Mar. 11th, 2025

COWT14

Mar. 11th, 2025 01:37 pm
 

Settimana: 2

Missione: M2

Prompt: 3. Libertà

Titolo: Tubature

Fandom: Genshin Impact

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Da quando Wriothesley era al Forte Meropide, come prigioniero prima e come Duca poi, non era mai successo che qualcuno rimanesse incastrato nelle tubature. I canali del forte erano semplicemente o troppo ampi, o troppo stretti, o troppo sigillati. Si, ogni tanto qualcuno si perdeva. Ogni tanto un addetto alla manutenzione scambiava le condutture per l'acqua calda con quella fredda. E almeno una volta all'anno qualcuno girava la valvola sbagliata e un'intera sala finiva a mollo con i pesci. Ma incastrato? Dove? 

"Su un nastro trasportatore al piano inferiore, sua eccellenza."

Wriothesley annui per indicare che stava ascoltando. "Fai strada.”

La guardia, un giovane uomo tanto perplesso quanto curioso, non se lo fece ripetere e marció a passo sostenuto fino all'ascensore. Lo condusse fino all'area nord-ovest del piano di produzione, dove quella settimana mezza dozzina di nastri trasportatori lasciavano agli operai ruote dentate e si riprendevano motori per scafi quasi del tutto assemblati. Erano fermi, al momento. Intorno a uno dei più grandi, in fondo alla sala, si era radunata un po' di gente.

La folla si aprì al passaggio del Duca. Dalla bocca della conduttura uscivano gli ingranaggi di un motore, accavallati a dei cavi, accavallati ad altri ingranaggi. Se c'era qualcuno di vivo dietro quella frana di metallo, non era a vista d'occhio.

Wriothesley alzó una mano per fare cenno alla folla di zittirsi. Un momento dopo, un'altra guardia si fece avanti senza ulteriori istruzioni - per spiegargli la situazione, voleva sperare. Fu preceduta da un eco proveniente da dentro la conduttura. 

“Ehilà? C'è ancora qualcuno?”

Quindi c’era davvero una persona incastrata.

“Gente? Per favore, ho bisogno di aiuto per uscire!”

Giovane. La voce di un ragazzino. Che uno dei pochi teppistelli di strada rinchiusi laggiù si fosse perso, per poi rimanere intrappolato?

“Sta calmo, non sei solo,” cercò di usare il suo tono più rassicurante, come quello riservato agli altri orfani, più di una vita fa. “Siamo qua fuori e ti libereremo presto.”

“D’accordo, solo… co-continuate a parlare?”

Wriothesley si rivolse alla guardia al suo fianco. “Hai sentito, Farlan? Parla e dimmi chi c’è là dentro, come ci è finito e soprattutto come lo tiriamo fuori.”

“È un visitatore eterno, vostra eccellenza. non sappiamo perché si sia avventurato quaggiù, Clarisse è corsa a prendere il registro delle visite e a chiamare i meccanici e-”

Il Duca lo interruppe per gridare dentro la conduttura. “Ragazzo! Come ti chiami?”

La risposta arrivò con un secondo di ritardo e, vuoi per l’eco o vuoi per lo spavento, tremava. “Mi chiamo Bennett, signore.”

“Sei ferito, Bennett?”

“Non credo, signore. Sono solo un po’ indolenzito per la posizione. E credo di essermi graffiato i palmi cadendo, e forse anche le ginocchia, ma sto bene!”

In qualche modo, Wriothesley ne dubitava. Cercò di analizzare la situazione il più velocemente possibile. 

La tubatura era troppo piccola per un adulto, persino per una donna. Forse Sigewine sarebbe riuscita a entrare, ma non potevano rischiare la sicurezza dell’unica là sotto in grado di eseguire manovre salva-vita, soprattutto se c’era la reale possibilità che avessero bisogno di lei - e il suo istinto gli diceva che ne avrebbero avuto bisogno. 

Cercare di rimuovere gli ingranaggi instabili avrebbe potuto fare del male al ragazzo; congelare la struttura per mantenerli in posizione lo avrebbe reso un ghiacciolo; invertire il nastro trasportatore avrebbe fatto di lui una frittella bucherellata.

Aspettare i meccanici era probabilmente l’opzione migliore.

