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Missione: M2
Prompt: Fortuna
Titolo: Una bottiglia di fortuna
Fandom: Originale
Rating: G
Warning: /
Note: /
Lo specchio pesava un accidente e la scala ancora di più. Andrea posò entrambi nel vano dell’ascensore e li spedì su al quarto piano. Sulle dita formicolanti gli erano rimasti i residui incrostati della vernice dorata della cornice, un pezzo d’antiquariato buono solo a prender polvere ormai. Se le pulì sui jeans già sporchi, mentre saliva le scale con un sospiro.
Di tentare di tenere il passo dell’ascensore non ci aveva nemmeno pensato, e che Bea cominciasse a trafficare con quegli arnesi da sola. Ancora doveva capire bene a cosa servissero esattamente una scala, uno specchio e un gatto nero. E lui, ovviamente.
Quando arrivò sul pianerottolo giusto, l’ascensore lo attendeva a porte aperte e così Bea, immobile e sorridente lì accanto. Sempre sorridente, quella tappetta, dava l’idea di una frizzante lattina di Cola che agitata troppo sarebbe scoppiata. Il gatto di sua nonna, Arcobaleno, le scivolava tra le gambe con l’egocentrismo che è tutto della sua specie, grattandosi la schiena sulle sue calze pesanti e fregandosene del nuovo arrivato.
Per qualche momento, nessuno si mosse. Poi, con un unico guizzo d’occhi, Bea gli indicò l’ascensore ancora aperto.
Ovviamente tocca a me.
Andrea sospirò di nuovo. Passi per la scala, che se cadeva addosso a Bea la piantava nel terreno, ma almeno lo specchio poteva sforzarsi di trascinarlo. Niente da fare: appena lo vide muoversi, lo scricciolo sgusciò fino all’ingresso del suo appartamento e piazzò una mano sulla pesante porta che si teneva aperta benissimo da sola.
Arcobaleno fu il primo a entrare, sicuro e vero padrone di casa, e Andrea seguì le sue chiappette pelose ben più affaticato e pesante di ingombri.
<Grazie Andy, appoggia pure dove vuoi.> Bea indicò con un largo movimento del braccio tutta la casa, fino a fermarlo in una direzione precisa.. <In cucina ci sono i biscotti.>
E c’erano davvero, benedetta nonna di Bea e benedetta la sua passione per i biscotti. Se ne infilò subito in bocca due, alla cannella e con la forma di fiori schiacciati. Sgranocchiando il terzo ritrovò anche la voce per parlare.
<Ripetimi cosa stiamo facendo.>
Bea, nel mentre che lui si ingozzava, non aveva perso tempo. Aveva recuperato un libro dall’aspetto cadente e dei gessetti colorati e si era messa a disegnare sul pavimento dell’ingresso, tra lo specchio e la scala appena portati, l’appendiabiti e il mobiletto cerato addossato a un muro.
Un pensiero fugace passò nella mente di Andrea: se avesse fatto lui una cosa del genere sul parquet di casa sua, sua madre lo avrebbe ucciso a padellate. Quella casa e quel pavimento in particolare, invece, sembravano conoscere intimamente la carezza del gesso e dei sigilli tracciati con esso.
Bea sollevò la testa, non smettendo di tracciare cerchi un po’ tremolanti con una mano, e quando gli rispose l’entusiasmo era tangibile nella sua voce. <Oggi noi creeremo tana di quella fortuna da riempire una bottiglia.>
<Fortuna.> ripetè Andrea. Spostò lo sguardo sulla scala, poi sullo specchio. Arcobaleno si acciambellò sulla spalliera, una macchia nera sulla trapunta a scacchi, e fissò anche lui.
Bea annuì energicamente. Gli fece segno di prendere la bottiglia di plastica vuota appoggiata su uno scaffale e di raggiungerla. Gliela strappò di mano non appena finito il disegno - una manciata di cerchi intersecati con delle croci più o meno angolate - e la posizionò al centro di esso.
<Ci siamo.> Si sedette a gambe conserte ad un palmo della linea più esterna. Poi la sua attenzione fu tutta per lui. <Vai e comincia dalla scala. Passaci sotto.>
<Sicura che funzionerà? Non porta sfiga?>
<Sì, infatti!>
Bea dovette leggere tutta la sua perplessità sul viso, perché sollevò un dito con aria sapiente e aggiunse: <E’ più facile raccogliere sfortuna e specchiarla piuttosto che cercare la fortuna in sé. O avevi forse a portata di mano un coniglio a cui tagliare una zampa?>
<Sono sorpreso che tu o tua nonna non abbiate un coniglio per queste occasioni.>
Lei fa una faccia scandalizzata, gridando il suo disappunto. E gli indica di nuovo la scala.
