Mar. 5th, 2022

COWT12

Mar. 5th, 2022 05:26 pm
Settimana: 3
Missione:
 M4
Prompt:
 I liked it better when it sucked
Titolo:
 Un ingrediente impegnativo
Fandom: Originale
Rating: M
Warning: Dub-con
Note: /

Il ragazzo si chiamava Martin. O Marvin. Forse era Malvin? Martin-Marvin-Malvin mise piede in casa mia con il mento che sfiorava il pavimento. Si fermò sulla soglia, non osando azzardare un passo sul parquet lucido di mogano con i suoi sudici sandali infangati. Gliene fui grato. Le sue scarpe facevano davvero schifo e, sebbene fare le pulizie con un aiuto magico fosse incredibilmente facile, la sensazione di ribrezzo rimaneva.

Chiamai subito la governante, un appendiabiti adeguatamente animato di nome Clara.

Il ragazzo guardò anche lei ad occhi sbarrati, così come aveva fatto con il tappeto ricamato, il lampadario pendente di cristallo e il grande specchio a muro.

<Delle pantofole per il signor…> Martin? Malvin? Tossicchiai. <... E un accappatoio. Per prima cosa, accompagnalo a fare un bagno caldo.>

<Questa…> Balbettò lui, ancora impalato all'ingresso. <Questa è una casa incantata?>

Gli sorrisi. Pensai perfino di accarezzargli la testa, poi gli guardai meglio i capelli e mi assalì l'impulso di pulirmi la mano sul soprabito. <No, non lo è. Ma molte delle cose che contiene lo sono.>

Clara tornò con le pantofole e l'accappatoio buono. 

<Avanti, ora va a lavarti. Ti farò avere dei vestiti puliti.> 

<Oh! No, signore, non è necessario. Grazie, io, avete già fatto tanto, io…>

Marvin-Martin inciampò sulle parole e sui passi, mentre cercava di allontanarsi da Clara, di non muoversi sul parquet per non sporcarlo e di rivolgergli tutta la sua gratitudine, contemporaneamente. 

<Sciocchezze. Forza avanti, non avere timore di Clara. Si occuperà di te.>

Malvin-Marvin-Martin seguì titubante Clara verso il primo piano, chino e incassato, avvolto nel candido accappatoio che faceva a pugni con gli stracci che ancora indossava e attentissimo a non sfiorare niente, probabilmente per paura di romperlo o insozzarlo o di essere mangiato.

Per lo meno, era un miserabile educato.

Appena scomparvero oltre le scale, lasciai libero un sospiro. Ero riuscito a portarlo a casa mia e il piano procedeva bene. Mi sarebbe bastato continuare su quella linea. 

Mi liberai di cappotto, guanti e cappelli e diedi istruzioni di preparare la cena, la più sontuosa che la cucina potesse permettersi. Scelsi personalmente dei vestiti per l’ospite e lasciai detto che fosse condotto nella camera da letto più grande dopo la mia, che fosse servito e riverito come se si trattasse di sé stesso. Mobili e suppellettili annuirono obbedienti. 

Mi precipitai in laboratorio, dove mi aspettava Corinto. Aspettava forse era un tantino ottimista, considerando che lo sorpresi a dormire sul suo trespolo, il becco infilato sotto un’ala spiumata.

<E’ tutto pronto per la pozione?> 

Corinto non si svegliò, così andai a vedere di persona. Mentre passavo oltre trespolo, diedi una bella pacca sull’asta di legno e Corinto cadde giù in un turbinio di piume bianche. Un orribile pigolio riempì l’aria stantia di fumi. 

<Buonasera, mio caro. E’ tutto pronto?> Ripetei, facendo un veloce inventario degli ingredienti sopra il tavolo da lavoro. C’era qualche lingua di salamandra in meno di quante ne ricordasse e dal mucchietto di polvere di vite partivano delle impronte di zampa d'uccello, ma tutto il resto sembrava in ordine. Mancava solo l’ultimo ingrediente. 

<Porca oca affumicata! Maledizione a te, corvo della malora! La mia povera anca!>

<Sciacquati il becco Corinto, questo non è un linguaggio adatto al nostro ospite.>

Un frullo d’ali affannato, seguito da un tonfo leggero. Mi voltai a destra. Corinto sembrava alle prese con un infarto e, nonostante ciò, riuscì a strizzare un occhio curioso nella sua direzione.

<Il nostro ospite?> Poi capì. Sollevò il becco verso l’alto. <Sei riuscito a prendere il pulcino?>

Storsi la bocca. <Non chiamarlo pulcino, per piacere. Non è così giovane.> Ed era stato impegnativo trovarlo non così giovane. Uno sprazzo di coscienza che mi aveva complicato la ricerca.