“Ascolta, Bennett, ora le guardie faranno sgombrare la folla", lanciò un’occhiata eloquente a Farlan e ai suoi colleghi, “così i meccanici avranno tutto lo spazio che gli occorre per lavorare. Resterò io a parlare con te. Voglio che resti calmo e mi racconti come sei finito così. Va bene, ragazzo?”

“Sì, signore.”

“Wriothesley.”
“Come?”

“È il mio nome. Sono il responsabile di Forte Meropide.”

“...Mi dispiace di averla scomodata, signore.”

Wriothesley sorrise al tono sconsolato percepibile anche attraverso l’eco. “Non ti dispiacere, il mio lavoro comprende anche gestire questi casi. Gli incidenti capitano.”

Questa volta ad arrivare fu un verso disarticolato e persino più sconsolato del precedente.

Ci volle più di un’ora per tirare Bennett fuori dal suo groviglio di metallo. I meccanici furono meticolosi, ma davvero lenti, tant’è che a un certo punto non ci fu più bisogno di tenere lontani i curiosi: la curiosità svanì, soppiantata dalla noia. I prigionieri tornarono ai loro incarichi, le guardie alle ronde.

Wriothesley rimase, come promesso, accanto al ragazzo. Lo fece parlare della sua terra d’origine, Mondstadt, e dei suoi amici, un ragazzo-lupo e una giovane suora. Gli chiese della sua famiglia, per poi dirottare subito altrove, non appena capito che l’essere orfani li accomunava. 

Dopo un’ora di parlantina, Bennett aveva la voce gracchiante degli assetati e Wriothesley avrebbe potuto scrivere una biografia su quel piccolo, sfortunato meccanico. Dopo un’ora di parlantina, l’ultimo ingranaggio cadde a terra con un tonfo definitivo e Bennett tacque.

“Ci sei, ragazzo. Ora puoi venire fuori.” 

Dalla conduttura squartata spuntò una mano, seguita da un braccio, seguito da tutto il corpo. Un ragazzino unto e traballante sulle proprie gambe si issò dallo scheletro di metallo direttamente tra le braccia dei meccanici, che lo agguantarono giusto in tempo per non farlo finire con il sedere per terra. 

Sigewine, arrivata cinque minuti prima, corse da lui. Anche Wriothesley si avvicinò.

Lo sguardo di Bennett sorvolò la capo-sala per soffermarsi su di lui, un luccichio consapevole ad accenderlo. Con un po’ di fatica, sollevò gli angoli della bocca. “Finalmente libero!” Gracchiò, per poi chinare il capo. “Signore.”

Wriothesley gli scompigliò la zazzera bianca. “Benvenuto a Forte Meropide, Bennett. Vieni a prendere una tazza di tè con me.”


COWT14

Mar. 11th, 2025 01:39 pm
 

Settimana: 2

Missione: M2

Prompt: 5. Redenzione

Titolo: La gloria e gli amici

Fandom: Harry Potter

Rating: sfw

Warning: /

Note: OCs, Léon Bhatia → Grifondoro, Sebastian Doyle → Serpeverde


La Sala Grande si era svuotata rapidamente a torneo concluso, con i festeggiamenti che seguivano i vincitori verso la Sala Comune dei Corvonero. Rimanevano solo un paio di giocatori di scacchi magici, presi a replicare qualche mossa, e uno dei perdenti in un angolo del tavolo, che si crogiolava nella propria commiserazione.

Nessuno si disperava meglio di un grifondoro dall’orgoglio ferito.

Sebastian raggiunse l’amico al suo tavolo, dove lo aveva lasciato mezz’ora prima. Non appena si sedette, però, Léon slittò sulla panca per allontanarsi da lui.

Melodramma. I grifondoro erano campioni anche in quello.

Sebastian sbuffò e si mise comodo, sfruttando i trenta centimetri buoni di spazio vuoto per appoggiare anche la borsa pesante. Osservò la nuca del suo amico per qualche secondo. Poi, dato che non dava segni di voler riconoscere la sua presenza, “per quanto ancora mi terrai il broncio?”

Uno sbuffo indignato fu l’unica risposta che ricevette.