Andrea ingoia un ultimo biscotto e si avvicina a quel mucchio consumato di assi di legna. La posiziona un po’ meglio appoggiata alla parete, così che non gli cada improvvisamente in testa e ci passa sotto con passo svelto. Non succede niente. Nessuna esplosione di luci o sfrigolanti scintille, l’occulto non lo folgora con il suo occhio e la terra non si apre per divorarlo da capo a piedi. Sette anni di sfiga e non sentirli.
Butta un’occhiata verso Bea e la bottiglia, l’una esaltata, l’altra immutata.
<Non mi sembra che funzioni.>
<Ma certo che funziona! Sta funzionando! Forza, ora rompi lo specchio.>
Rimangono a fissarsi con aspettativa l’un l’altro, aspettativa che si trasforma in biasimo. Si aspetta forse che rompa lo specchio a pugni?
<Con cosa dovrei romperlo?>
La domanda colpisce Bea come se si ponesse solo ora il problema.
<Non saprei…Prova con una scarpa?>
Andrea non ha bisogno di guardarsi i piedi. Le sue adorate sneakers sono più leggere di un mattone e molto meno efficaci. E col cavolo che le userà per una cosa tanto barbara.
<Oh! Oh, lo so cosa puoi usare! Aspetta un attimo.>
La ragazza fa per alzarsi ma ricade con una smorfia a gambe incrociate sul pavimento. <Non mi posso alzare…Vai tu, vai in cucina.>
Torna in cucina e per prima cosa frega un altro biscotto. Bea blatera di tavole in ardesia per il sushi appena comprate e perfette per sfasciare suppellettili, ma Andrea la ignora. Ha adocchiato dei mestoli di metallo appesi sopra i fornelli. Li valuta, sgranocchiando un altro biscotto.
Decide che quello per il brodo, dal manico lungo e la testa a semisfera fa al caso suo. Lo sgancia dalla mensola e si attarda per cercare anche un guanto sotto il lavandino, per poi tornare all’ingresso.
Lo specchio è dove lo ha lasciato, accasciato ad una colonna portante come un vecchia comare su una panchina al sole. Si posizione da un lato e prende la mira con il mestolo. Scrash! Arcobaleno schizza via dal suo giaciglio prima ancora che i frammenti di vetro tocchino terra. Andrea sente il fracasso del colpo risalire il braccio e scuotergli la spina dorsale, gli fa stridere i denti e venir voglia di infilarsi dell’ovatta nelle orecchie.
Poco più in là, Bea sbircia tra le mani che ha avuto l’accortezza di mettersi davanti al viso. La bottiglia è ancora ridicolmente vuota e immobile, eppure da come lei si agita sul posto si direbbe che si stia riempiendo di oro liquido.
<Bene, molto bene! Ne manca ancora un po’, solo un po’.> Si guarda freneticamente intorno, alla ricerca dell’ultima trappola acchiappa-sfiga, ma il gatto è scomparso chissà dove.
Ovviamente tocca ad Andrea cercarlo, sotto le indicazioni sempre più insistenti di Bea. Per un quarto d’ora vaga per la casa della sua famiglia misurando ogni passo, ogni movimento, conscio che quello nelle boccette probabilmente non è profumo, le piante decorative non sono nè di plastica, men che meno innocue ed è meglio non respirare troppo nelle vicinanze del camino.
Trova infine Arcobaleno sotto al letto nella stanza di Bea, addossato nell’angolo, attento ad ogni sua mossa. Sa che quello sguardo significa “Allunga una mano in questa direzione e la userò per affilarmi gli artigli”.
<Cazzo, potresti collaborare.>
Arcobaleno non collabora e Andrea si ritrova la mano graffiata nonostante il guanto. Tornato all’ingresso, lo lancia in braccio a Bea, che lo riempie di moine prima di lasciarlo andare per la sua strada, strada che questa volta lo porta a rifugiarsi sotto il divano. Lei gli fa cenno di camminare oltre il punto dove è saettato il gatto.
Questa volta, gli sembra di cogliere con la coda dell’occhio un guizzo, un’increspatura dell’aria sul collo della bottiglia, una goccia trasparente di troppo che scivola giù. Per quando si volta, però, l’impressione è già svanita e Bea chiude con il tappo una bottiglia vuota e leggera quanto lo era due minuti prima. E’ quasi deludente.
<Il signor Enemene me la pagherà bene.> Bea valuta e borbotta, borbotta e valuta e la bottiglia rotola nelle sue mani. <Almeno 500 euro… due litri abbondanti… ti darò la tua parte giovedì, Andy.>
Prima che possa ragionare su cosa sta facendo, Andrea allunga una mano e afferra la bottiglia. E’ vuota. Leggerissima. Aria e plastica. <Funziona davvero?>
<Dubiti delle mie capacità?> Bea si imbroncia.
Onestamente? Sì. Quella bottiglia è vuota. Ma, ora che ci pensa meglio, non gli importa davvero. 500 euro per un po’ di fortuna o 500 euro per un’illusione? In ogni caso, giovedì avrà la sua parte.