Corinto aspirò a tratti dal becco, una cosa che avevo imparato essere l’equivalente di una risata. <E ti ha seguito qua? Senza magia?>

<Sai che non posso contaminarlo con la ma->

<Lo hai tramortito e portato in un sacco?>

Mi indispettii. Corinto aveva la spiacevole tendenza a pensare che chi fosse in grado di usare la magia fosse, di conseguenza, incapace senza di essa. <Certo che no. E’ sveglio e vigile e a farsi un bagno.>

Mi battei due colpetti sulla spalla. Corinto aprì le ali e si sollevò a fatica in aria, commentando un <Ohhh> falso quanto gli sconti dopo Natale. 

<Quindi…lo hai ingannato.>

Ingannato. <Non ce n’è stato bisogno. L’ho trovato fuori dall’allevamento dei Magalli, pesto e affamato, con la testa tra le mani.> Corinto atterrò sulla mia spalla. <Sei ingrassato, caro. Comunque, mi sono adeguatamente impietosito e gli ho offerto un pasto caldo e un letto su cui dormire. E un lavoro, magari, se si dimostrerà utile.>

<Lavoro.> La parola lo faceva ridere parecchio. <Figuriamoci, lavoro.>

Lasciai il laboratorio e mi diressi in sala da pranzo, intenzionato ad attendere lì il mio ospite. Corinto ci diede dentro con le domande, il malumore del risveglio rimpiazzato da una curiosità divertita.

<Come si chiama?>

Oh cielo. <Potrai chiederglielo di persona quando arriverà.>

<Quanti anni hai detto che ha?>

E che ne sapevo io? <Non mi è sembrato educato chiedere. Quattordici o quindici, credo.>

<Sei sicuro che sia->

L’arrivo di Martin-Marvin-Malvin fu provvidenziale. Entrò dall’arco che conduceva al piano superiore, con Clara ancora alle calcagna e ancora cercando di evitarla. Il bagno caldo e i vestiti nuovi avevano operato una vera trasformazione su di lui. 

Ripuliti dalla polvere e con le punte bagnate, i capelli erano del colore del grano maturo e lunghi fino alle orecchie. Le macchioline sulla punta del naso non erano sporcizia come avevo pensato, ma lentiggini alquanto graziose sotto un paio di occhi scuri come il carbone. La blusa ricamata e le maniche vaporose della camicia nascondevano abbastanza bene la sua magrezza, così come i pantaloni a palazzo valorizzavano i fianchi snelli piuttosto che le gambe secche. 

Si aprì in un sorriso appena mi vide, labbra screpolate e grinze intorno agli occhi. Mi presi un secondo per valutarlo al di là della sua funzione principale. Piacente. Impacciato ma grazioso. Magari sarebbe stato più piacevole del previsto, e chissà, forse lo avrei convinto a restare.

Corinto aveva ripreso a ridere e ora Martin-o-come-cavolo-si-chiamava lo osservava con la bocca spalancata, dimentico di Clara.

Mi agitai sulla sedia. <Clara, la cena, per piacere. Corinto, ti presento il nostro ospite.> Aspettai che il ragazzo prendesse la parola e si decidesse a ripetermi il suo nome, ma questi sembrava aver perso completamente l’uso della parola da quando Corinto aveva dimostrato di possederla.

<E questo qui sarebbe vergine?>

Gli diedi una manata. Corinto non fu abbastanza sveglio di riflessi nemmeno stavolta e finì spiaccicato al suolo. Temevo che anche la mandibola del ragazzo avrebbe fatto presto la stessa fine. 

<Perdona la sua insolenza, parla ma non sa quello che dice. Ma prego, non stare lì in piedi, accomodati.>

Mi arresi a chiedergli il nome. Era l’unica domanda diretta che avevo da porgergli e gli avrebbe fatto mettere insieme due sillabe. Maltin rimase nel suo guscio di apprensione e disagio fino all’arrivo della cena. A quel punto, si schiuse come la corolla di un anemone e si gettò sul prosciutto speziato, sul pasticcio di salmone e sulla torta salata con la foga dell’affamato qual era. Da parte mia, mi limitai a soprassedere sulla sua mancanza di igiene, piluccando qualche patata e offrendo a Corinto dei semi di girasole per farmi perdonare.

<Signore, io non so davvero come ringraziare.> Maltin abbassò la testa fin quasi a immergerla nel suo budino alle more. <Non sapevo che fare. Sarei…morto, forse, ma voi, signore… Questo è troppo per me.>

Lo interruppi con un gesto della mano. <Ti ho già detto che non devi preoccuparti, non mi costa niente ospitarti questa notte. Sei un bravo ragazzo. Domani mattina potrai andare per la tua strada o accettare il mio aiuto per trovare un lavoro onesto.>

Maltin a quel punto aveva le lacrime agli occhi. E la pancia piena, e la stanchezza di una giornata da incubo addosso. Lo mandai a dormire.

