, allo stipite della porta e cominciò a bussare, forte, sperando che qualcuno avesse pensato quella mattina di mettersi a leggere in Sala Comune.
Dopo cinque minuti di colpi martellanti, una ragazzina dall’aria stizzita venne ad aprirgli.
“Chi è? Cosa vuoi?”
Léon si massaggiò la mano dolente con l’altra. “Scusami per il baccano. Sto cercando Linda Portland, non è ancora scesa e mi sto preoccupando.”
“Non l’ho vista.”
Léon mise la mano offesa tra lo stipite e la porta, in uno scatto instintivo, per impedire alla ragazza di chiudergliela in faccia. Fortunatamente lei era uno scricciolo, o gliel’avrebbe schiacciata e Léon avrebbe passato il resto della mattinata in infermeria.
“Puoi, per favore, chiedere un attimo in giro?” Sfoggiò il suo sorriso migliore.
La ragazzina lo valutò per un momento, poi scomparve con un sospiro.
Léon attese, ben attento che la porta non si chiudesse.
Dopo qualche minuto, venne a parlargli un’altra ragazza, più grande. Gli pareva si chiamasse Susan e era del suo anno, doveva essere un’amica di Linda. Aveva un’espressione imbarazzata che non piacque affatto a Léon.
“Ciao, mi dispiace ma Linda non può venire a parlare con te.”
“Sta male?”
“In un certo senso? Si vergogna, più che altro. Mi ha detto di dirti che le dispiace.”
“Per non avermi neanche avvisato che non voleva più uscire con me?”
Susan non riuscì più a guardarlo negli occhi. “Non è una stronza, te lo giuro. È solo che è uscita da poco da una relazione complicata, è confusa e-”
“Sì, ok, bastava davvero una parola, non me la sarei presa. Sai, la gente ha dei programmi.” Lasciò la porta e fece qualche passo indietro, “grazie per il non avviso, ora devo scappare.”
Sì voltò e corse giù per le scale, piano dopo piano dopo piano, fino all’ingresso della scuola. Ovviamente chiuso.
Controllò l’ora sul primo orologio che trovò in giro. Le dieci in punto. La comitiva scolastica doveva essere arrivata a Hogsmeade già da un pezzo.
Non lo avrebbero fatto uscire da solo.
Passò il resto della giornata depresso in Sala Grande, giocando a scacchi magici da solo o con qualche occasionale passante, compreso il professor Lupin*. Quando sentì il vociare soddisfatto degli studenti di ritorno dalla loro gita, in corridoio, il suo umore si offuscò ancora di più. Questo finché Sebastian non lo raggiunse al tavolo, posandogli accanto una busta dall’aria pesante.
Léon occhieggiò la busta, poi il suo amico. Se era lì per pavoneggiarsi dei suoi acquisti, gli avrebbe dato un pugno.
“Ti ho comprato dei dolci,” disse invece Sebastian, che aveva l’aria di aver capito cosa gli passasse nella testa e non vedeva l’ora di dimostrargli quanto si sbagliasse, “e il set di gobbiglie a tema quidditch che abbiamo visto quest’estate da Mondo Mago, il nuovo libro di avventure di Godfridge Gudris e un mantello per l’inverno. Puoi restituirmi i soldi la prossima volta.”
Léon aveva già la testa immersa nel sacchetto. C’era effettivamente tutto quello che Sebastian aveva elencato. Era senza parole.
“Grazie.”
Sebastian fece spallucce. Poi, come se non fosse già abbastanza, “so che se parli con le giuste persone, puoi uscire da Hogwarts attraverso dei passaggi segreti. È un bel rompicapo a cui lavorare e abbiamo tutto da guadagnare dal risolverlo.”
Léon saltò in piedi e si gettò sul suo amico, ignorando i versi di protesta. Lo abbracciò stretto. Non avrebbe scommesso mezza moneta d’oro su Sebastian come salvatore della giornata, eppure eccolo là.