“Per un’altra ora? Un giorno? Fino a Natale? O fino a che Sasha Grent non rimetterà in palio “Cercando una vittoria” in un torneo?”

Il titolo dell’ambita e ormai perduta biografia scosse Léon dalla sua presunta indifferenza. Si voltò a guardarlo con la faccia stravolta dal risentimento, con gli occhi spalancati e le labbra strette. Non era davvero in grado di mitigare nessuna sua emozione, le indossava appese al petto come medaglie o sventolate in faccia a chi gli stava davanti. 

“Avevi detto che avevi già quel libro. Che non ti interessava l’autografo.”

Sebastian annuì. “Infatti.”

“Che mi avresti lasciato vincere.”

Questo non l’ho mai detto.”

Agli occhi spalancati e le labbra sbiancate, si aggiunse un improvviso rossore. “Lo hai lasciato intendere!” Léon alzò la voce, agitandosi sul posto. Poi, citandolo con voce forzatamente stridula: “batterò un paio di topi da biblioteca per te”.

“E l’ho fatto.” Disse Sebastian. Era la verità. Aveva eliminato entrambi i suoi primi avversari con elegante efficienza, e così aveva fatto anche Léon, finché non si erano trovati l’uno contro l’altro. 

“Sì, solo che poi hai battuto anche me! E, peggio ancora, ti sei fatto buttar fuori in semi-finale.” Così come si era gonfiato di foga, altrettanto velocemente Léon si afflosciò come un palloncino sul tavolo, cercando con gli occhi chissà quali risposte nelle venature del legno. “Ho giocato molte volte contro Connor, avrei avuto più chance di te di sconfiggerlo.”

Anche questo, tecnicamente, poteva essere vero. Solo che non si trattava più di chance di vittoria, non arrivati a quel punto. Sebastian doveva solo ricordarglielo.

“C’era la folla. Tutta la mia casa e la tua. Serpeverde contro Grifondoro. Eravamo quasi al livello di una partita di quidditch.” Fece spallucce. La situazione era evidente. “So che puoi capirmi.”

L’orgoglio di Sebastian era una buona bestia e avrebbe sopportato di perdere contro il suo amico. Avrebbe sopportato di perdere contro un grifondoro. Avrebbe sopportato di farlo in pubblico. Ma perdere con la sua intera casa alle spalle, un supporto silenzioso e inamovibile, e una ventina di grifondoro di fronte che facevano i cori da stadio, come se gli scacchi non richiedessero alcun tipo di concentrazione? Andiamo, non era mica un santo.

Léon, intanto, ancora crogiolava nel suo pentolone di pessime emozioni.

“Il sangue prima degli amici,” mormorò, cosa che gli fece guadagnare uno scappellotto sulla nuca da parte di Sebastian.

“Non per me, e lo sai.”

Léon si massaggiò la parte offesa. Il colpo sembrava averlo scosso un po’. “La gloria prima degli amici?”

Sebastian sospirò. “La gloria e gli amici.” 

Mise mano alla borsa che aveva appoggiato tra di loro. Rovistò all’interno finché non trovò la sua copia di “Cercando una vittoria” e la tirò fuori. La mise di fronte al suo amico.

“Non sarà autografata, ma è pur sempre una prima edizione.”

Léon la guardò per un po’. La pungolò come se avesse potuto trasformarsi in qualcos’altro. Se avesse tirato fuori la bacchetta alla ricerca di una trasfigurazione, Sebastian si sarebbe offeso.

Quando Léon prese il libro tra le mani e spostò la sua borsa per tornare a sederglisi vicino, capì che era tutto perdonato.

“Sei fortunato che sono di animo nobile e facile al perdono,” disse il grifondoro, appoggiandogli la testa sulla spalla e stringendo il libro a mo’ di orsacchiotto.

“Certo, come no. So già che mi rinfaccerai questa cosa per tutto l’anno scolastico.”

Léon ghignò, ritornando sé stesso. “Ci puoi scommettere la mia prima edizione di “Cercando una vittoria”.”