Corinto balzò nuovamente sulla mia spalla. <Quindi lo farai stanotte?>

<Magari penserà di star sognando.> 

<Certo, e magari gli piacerà talmente tanto da voler restare per sempre.>

Sospirai. Quell’uccello stava cominciando ad essere davvero petulante.

<Torna giù in laboratorio. Scenderemo verso mezzanotte.>

§

Maltin dormiva nel letto come qualcuno abituato a dormire in uno scatolone. Nonostante la piazza e mezza e i tre cuscini riempiti di morbide piume, si era rannicchiato in posizione fetale su un lato, abbracciando le coperte come se avesse paura che gliele strappassero via nel sonno. Sussurrai il suo nome, più volte. Invano. Appoggiai una mano sulla sua spalla e lo scossi appena. Ci vollero un bel po’ di scosse per ottenere un <Mh?> assonnato e un occhio mezzo aperto. 

<Maltin, ho bisogno di te. Devi svegliarti.> 

Tre scosse più tardi Maltin si rese finalmente conto di chi gli stava rivolgendo la parola. 

<Signore…> Si sollevò appena con il busto. Lo aiutai a mettersi seduto. La camicia da notte che avevo scelto si era stropicciata durante la notte e ora gli pendeva su una spalla.

Lo presi per mano e lo issai in piedi. Maltin dondolò un poco e ne approfittai per trascinarlo verso la porta. 

<Signore, cosa succede?>

<Ho bisogno del tuo aiuto. Dovresti fare una cosa per me.>

Scendemmo le scale con una certa fretta e, per quando arrivammo in laboratorio, Maltin era quasi del tutto sveglio e allarmato dall’ignoto. Fu adorabile il modo in cui, ancora tenendomi per mano, si parò davanti a me aperta la porta, come per proteggermi da un pericolo all’interno.

Il laboratorio era immerso nella penombra, con i sei ceri accesi del rituale come unica fonte di luce. Sul tavolo da lavoro, un sigillo ormai secco era parzialmente coperto dagli ingredienti che con tanta cura aveva raccolto negli ultimi giorni. Corinto, appollaiato sul suo trespolo, ci salutò facendo schioccare il becco. 

Sciolsi la presa di Maltin per far scorrere la mano sul suo braccio, fino ad afferrargli entrambe le spalle e condurlo verso il tavolo. <Cosa sai dei rituali delle lunarie?>

La sua faccia mi rispose prima di qualsiasi altra cosa: non aveva la più pallida idea di cosa stessi parlando, a malapena sapeva dove si trovava.

Comincia ad accarezzargli le braccia. <Sono rituali particolari, che permettono di realizzare magie fuori dall’ordinario. Sono un po’ più impegnativi della norma e richiedono alcuni ingredienti… primordiali.>

<Le magie primordiali sono molto intime.> Aggiunse Corinto.

Maltin riprese a guardarlo allucinato come la prima volta che aveva aperto becco davanti a lui.

<Corinto, esci, lasciaci soli.> Corinto lanciò uno stridio di protesta. <Intimità, lo hai detto tu stesso.>

Chiusi la porta dietro il suo svolazzare affaticato con un gesto delle dita. 

<Signore.> Maltin provò a voltarsi, ma lo tenni fermo nella mia stretta. Cercai di massaggiargli le spalle, ma era troppo rigido ormai. 

<Ho bisogno del tuo aiuto. Mi manca un ingrediente per questo rituale e tu puoi darmelo.>

<Io…Io voglio aiutare, signore, non so come, ma se lei dice che posso aiutare…>

Piegai l’indice e il medio di entrambe le mani e così fecero le gambe del tavolo, abbassandosi all’altezza del bacino del ragazzo. Maltin seguì la discesa con gli occhi.

Strinsi le dita intorno ai suoi fianchi. Mi ero aspettato il salto che fece, di meno il rossore che gli apparve sul collo e sulle gote nonostante la tenue illuminazione. Aveva capito. Forse non precisamente, ma aveva capito.

Cominciai a muovere le mani sulla cintola, cercando di spingerle verso il basso. <So di star chiedendo molto e puoi rifiutare se non te la senti.> Non che glielo avrei permesso. Questo rituale significava troppo per me. <Però ho davvero bisogno di questo. E’ molto importante per me e vorrei che tu collaborassi. Puoi farlo per me, Maltin?>

Maltin trattenne il fiato. Avevo raggiunto il cavallo dei suoi pantaloni, la stoffa fresca tra le dita. Cominciai ad accarezzarlo lievemente. 

Maltin cominciò a tremare. <No, signore, per favore.>

<Ti chiedo solo questo, come compenso per la mia ospitalità. Se ti senti di dover ricambiare la mia gentilezza…> Maltin non aveva fatto altro che ringraziarmi per tutta la sera. Che mi ringraziasse sul serio ora. <... Allora chiudi gli occhi, lasciati andare e vedrai che presto sarà tutto finito.>


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