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Settimana: 5
Missione: M2
Prompt: 15 Uno Card
Titolo: Ritirate strategiche
Fandom: Originale
Rating: sfw
Warning: /
Note: a fine racconto il meme che lo ha ispirato
I musei seri, quelli che davvero tenevano alle proprie opere d’arte, avevano porte blindate. Non importava il costo.
Anche il sistema d’allarme più sensibile al mondo, una volta scattato, non può fare niente sul piano pratico per fermare un ladro che si porta via quadri da mezzo milione d’euro l’uno. Soprattutto se quel ladro è anche telecineta. Una porta chiusa? Ridicola. Una saracinesca? Cinque per l’impegno, ma comunque insufficiente. Una porta blindata con acciaio rinforzato? Quella sì che era una sfida.
Domino si stava giusto impegnando nel piegare il metallo dei cardini, quando questa esplose verso l’interno con un boato perfora-timpani. Sfortunatamente, non ne era stato lui il responsabile.
Little Giant superò la porta divelta piegandosi sotto l’arco, per poi ergersi in tutti i suoi tre metri e mezzo di altezza.
Il tempo era scaduto.
Domino avrebbe potuto scagliargli contro i resti della porta, i vetri delle bacheche o anche le opere d’arte stesse, sperando di infilzarlo da qualche parte. Non era un bersaglio difficile da prendere. Alla luce delle sue recenti scoperte, però, dovette mollare la refurtiva e darsi alla fuga verso il lucernario.
Una scarica di detriti invece seguì lui, scagliati alla stregua di una palla da baseball e, purtroppo, facendo strike.
§
Durante un scontro nella rete metropolitana della città, Little Giant non era la risorsa migliore da chiamare, visto il poco spazio a disposizione. Evidentemente, quella volta la Lega dei Supereroi doveva essere a corto di personale disponibile.
Domino imprecò tra i denti, mentre fu costretto almeno a simulare un attacco nei confronti dell’eroe, incastrato nella galleria di uno dei binari. Sia per evitare l’attacco, che per liberarsi della sua condizione, Little Giant dovette tornare a misura d’uomo, parandoglisi davanti in posizione di guardia.
No, davvero, non c’era nessun altro con cui poteva combattere? Domino schivò un paio di colpi, ma dovette incassarne molti di più, soprattutto quando alla battaglia si unirono Ravage e la polizia. Durò dieci secondi buoni, nel precario equilibrio di non colpire troppo forte Little Giant, difendersi, dissimulare il fatto che non si stesse davvero impegnando nel colpire Little Giant, difenderlo dai colpi di Ravage, non far capire a Ragave che lo stava difendendo e schivare ogni maledetto proiettile che quegli idioti in divisa stavano sparando dentro una galleria. Dieci secondi, poi Little Giant lo colpì con un pungo al petto, probabilmente incidendogli la forma delle nocche nello sterno a vita. Dolorante, si ritirò nei tunnel.
§
La Mild Tower era alta più di duecento metri e il suo tetto non era agibile per elicotteri con un peso superiore alle tre tonnellate. Domino lo sapeva bene, aveva controllato. Nessun peso oltre le tre tonnellate o la sicurezza di tutte le persone sotto di loro sarebbe stata a rischio.
E allora perché, in nome di tutto ciò che era giusto, Little Giant era stato mandato lì?
Domino guardò Dark Shadow dietro la console dell’antenna parassita, che faceva gesto furiosamente di spingere il supereroe giù dalla Mild Tower. Poi guardò Little Giant, il cui petto si alzava e abbassava furiosamente per la corsa su per le scale che doveva essersi fatto. Raggiungeva i due metri pieni, ma non sembrava voler crescere più di così, timoroso forse di perdere ancora più energie o di essere un bersaglio più facile da scaraventare giù.
Domino contemplò per un solo, serio momento, di gettarsi lui di sotto. I suoi poteri lo avrebbero salvato. Poi, con un sospiro, si scagliò contro a Little Giant come un martire suicida su una bomba.
§
Sam si tolse la canotta con una lentezza ridicola e, anche così, dovette fermarsi più volte e soffocare i gemiti nel cotone. Si guardò allo specchio. Aveva il torso puntellato di contusioni e lividi, sembrava un maledetto gioco di “collega i puntini”.
Si voltò di schiena. Da dietro era anche peggio.
Prima che potesse recuperare il barattolino d’arnica e pensare di spalmarsela addosso con il numero minimo necessario di movimenti, la porta di camera sua si spalancò.
Suo padre comparve sull’uscio e non si fece problemi ad entrare. Non lo vedeva così incazzato da quando i vicini, i Gallagher, avevano prestato loro per sbaglio delle pasticche di colorante alimentare invece che di cloro per la loro piscina, e lui era diventato blu.
Gli guardò la schiena. Si fece ancora più scuro in volto. Tornò a fissare lui attraverso il riflesso dello specchio, assolutamente oltraggiato.
“Si può sapere cosa diavolo ti prende?”
Sam sospirò. Sentiva di non avere le forze per quella battaglia, ora.
“Di cosa parli, papà?”
Suo padre gesticolò verso i suoi lividi, incredulo. “Sono due settimane che ti fai bastonare come un cane!”
“Capita di ferirsi sul campo.”
“Non prendermi in giro, ragazzo! Ti ho addestrato io, conosco i tuoi limiti. Non è da te farti battere così e, da quel poco che ho visto di persona, non ci stai neanche provando! Che cosa succede?”
“Succede che il mio ragazzo è Little Giant, papà,” considerò di rispondergli, “lui non lo sa che io sono Domino, ma io so che lui è Little Giant. Come faccio a fargli male, ora?” Sarebbe stato molto liberatorio. La faccia di suo padre sarebbe stata esilarante. Ma sarebbe stato anche un disastro di proporzioni epiche, e la fine della sua relazione probabilmente.
Così, disse la prima scusa che gli venne in mente.
“È la sindrome premestruale.”
Si chiuse in bagno con le urla di suo padre che ancora facevano tremare le pareti.