![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Settimana: 1
Missione: M1
Prompt: Un rifugio alla fine del mondo
Fandom: Originale
Rating: G
Warning: /
Note: /
Missione: M1
Prompt: Un rifugio alla fine del mondo
Fandom: Originale
Rating: G
Warning: /
Note: /
L’ultima stazione
Nessuno scendeva mai all’ultima stazione. La maggior parte della gente, in effetti, si fermava alla Stazione Centrale di Sogno, il vero, grande centro di quello strano mondo dove Leo era approdato metà vita prima. Qualcuno scendeva nei quartieri successivi. Una volta lasciata la città, però, era raro trovare ancora persone a bordo.
Leo non era mai arrivato così lontano. Le poche volte che aveva preso il treno, lo aveva fatto per spostarsi dalla casa della padrona al mercato cittadino e viceversa. Non sapeva neanche come fosse fatto l’Oltremondo, al di fuori della sua capitale.
Ora, invece, era l’unico passeggero della carrozza, in attesa di arrivare a un capolinea leggendario.
Forse non esiste nessuna ultima stazione, si disse. Forse il treno continuerà semplicemente ad andare avanti, e io non scenderò più. Gli sarebbe andato bene. Gli piaceva il treno. Era luminoso, con tanti rivestimenti morbidi e appigli a cui poteva aggrapparsi. Se trovava un posticino in cui stare da solo, poi, poteva sedersi e sbirciare fuori dal finestrino.
C’erano dei campi coltivati, intorno alla città, con fattorie isolate qua e là. Scendevano dolcemente lungo le colline e lasciavano il passaggio libero ai binari di malavoglia, litigando fino all’ultimo centimetro di terra sicura. Leo avrebbe voluto sapere che cosa si coltivava. Come sarebbe stato lavorare la terra. Da lì non sembrava una brutta vita, sebbene gli avessero detto che i servi dei campi venivano trattati peggio di quelli a servizio nelle case nobili.
Il capotreno annunciò l’arrivo imminente.
Leo si sollevò sulle ginocchia, cercando di guardare avanti, l’ultima stazione. Il crepuscolo era quasi finito e il buio non permetteva di vedere molto lontano. Il treno fischiò e cominciò a rallentare. Una volta a botte comparve a circondare i binari; dietro di essa, su una piccola collina, una villa senza cancelli.
Leo accarezzò il velluto della seduta prima di mettersi in piedi. Deglutì. Era arrivato.
Faticava a scendere dal treno, poiché non aveva la certezza che vi sarebbe risalito. La padrona non gli aveva dato indicazioni, se non quella che sarebbe rimasto a servizio in prestito per un mese. Poi aveva borbottato a proposito del prezzo per un buon servitore che era raddoppiato dall’ultima volta che aveva dovuto fare un simile acquisto.
Metà città credeva che in quella villa vivesse un mostro. L’altra metà che fosse disabitata. La padrona non si era mai espressa in merito, ma Leo aveva sentito qualcuno dire una volta che ci vivesse il figlio di un essere umano. Un mezzosangue, lasciato lì a nutrirsi di ombre, dopo che un uomo si era perso nell’Oltremondo.
Deglutì. Quale che fosse la verità, non aveva scelta. Scese dunque dal treno e si fermò ad osservarlo ripartire.
Il sole era appena tramontato e un sentiero di lampioni si accese per lui, dalla banchina alla villa. Il mare d’erba al di là del viottolo ondeggiava senza vento ed era facile immaginare i mostriciattoli più disparati nascosti lì in mezzo, affamati. Tuttavia, più si avvicinava alla casa, più questa gli appariva innocua.
Non era recintata, né sorvegliata da animali da guardia. C’erano lampioni ad olio su ogni parete, accanto ad ogni finestra e porta e ai lati del porticciolo; la luce che emanavano era soffusa e balsamica per gli occhi. Arrivato abbastanza vicino, Leo poté sentire della musica uscire da una finestra semiaperta del piano superiore. Un violino, se non errava.
Come poteva un mostro saper suonare? Tutti i mostri che conosceva lui amavano lo sfarzo o la miseria, l’eccesso oppure l’ascetismo. Quel posto sembrava così pacifico.
Leo sentì un piccolo bocciolo di speranza sbocciargli nel petto. Non era mai una buona cosa, ma non aveva ancora imparato a sigillare il proprio cuore. Bussò alla porta.