COWT14

Mar. 11th, 2025 01:41 pm
 

Settimana: 2

Missione: M2

Prompt: 7. Equilibrio

Titolo: Un nuovo gioco

Fandom: Originale

Rating: sfw

Warning: /

Note: /


Il momento più tranquillo al Giglio Rosso era indubbiamente il primo pomeriggio, quando tutti erano ormai svegli e attivi, ma era ancora troppo presto per prepararsi per un’altra sera di lavoro. Sfortunatamente, quelle erano anche le ore più calde della giornata e l’estate torrida non invogliava certo ad uscire. I ragazzi si tenevano occupati come riuscivano al chiuso, decidendo a sorte chi mandare in strada per le commissioni.

Quel particolare giorno, Hinni e Yalo erano tornati dal centro-città con un pacco non richiesto. Hinni lo stringeva al petto sprizzando gioia da tutti i pori, mentre Yalo indossava la solita indifferenza, se non una punta di fastidio.

Attratto dal sorriso di Hinni, Kiro si era avvicinato per chiedere di cosa si trattasse. 

A quanto pareva, il ragazzo era riuscito a farsi vendere a metà prezzo un gioco molto di moda nella capitale in quel momento, che non vedeva l’ora di provare.

“Vuoi giocare con noi, Kiro?”

Ovviamente voleva giocare, se era Hinni a chiederlo.

Così si erano trovati tutti e tre, i ragazzi più giovani del Giglio Rosso, nella camera più fresca delle tre, quella di Yalo - per suo sommo dispiacere. 

“Si può giocare al chiuso?” Aveva chiesto Kiro, guardando Hinni tirar fuori dalla scatola una serie di corde colorate e robuste, simili a quelle usate dai marinai. Ce n’era una quantità sufficiente per fare il giro della stanza due volte. Di certo non era questo che si aspettava.

“Sì, purché ci siano dei buoni appigli.” Hinni batté la mano sulla colonna del letto a baldacchino e, vicino a lui, Yalo fece un verso di protesta.

“Se graffiate qualcosa, lo verniciate di nuovo."

“Come si gioca?” Chiese Kiro, a cui non poteva importare di meno delle condizioni in cui avrebbero ridotto quella stanza.

“Le corde vanno tese per tutta la stanza, in qualsiasi direzione vogliate. Credo che quindici,” girò la testa da una parte all’altra per un paio di volte, “sì, quindici corde vanno bene.”

Diede loro le corde, poi pescò dalla scatola un dado a sei facce. “Uno alla volta, lanciamo il dado e il numero che esce è il numero di corde che dobbiamo riuscire a toccare contemporaneamente. Chi non riesce, perde.”

Sembrava facile. La camera non era poi così grande. Kiro tese una corda dal baldacchino del letto al pesante armadio in un angolo, sotto lo sguardo d’approvazione di Hinni. Poi Yalo appese una corda all’appendiabiti e la lasciò cadere in verticale, rasente muro, lontano da tutto il resto, e capì qual era la vera difficoltà del gioco: gli avversari.

Messe le quindici corde, divenne difficile camminare senza chinarsi ed iniziarono subito il gioco. Kiro e Yalo se la cavarono bene il primo turno, ma Hinni pescò subito un sei. 

Kiro era già pronto a consolarlo, quando questi gli fece letteralmente strabuzzare gli occhi issandosi sopra una corda tesa al centro della stanza. 

L’armadio cigolo un po’, ma non si mosse e Hinni mantenne un perfetto controllo e ed equilibrio, un piede davanti l’altro sulla fune, le braccia allargate a toccare altre corde. Riuscì davvero a toccarne sei, compresa quella su cui camminava. 

Non scese più da lì, giocando da quel momento in poi senza toccare terra. Kiro non riusciva a smettere di guardarlo, era ipnotico. 

“Dove hai imparato?”

“Ho lavorato in un circo, da bambino.”

“Eri un acrobata?”

“No, ero l’assistente del mago,” Hinni gli fece l’occhiolino, “ma gli acrobati avevano un debole per me e mi hanno insegnato qualche trucchetto. Vuoi provare?”

Kiro prese la mano che gli veniva offerta senza pensarci, per poi rendersi conto di dover salire effettivamente sulla corda, e soprattutto rimanerci. Prese lo slancio, tese ogni muscolo del corpo che gli rispose, ma finì comunque per perdere l’equilibrio e cadere dall’altra parte, trascinando con sé Hinni. Avvampò, mormorando scuse.