Come ogni volta che si trovavano in pubblico, si lamentò del gesto d’affetto e ci volle un bel po’ di tenacia per non farlo sgusciare via, ma Léon non mollò la presa. Prese ad accarezzargli la schiena con una mano, lenti cerchi sopra le scapole e le costole. Con il naso sepolto nella sciarpa che ancora indossava, fredda e profumata di pino, chiuse gli occhi e si permise di infilare le dita libere tra i capelli della nuca di Sebastian. Li aveva tagliati da poco, più corti del resto dei ciuffi e passarci i polpastrelli in mezzo era una voglia che lo tormentava dal primo momento che li aveva visti.
Quei piccoli massaggi furono effettivamente efficaci nel bloccare le proteste di Sebastian, che però rimase teso tra le sue mani come una tavola di quercia.
Gli parve un’ingiustizia, d’un tratto, che lui l’avesse reso talmente felice in pochi secondi, mentre Léon non riusciva a metterlo a suo agio. Lo lasciò andare, ma non prima di sussurrargli un “andiamo al loggiato?” A pochi centimetri dall’orecchio.
Il loggiato era uno dei piccoli cortili interni di Hogwarts, al primo piano, con una cinta di archi e panchine a circondarlo e una fontana spenta a forma di salice nel centro. Non sembrava essere frequentato, né da studenti né da fantasmi. Lo avevano trovato all’inizio di quell’anno e nominato il loro posto tranquillo, per quando avevano voglia di starsene da soli.
Sebastian annuì.
Léon allora prese le borse dei suoi regali e si avviò verso l’uscita della Sala Grande, voltandosi un paio di volte per assicurarsi che il suo amico lo stesse seguendo.
A metà scalinata, Sebastian smise di fare l’anatroccolo dietro la chioccia e si mise a camminargli al fianco, ciondolando di tanto in tanto per strofinare la spalla sulla sua. Non attese di essere arrivati per chiedergli cosa gli fosse preso.
“Non mi è preso niente, sono solo felice dei miei regali.”
“Non ti ho mica regalato un conto fiduciario alla Gringott.”
Léon gli diede a sua volta una spallata. “Non fingere di non sapere quanto quello che mi hai detto conti per me.”
Non era sicuro che avesse altri amici che si sarebbero spinti a tanto. Che si sarebbero accorti della sua assenza e che gli avrebbero comprato tutto ciò che avrebbe preso lui, senza una richiesta esplicita. Che avrebbero intuito il suo malessere. Sembrava una cosa piccola, all’apparenza, ma c’era così tanto impegno dietro.
“Sebastian Doyle, sei un pessimo serpeverde.”
Sebastian scattò con la testa nella sua direzione. “Come, prego?”
“È un complimento,” rise Léon, e per poco non fu scagliato contro un muro.
“Non penso proprio, stupido grifondoro.”
Arrivare al loggiato e trovarlo vuoto come di consueto non fu una sorpresa, ma comunque piacevole.
Léon condusse Sebastian fino a un arco dove battesse un po’ di sole e spinse entrambi ad accomodarsi lì sotto, con la schiena contro la pietra e le gambe incrociate tra di loro, uno di fronte all’altro. Dopo mezzo minuto, gli fu chiaro che quella posizione non lo soddisfaceva. Si capovolse, stendendosi con le gambe sollevate sulla parete e la testa appoggiata a quelle di Sebastian. Molto meglio.
Si accoccolò meglio, fece un paio di versi soddisfatti, simulando il suo gatto quando trovava un cuscino particolarmente di suo gusto. Presto, delle dita leggere arrivarono a giocare tra i suoi ricci, massaggiandogli timidamente il cuoio capelluto.
“C’è una particolare ragione per cui sei così affettuoso, stasera?” Chiese Sebastian.
