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Missione: M4
Prompt: Villain has a point
Titolo: Il tranello del potere
Fandom: Originale
Rating: G
Warning: Maltrattamenti
Note: /
L'uomo dietro le sbarre assomigliava più a un manichino con le giunture rotte che a un uomo. Accucciato in un angolo della cella, grondava acqua sul pavimento tutt'attorno. Non c'era tetto per ripararlo dai temporali, solo sbarre, sopra, sotto, di lato, ovunque. Gli stracci bagnati che una volta erano stati dei vestiti gli aderivano al corpo magro, una seconda pelle sottile.
Non si riusciva a vedergli il viso, ma l'ufficiale Khiya Loay si immaginava perfettamente i tratti emaciati del viso, così come l'espressione vuota che doveva avere. Era l'immagine stessa della miseria, un qualcosa che popolava i suoi incubi insieme al fallimento.
La guardia che lo accompagnava, un secondino con troppi anni sulle spalle e troppo alcol nello stomaco controllò ancora una volta il nome sul suo registro, poi diede una poderosa mazzata contro le sbarre con la verga.
<Prigioniero 56! In piedi!> Abbaiò. Il prigioniero 56 non reagì.
La guardia rivolse uno sguardo veloce a Khiya, forse di scuse, forse di vergogna per il comportamento poco educato del suo prigioniero. Aprì la gabbia con uno scatto secco di chiavi e andò personalmente dentro a scuotere il prigionero, trascinandolo per i capelli finché i suoi occhi non misero a fuoco Khiya.
Lui si specchiò in quei cerchi opachi, in cerca del criminale intraprendente e astuto che aveva creato tanti problemi al Magistrato. Non lo trovò. Sperava almeno di poter trovare i suoi ricordi.
Tossicchió appena e aprì il faldone che si era portato dietro. <Sono l'archivista ufficiale del contado, al servizio del Magistrato Plato. Mi chiamo Khiya Loay.> Chinò il capo, un riflesso dettato dall'abitudine di trovarsi spesso davanti uomini molto più elevati di quello lì. <Sono qui per registrare la tua testimonianza.>
<La mia testimonianza.> Ripeté il prigioniero, un mormorio appena udibile.
Khiya lo interpretò come un buon segno, l'uomo aveva intenzione di collaborare.
<La tua versione della verità.>
<La mia versione della verità.> Ripeté di nuovo le sue parole.
Forse non era un buon segno. Questa volta fu Khiya a rivolgere uno sguardo verso la guardia, ancora nella gabbia con il prigioniero. Sperava che non lo avessero bistrattato tanto da renderlo mentalmente offuscato.
<Sì. In particolare, vorrei sapere quali motivazioni ti hanno spinto a commettere i tuoi crimini.> Attese in silenzio una risposta, poi, per evitare l'ennesima ripetizione, decise di specificare: <Hai trovato e tenuto per te l'anello di Socar, contravvenendo alla legge reale. Lo hai usato per introdurti in proprietà altrui e danneggiarle. Hai rubato per un valore complessivo di 5600 corone. Hai aggredito fisicamente due uomini e un ecclesiastico. E ora l'Archivio ti chiede il perché.>
Il viso del prigioniero 56 si illuminò improvvisamente. Le pieghe sulla fronte si spianarono, mentre altre apparvero intorno agli angoli della bocca. <Perché?>
Khiya represse un sospiro. Cosa doveva fare per ottenere una frase pronunciata di propria volontà?
Il prigioniero cominciò a ridere. Un suono sgradevole, un gracidio sordo di rana. <Perché? Perché?> Ripeteva e rideva, e ripeteva, e rideva.
La guardia dentro la gabbia sollevò la sua verga. Khiya gli fece cenno di non sferrare il colpo.
<Che domanda stupida, archivista. Come se non lo sapessi. Così mi insulti. Come se non fossi già stato insultato abbastanza. Come se rispondere ad un archivista non fosse già abbastanza noioso.>
<Allora parli.> Khiya intinse finalmente il pennino nell'inchiostro. <Dimmi perché, appena trovato l'anello di Socar, non l'hai consegnato ai gendarmi.>
Il prigioniero cominciò a scuotere la testa, ancora ridacchiante. <Perché, perché, perché…>
La guardia strinse entrambi i pugni sulla verga. Khiya gli fece cenno di nuovo di trattenersi.
<Secondo te perché?> Chiese il prigioniero.
<Non sta a me esprimere un parere. Rispondi alle mie domande con sincerità e io testimonierò la tua verità.>
<Cosa vuol dire perché!> La voce dell'uomo esplose improvvisamente in volume, tanto da assomigliare a un grido. Si aggrappó alle sbarre con le mani nodose, puntò Khiya con occhi spalancati. <L'anello di Socar! Potevo andare dove volevo, fare tutto! Perché l'ho fatto? Perché potevo! Tu che avr->
La scudisciata interruppe il suo delirio. Le gambe non lo ressero e il prigioniero cadde a terra in un mucchietto di ossa e lamenti. La guardia continuò ad accanirsi su di lui per almeno mezzo minuto.
Khiya capì che ormai non avrebbe ricavato altro da quella massa rantolante al di fuori di singhiozzi e imprecazioni. Meditò un momento su quale esito scrivere sul suo rapporto.
<Avresti fatto… come me…> Il prigioniero tentò di aggrapparsi nuovamente alle sbarre, ma le dita rotte non ressero la presa. <Avresti fatto… tutti avrebbero…>
Khiya si rivolse alla guardia. <Ho finito.>
Chiuse il faldone. Non permise a quella domanda di attecchire nella sua mente.