“Non fa niente, non viene mai al primo colpo. Riproviamo.”
Il gioco dimenticato, passarono la seguente ora così, con Kiro instabile su una corda, Hinni che cercava di reggerlo e Yalo che si godeva lo spettacolo stravaccato sul suo letto. Sentì di essere riuscito a stare in equilibrio, a un certo punto, ma la tentazione di appoggiarsi a Hinni era più forte di qualsiasi senso di gloria. Rimase appoggiato a lui per tutto il tempo.

COWT14

Mar. 11th, 2025 01:44 pm
 

Settimana: 2

Missione: M2

Prompt: 8. Rinascita

Titolo: Rinascita

Fandom: Il Professor Layton

Rating: sfw

Warning: /

Note: Timeskip → 15 anni dopo Il Futuro Perduto, a New Haven, Connecticut 


Dire che New Haven assomigliasse a Londra sarebbe stato mentire, ma c’era qualcosa nei vecchi palazzi in mattoni, nei tetti spioventi e nei colori dell’autunno che lo riportavano con la mente al vecchio continente. Non si percepiva l’umidità a pelle, anzi le giornate erano fresche e piacevoli, ma i lampioni per strada, con i loro piedistalli decorati e le luci calde, gli ricordavano casa. 

Il quartiere universitario, in particolare, era abbastanza inglese da spingerlo a cercare lì per primo, e aveva fatto centro. A soli tre isolati dall’edificio dal vecchio rettorato, dove finivano gli uffici amministrativi e cominciavano le piccole attività locali, c’era lo studio che cercava.

Aveva cerchiato il punto sulla cartina metropolitana e comprato i biglietti dell’aereo quello stesso giorno. Tempo una settimana, aveva trovato anche un amico di famiglia disposto a venirlo a prendere e ospitarlo per quella “vacanza”, oltre che convinto i suoi a lasciarlo partire.

Fortunatamente, la signora Grace era troppo distratta per tenere traccia di tutti i suoi spostamenti e sgattaiolare via una mattina era stato fin troppo facile.

Controllò di nuovo il percorso sulla cartina, girando all’angolo su Red Boulevard. Schivò un paio di signori a passeggio con i propri cani, una donna con il passeggino e si fermò davanti a quella che doveva essere la sua meta. Alzò lo sguardo.

L’insegna diceva “Fitz, ferramenta e giardinaggio”.

No, doveva aver sbagliato.

Controllò meglio, fece qualche altro passo verso sud e sollevò di nuovo gli occhi dalla cartina.

Questa volta non dovette neanche leggere per sapere di essere nel posto giusto. 

L’ufficio che aveva di fronte dava sfoggia di sé con un bel portone in legno vissuto in cima a due scalini, una targa con lettere d’oro incise sopra - Luke Triton, investigatore privato - e un’ampia finestra a tre ante. L’interno era parzialmente oscurato da un pesante tendaggio blu scuro, ma si intravedevano comunque il pavimento in parquet, l’angolo di un tappeto dal disegno geometrico e una libreria dagli ampi scaffali. Su uno di questi, era esposto un violino. Sul tavolino sotto la finestra, invece, poggiava un servizio da tè vuoto, se non per la ciotola dello zucchero piena fino all’orlo.

L’eccitazione lo pervase. Mise via la cartina e si lisciò il cappotto addosso, cercando al contempo di asciugarsi le mani. Controllò di avere i capelli in ordine, sotto il berretto, e che nessun pezzo di coazione gli fosse rimasto tra i denti. Dopo un respiro profondo, salì i due gradini per suonare al campanello.

Venne ad aprirgli una signorina più grande di lui, ma non ancora adulta, con i capelli biondi raccolti in una treccia su una spalla e un vestito a fiori che faceva a botte con la stagione. Era graziosa, ma dall’espressione che aveva in viso, non doveva star passando una bella giornata.

Si aprì nel sorriso più ben disposto di cui era capace. 

“Buongiorno, signorina!” Si afferrò il cappello e lo sollevò leggermente dalla testa, piegando il capo in giù, come gli aveva insegnato suo padre. “Mi chiamo Randall Layton e sono qui per il posto di apprendista!”


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