Léon non lo stava guardando. Aveva chiuso gli occhi, un po’ per godersi le carezze, un po’ perché c’era uno strano miscuglio di emozioni in lui che, effettivamente, erano la causa del suo attuale comportamento. Non era facile sbrigliarle.
Non rispose e Sebastian ne approfittò per tirare ad indovinare.
“Ha a che fare con il motivo per cui hai saltato la gita a Hogsmeade?”
No, in realtà no. Certo, essere rifiutato non era stato piacevole, e non uscire da Hogwarts lo era stato ancora meno, ma ora quei sentimenti sembravano lontani, come se fossero passate settimane invece che ore. Il subbuglio nella sua pancia aveva un tono molto più caldo e intimo, e i colori verde e argento del suo amico.
Léon si rese conto di avere voglia di fare cose che, normalmente, avrebbe avuto vergogna di fare. Piccole trasgressioni del loro rapporto, un pungolare di confini. In altri momenti una voce nella sua testa lo avrebbe fermato, dicendogli che non era consono, opportuno, platonico. Ora quella vocina la sentiva appena, ed era facile da ignorare.
Prese la mano che ancora gli pettinava i capelli e se la poggiò su una guancia. Era tiepida e liscia, morbida come di chi non ha mai salito su una scopa. Ci immerse la faccia e lasciò un bacio appena accennato sul palmo.
Sopra di sé, sentì Sebastian respirare bruscamente.
Una scarica di eccitazione gli scosse la schiena e, ancora di prima di formularne il pensiero, lasciò un altro bacio sulla pelle.
“Léon,” disse Sebastian, con voce tirata.
Léon aprì gli occhi, trovando il coraggio di guardarlo. “Cosa c’è?”
Sebastian non sembrava passarsela bene. Aveva la faccia accartocciata di chi ha a sua volta un pungo di sensazioni nello stomaco, ma non di quelle piacevoli. “Smettila subito.”
“Vuoi davvero che mi fermi?” Perché Lèon non voleva.
Sebastian non rispose e Léon gli lasciò un altro bacio sul palmo, poi un altro, poi si spostò a baciargli le dita. Gli mordicchiò i polpastrelli. Spinto da una vampata di folle coraggio, malizia e appel du vide, gli prese l’indice tra le labbra fino alla falange intermedia.
Sebastian sussultò come se lo avesse morso violentemente e ritirò tutta la mano, stringendosela al petto. Léon non si sarebbe sorpreso a vederlo scivolare giù dalla pietra, sul pavimento.
“Perdonami,” disse subito, alzando la testa dal suo grembo per guardarlo come si deve, “perdonami, non so cosa mi sia preso.”
Tornò ad appoggiarsi alla parete di fronte, per lasciargli più spazio possibile.
Sebastian lo fissò con espressione seria, affilata, per abbastanza secondi da far fremere sul posto Léon, e farlo pentire di ogni secondo di quella giornata. Sentiva che stava per ricevere un pugno e, quando Sebastian si protese effettivamente verso di lui, si preparò all’impatto.
Sebastian, invece, gli prese il viso tra le mani, una presa prepotente.
“Se mi prendi in giro,” disse, con lo stesso tono che usava per le maledizioni, “giuro che continuerò a vendicarmi finché campo.” Dopodiché lo baciò.
Léon si sciolse completamente, mettendogli a disposizione tutto sé stesso. Fu come vivere la miglior gita a Hogsmeade della sua vita, caramelle e giochi magici e libri d’avventure e vestiti caldi. Passeggiate nel bosco e una burrobirra davanti al camino. Tutto, in un minuto di bacio.
NdA:
* È una licenza poetica che mi prendo. So che, a prescindere dal periodo in cui potrei ambientare la storia, Lupin non può essere il professore di alcunché, ma mi piaceva troppo l’immagine di lui che fa compagnia a uno studente bisognoso di qualcuno che gli tiri su il morale, magari dandogli anche qualche pezzo di cioccolata. In ogni caso, l’identità di questa comparsa non incide sulla storia.